Da redazione
I recenti avvenimenti in Corea del Nord hanno nuovamente stuzzicato la fantasia di qualche giornalista che non ha trovato di meglio da fare che condire una notizia – questa volta vera e motivata – con particolari assurdi. È il caso della condanna a morte dell’ex esponente di primo piano del Partito del Lavoro di Corea, Jang Song Thaek. La condanna è stata ammessa e rivendicata dal governo nord coreano, a differenza delle secche smentite arrivate rispetto ai precedenti falsi scoop sulle uccisioni della ex fidanzata di Kim Jong Un, poi rivelatesi del tutto infondate (vedi sull’argomento https://www.senzatregua.it/?p=486 ).
In questo caso la notizia ufficiale dell’arresto e della condanna di Jang Song Thaek era giunta proprio da fonti ufficiali di Pyongyang che avevano anche rivelato le motivazioni, e le modalità dell’esecuzione avvenuta con la fucilazione. Lo zio di Kim Jong Un, era stato ritenuto colpevole di atti di corruzione e della creazione di una corrente interna al partito. Jang Song Thaek aveva approfittato della sua posizione per trarne vantaggi personali, tenendo un tenore di vita molto superiore a quello giustificato, ma soprattutto approfittando del suo ruolo di intermediario nelle relazioni estere avrebbe teso a creare divisioni nel partito, creando una vera e propria corrente che mirava a sovvertire il sistema economico del paese. Il mese scorso i mezzi d’informazione di tutto il mondo avevano dato questa notizia, rilevante anche in termini di lettura delle dinamiche dei rapporti internazionali con la Cina. Alcuni giorni fa invece la “rivelazione” di alcuni particolari disumani sull’esecuzione di Jang Song Thaek. Tutti i giornali- nessuno escluso – ed i telegiornali hanno dedicato ampio spazio all’ennesima notizia infondata, successivamente smentita da alcuni giornali, pur tuttavia senza riservare alla smentita lo stesso spazio dedicato alla falsa notizia.
Kim Jong Un avrebbe assistito personalmente all’uccisione dello zio, lasciato sbranare vivo da 120 cani tenuti senza mangiare per diversi giorni. Secondo i fantasiosi macabri particolari la morte sarebbe sopravvenuta solamente dopo un’ora e Kim Jong Un avrebbe presenziato all’esecuzione insieme a trecento membri del partito e dell’esercito, ai quali avrebbe dimostrato cosa accade a coloro che mettono in discussione la sua autorità. La fonte di questa notizia sarebbe un giornale cinese da cui sarebbe poi rimbalzata in tutto il mondo, salvo successive smentite, come quella del Washington Post, che ha rivelato come la notizia fosse del tutto priva di fondamento. Eppure i tg di tutto il mondo hanno dedicato servizi nelle ore di punta a questa storia; i giornali hanno riportato pagine intere di notizie sui particolari dell’esecuzione, con redattori improvvisati moralisti, e in pochi hanno smentito con altrettanto spazio, o addirittura non hanno minimamente smentito la falsa notizia.
Perché allora inventare di sana pianta l’ennesima storia, anche di fronte ad una notizia vera, ammessa e spiegata dal governo nord-coreano, al solo fine di criminalizzare e ridicolizzare un paese? Perché non attenersi a commentare la realtà dei fatti, che mai come in questo caso, è assolutamente ricca di spunti di riflessione politica? Perché non criticare in sé l’esecuzione, magari tentando di dare spiegazioni politiche contrarie, oppure criticare il ricorso alla pena di morte – tutte critiche non condivisibili a pensiero di chi scrive ma certamente legittime e compatibili con il ruolo dell’informazione – piuttosto che dover ricorrere ad una palese falsificazione degli avvenimenti? Perché contravvenire alle regole basilari dell’informazione di verificare la veridicità di una notizia e soprattutto perché evitare strenuamente una volta appurata la falsità di concedere altrettanto spazio alla smentita? Non è la prima volta che una cosa del genere accade riguardo alla Corea del Nord, e si ha l’impressione che anche quando una notizia è vera, essa non risulti sufficientemente in grado di creare quel disvalore che si vuole creare attorno a quel paese.
Proviamo a fare alcune considerazioni, quelle che con obiettività ogni giornale avrebbe dovuto fare. La pena di morte è nel nostro paese ritenuta una pena crudele, sintomo di barbarie, ed è stata abolita, salvo il tempo di guerra nel 1948, e definitivamente nel 2007. Questa posizione deriva da una lunga elaborazione culturale e filosofica che vede la nostra tradizione giuridica da tempo, salvo eccezioni, schierata su questa posizione. Eppure l’abolizione della pena di morte, sebbene il disvalore percepito possa essere fatto risalire al perdono cristiano, o più realisticamente al pensiero illuminista di Beccaria, è cosa assai recente. Ma è chiaro che in Italia la pena di morte è percepita come disvalore, la sola notizia di un’esecuzione capitale provoca sicuramente più commenti negativi che positivi. Nel resto dell’occidente non è così. In America, salvo pochi stati, la pena di morte è applicata ed è prevista per i reati di alto tradimento (come in moltissimi ordinamenti giuridici del mondo). Quello che noi percepiamo come disvalore in molti altri paesi del mondo, con tradizione giuridica differente è legge, senza con questo dare un giudizio di merito sulla pena di morte, ma solo per evidenziare una situazione reale.
