Già da due giorni le università italiane hanno inaugurato l’inizio dei test di ammissione nelle università, che vedranno migliaia di studenti confrontarsi nella compilazione dei quesiti nel tentativo di accedere alle facoltà desiderate. La prossima settimana toccherà agli studenti medi tornare dietro ai banchi di scuola; per uno studente su cinque, però, non sarà così. I dati statistici parlano infatti di un abbandono scolastico in continua crescita, che rasenta il 20% e che raggiunge il 25% in Sicilia.
Questo dato, assieme all’incremento del 5% del costo generale dei libri di testo e alla “migrazione” dai licei verso i tecnici e professionali nel corso dell’anno scolastico constatata negli ultimi anni, ci consegna la drammatica fotografia di un sistema d’istruzione sempre più esclusivo, in cui la selezione inizia nel momento della scelta della scuola superiore e prosegue fino ai famigerati test di ammissione delle università. La promessa dell’istruzione aperta a tutti sembra aver lasciato il posto a una realtà in cui tutti i fattori che potevano influenzare la cosiddetta “selezione in base al merito” convergono sempre più verso lo stesso elemento: l’appartenenza a un determinato ceto sociale. In questo modo la parola “meritocrazia” sembra assumere progressivamente il significato di “selezione di classe”.
La stessa scelta della scuola superiore avviene infatti sempre più in base alla possibilità economica delle famiglie che non invece alle attitudini dello studente: iscriversi a un liceo oggi costa quasi il doppio che iscriversi a un istituto professionale, e quest’ultimo non prevede di mettere in conto una futura spesa universitaria. Uno studio recentemente pubblicato dall’OCSE, inoltre, evidenziava come i docenti tendano ad attribuire migliori voti a scuola agli studenti provenienti da ambiti socio-economici più favorevoli. Questa ricerca, contestata in Italia dal Fronte della Gioventù Comunista che ha denunciato l’intenzione di scaricare sui docenti la responsabilità della natura classista del sistema d’istruzione, metteva comunque in evidenza un elemento culturale non trascurabile e che con buona probabilità influisce realmente nel processo di selezione. Ormai anche gli stessi licei tendono a dividersi in licei “di serie A” e “di serie B”, i primi più costosi dei secondi (spesso per mantenere infrastrutture di qualità chiedono dalle famiglie dei contributi economici più elevati).
Non c’è dunque da sorprendersi se un numero sempre maggiore di studenti oggi si dichiara contrario al numero chiuso nelle facoltà universitarie, che spesso “coronano” una ingiusta selezione iniziata da almeno cinque anni. Anche quest’anno infatti, proprio in occasione dei test che in questo momento si tengono nelle università italiane, non mancano le polemiche. «Il mantra della “meritocrazia” in effetti si è ormai eclissato, poiché questa non può esserci se, a causa di una serie di ostacoli di natura economica, non si parte tutti dalle stesse condizioni.» -questo il commento dei militanti del Fronte della Gioventù Comunista che oggi erano impegnati in un’azione dimostrativa presso la Sapienza di Roma «La preparazione per i test d’ingresso è ormai subordinata alla possibilità di pagare lezioni private o di acquistare costosi testi di preparazione, possibilità che non tutti hanno.»
Il vero dramma, però, non è la situazione del sistema d’istruzione del nostro paese, bensì la risposta della politica, che anche quest’anno non è cambiata. Gli esigui fondi che il “Decreto del Fare” ha recentemente destinato all’edilizia scolastica vanno infatti accostati con un’altra novità di questo anno, l’introduzione dei “bonus maturità” che favoriscono nei test di ingresso gli studenti provenienti dalle scuole private, e con l’assoluta indifferenza nei confronti delle proteste che da tempo giungono da parte degli studenti delle fasce popolari. Solo lo scorso anno la Spending Review varata dal Governo Monti (sostenuto da centro-destra e centro-sinistra) regalava più di 200 milioni di euro alle scuole private, il tutto mentre le scuole pubbliche sono costrette a pretendere contributi sempre più alti delle famiglie pur di far fronte alla mancanza di fondi ministeriali. La differenziazione fra scuole di serie A e di serie B viene addirittura favorita, con la scelta di implementare sempre di più il sistema dei test INVALSI, tramite i quali si stilano graduatorie delle scuole con l’evidente intenzione di differenziarne in futuro livelli di finanziamento a seconda dei risultati, finanziando dunque le scuole migliori piuttosto che quelle in difficoltà. Proprio quest’anno è stato decretato che a partire dal 2015 l’INVALSI fornirà una “quarta prova” per l’esame di maturità.
È infatti all’insegna delle proteste, e non potrebbe essere altrimenti, che sembra aprirsi il prossimo “autunno caldo” studentesco, con una prima data di mobilitazione convocata per la giornata dell’11 ottobre. E proprio in vista dell’autunno viene da chiedersi se gli studenti che negli scorsi anni affermavano, a ragione, che “la politica non ci ha rappresentato”, capiranno che non basta chiedere alla politica riforme sociali in materia di istruzione, ma è necessario riportare al centro della discussione la natura di un sistema fondato sul profitto, che è ancora oggi il vero e principale ostacolo alla creazione di una scuola e un’università realmente pubblica, di massa e aperta a tutti senza distinzioni sociali.