Sarebbe stato assai difficile negli Stati Uniti, o in tutti i paesi che applicano la pena di morte parlare di criminale dittatura in relazione ad un atto previsto dai rispettivi codici penali, che con tutta probabilità incontra in moltissimi casi, anche l’approvazione della maggioranza della popolazione dei paesi in questione. Si potrebbe aggiungere a questa riflessione che persino l’Italia, il paese di Beccaria, ha rinunciato solo nel 2007 alla previsione della pena di morte in caso di guerra, e che formalmente la Corea del Nord è uno stato in guerra, poiché Stati Uniti e Corea del Sud si sono sempre rifiutati di concludere un accordo di pace nonostante le numerose proposte avanzate dal governo nord-coreano.
A prescindere dalle ultime considerazioni si può ritenere legittimamente che la pena di morte sia un atto da condannare, ma in tal caso sarebbe necessario dimostrare lo stesso zelo con cui si diffondono notizie – vere e false – sulla Corea del Nord, anche per gli altri 68 paesi del mondo che applicano la pena di morte per reati comuni, e che hanno effettuato esecuzioni capitali negli ultimi anni, Stati Uniti e paesi alleati compresi. È evidente allora come quello che singolarmente, in modo legittimo, si può percepire come disvalore, a livello internazionale è una pratica utilizzata e dal punto di vista dell’ordinamento internazionale legittima. Dunque al disvalore morale e di coscienza non potrebbe seguire nulla di più, e l’effetto non sarebbe quello desiderato.
Allora al posto della fucilazione, è necessario inventare di sana pianta particolari falsi, per creare ad arte quel disvalore politico, che altrimenti resterebbe nella normalità di quanto accade in gran parte del mondo. L’idea del nipote che assiste alla fucilazione dello zio, dei cani affamati che sbranano il povero vecchio nella gabbia, del terrore negli occhi di impauriti dirigenti di partito, che nella scena incarnano il popolo intero che giura fedeltà al despota. Particolari degni di una tragedia sofoclea, in cui i giornalisti di turno per un giorno svestono i panni dell’informazione, per vestire quelli degli sceneggiatori o dei registi di un melodramma, dando all’informazione quella torsione che nel suscitare sentimenti avversi, crea il più potente elemento ideologico di controllo di massa, per far digerire e mascherare gli interessi economici e politici che la falsità ricercata deve coprire.
La Corea del Nord, ha un sistema diverso dal nostro, ma ha le sue elezioni, i suoi tribunali, le sue leggi, una propria Costituzione, una divisione dei ruoli del potere, che non è equivalente alla nostra tripartizione (persino da noi non si parla più di tripartizione del potere ormai…) ma che ha le sue regole. Regole che non sono alla mercé di una persona, per quanto importante sia il suo ruolo all’interno dello stato, e nelle quali egli stesso è chiamato ad operare. Non è una persona a disporre la fucilazione, ma un tribunale. A chi avanza dubbi su questo elemento basterebbe ricordare la condizione del diritto in occidente, non certo neutrale, o il ruolo della giustizia penale di classe che abbiamo, come la situazione delle carceri. Siamo tanto sicuri di essere così “civili”?
Altre e più profonde considerazioni si sarebbero potute fare sui rapporti tra la Corea e la Cina, dopo che Pechino ha accettato le ultime sanzioni ONU al governo di Pyongyang. Anche qui commenti superficiali e poco attenti, tra chi estremizza o tenta di coprire. Tra Cina e Corea esistono stretti legami storici, che hanno inizio con il contributo delle truppe cinesi nella guerra di Corea. L’amicizia tra i due paesi è forte, e la Corea non ha intenzione di romperla, basta vedere quanto spazio è stato dedicato all’amicizia tra Cina e Corea nei recenti festeggiamenti per l’anniversario della guerra, con la presenza di centinaia di veterani cinesi e le massime autorità dei due paesi alle celebrazioni. Tuttavia è ben noto che la dirigenza coreana non ha simpatia per il modello di “socialismo di mercato” cinese, che non lo ritiene un esempio da seguire e che, nell’ambito di rapporti di amicizia e di sostegno, mantiene una forte autonomia nelle scelte politiche ed economiche interne e non intende cedere a condizionamenti su questo profilo. È evidente che mentre il modello cinese ha conquistato alcuni paesi socialisti, la Corea ha difeso un’altra via economica. Ed è difficile ed artificioso sostenere che nei rapporti esteri di cui Jang Song Thaek è stato accusato la Cina sia estranea, dato che come noto la maggior parte degli scambi economici della Corea sono proprio con la Cina. Nessuna facile semplificazione dunque, ma processi complessi che devono essere letti con attenzione perché riguardano un’area del mondo che è ormai di importanza primaria in termini economici e politici, anche per chi non sia strettamente appassionato alle vicende coreane e cinesi.
Di ogni possibile lettura giornalistica e di analisi, più o meno legittima ed interessante, si è persa completamente traccia coprendo tutto con una bufala tanto evidente da essere in un certo senso quasi dannosa per gli stessi creatori di notizie false. Si potrà essere d’accordo o meno con una condanna a morte, si potrà dare la propria lettura della situazione coreana, tutto questo è legittimo, rientra in un certo senso nei parametri dell’informazione. Quello che non è giustificabile è un continuo accanimento portato avanti attraverso la sistematica falsificazione di quello che accade in Corea del Nord, che con i falsi particolari dell’esecuzione di Jang Song Thaek ha toccato l’apice, superando le già ardite prove giornalistiche dei mesi precedenti. Attendiamo di vedere cosa saranno capaci di inventarsi nei prossimi mesi…