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Democrazia protetta e socialismo

di Alessandro Mustillo*

Questa riflessione nasce in occasione del quarantesimo anniversario del golpe militare che depose il governo di Salvador Allende in Cile, per indagare sul discorso delle libertà del sistema democratico di matrice liberal-borghese, oggi decantato come modello unico di libertà, e sulle prospettive della costruzione del socialismo attraverso la via democratica. Nasce quindi con un duplice scopo. Da una parte chiarire il concetto di libertà che in senso politico che oggi si pretende universale, e che lo sviluppo storico dimostra al contrario ben determinato entro limiti certi. Dall’altra, partendo da questa riflessione, indagare sulla possibilità reale di costruire il socialismo nell’ambito del mantenimento dell’impalcatura delle istituzioni di stampo liberal borghese, così come oggi teorizzato dal modello del cosiddetto “socialismo del XXI secolo”. Come si intuisce si tratta di un discorso complesso e molto articolato, per cui procederò per sommi capi e senza pretesa di esaustività. Non è mia intenzione innanzitutto rivolgere lo sguardo a quelle esperienze di matrice socialdemocratica che hanno abbandonato l’obiettivo della costruzione del socialismo, accettando pienamente i rapporti di produzione di tipo capitalistico, né quelle forze politiche europee che, nulla a che vedere col porsi la questione della presa del potere si sono limitate ad amministrare la gestione dello Stato capitalista, nel quadro dell’Unione Europea, partecipando a governi di chiaro stampo borghese che non si ponevano nessun avanzamento nelle conquiste sociali per i lavoratori.

Mi interessa di più ragionare, alla luce dello sviluppo storico, di quelle esperienze che ad esempio nei paesi dell’ALBA vanno configurandosi come reale avanzamento delle condizioni delle masse, ed in particolare del Venezuela, che per questo giustamente ottengono il sostegno dei Partiti Comunisti, e che oggi incontrano la contraddizione strutturale del mantenimento della forma delle istituzioni borghesi. Paragonando questa situazione a quanto accaduto in precedenza, ridimensionare la pretesa di universalità dei diritti politici del sistema borghese, entro i limiti della cosiddetta “democrazia protetta”, fattore che oggi viene spesso dimenticato, contestando la pretesa del costituzionalismo moderno di ergere ad unico modello quello liberal borghese e di astrarne la valutazione dal contesto economico e storico.

La contraddizione di fondo delle istituzioni democratiche borghesi.

Il nesso ruota attorno alla funzione strutturalmente ambivalente delle istituzioni democratico-borghesi, che come già aveva intuito Marx, sono idonee a volgersi contro la classe che le ha create.  «La borghesia – scrive Marx – vedeva giustamente che tutte le armi da lei forgiate contro il feudalesimo volgevano la punta contro di lei, che tutti i mezzi di istruzione da lei escogitati insorgevano contro la sua propria civiltà, che tutti gli dèi da lei creati l’abbandonavano. Essa capiva che tutte le cosiddette libertà e istituzioni progressive borghesi attaccavano e minacciavano il suo dominio di classe tanto nella sua base sociale quanto nella sua sommità.» La situazione francese, nel cui contesto è inserita la riflessione citata, porterà all’arretramento delle libertà proclamate. Il processo rivoluzionario che porta la borghesia al potere, una volta conquistato l’obiettivo, si rivolge al contrario, nella soppressione dell’universalismo di quelle libertà, che diventano funzionali al solo dominio di classe.

La contraddizione tra organi di rappresentanza della volontà popolare, a pretesa vocazione universalistica e maggioritaria, si scontrano con la perpetrazione dell’interesse del dominio di classe, quindi di un interesse particolare all’interno della società. La tendenza all’universalità dei diritti cede il passo ad una nuova esclusione, l’apparato utilizzato per spezzare il dominio della vecchia aristocrazie si rivolge contro le masse popolari, in una nuova alleanza che mira a escluderle dalla gestione del potere e a fissare il dominio della classe borghese. Nonostante questo processo l’ambivalenza rimane. Engels definisce la repubblica democratica «l’unica forma statale in cui può essere combattuta la lotta finale e decisiva tra borghesia e proletariato». Lo Stato si erge non a mediatore del conflitto di classe ma a strumento di oppressione della classe dominante; le sue istituzioni restano permeate dall’ambiguità di fondo che deriva dalla contraddizione tra universalismo delle libertà teorizzate e particolarismo della sua applicazione. Specialmente il Parlamento, diventa terreno di scontro di questa contraddizione.

Con l’avvento del suffragio universale i partiti socialisti prima ed i partiti comunisti dopo entrano con proprie rappresentanze nelle aule parlamentari. Da organo della democrazia liberale basato sull’omogeneità degli interessi di fondo, il Parlamento si trasforma. Anche nelle istituzioni entra la lotta di classe che dilaga nella società. Il Parlamento viene utilizzato dai comunisti come tribuna da usare in modo rivoluzionario per usare la felice espressione di Lenin. Tuttavia in Lenin è ben chiara la differenza tra l’utilizzo strumentale del Parlamento per il rafforzamento del Partito, rispetto alla prospettiva di una transizione democratico parlamentare al socialismo. Le istituzioni borghesi, la democrazia parlamentare diventano terreno di coltura per la costruzione del consenso, ma la Rivoluzione è un atto che si svolge al di fuori di esse, che spezza la continuità del sistema e con esso le sue istituzioni e la loro natura.

Tuttavia non sfugge alla borghesia che lo strumento del dibattito parlamentare, le libertà garantite dal modello liberale, si prestano ad un utilizzo da parte delle forze popolari anti – sistema, così come avvenuto in Russia e così come sembra profilarsi all’orizzonte in gran parte dell’Europa continentale. Quando i semplici strumenti della repressione occasionale non bastano e si rende necessaria la sua sistematicità, il sistema democratico cede il passo al fascismo, come moderno partito dell’ordine, con una stretta sulle libertà politiche e democratiche. Oggi questa fase, di cui parlerò in seguito, viene archiviata nel totalitarismo, per rendere la democrazia borghese immune dalle sue responsabilità, ed in ogni caso come parentesi archiviata con la fine della seconda guerra mondiale (affermazione storica per giunta non vera, ma diffusa nel sentire comune).

Ma il primo passo da fare è capire in che modo, oltre al fascismo, la borghesia reagisce a questa situazione anche nell’ambito del sistema democratico liberale che si delinea come dominante nel dopoguerra nei paesi occidentali. E’ su questo che si basa la presunta superiorità di questo modello, dovuta al fatto che difficilmente qualche studioso di diritto costituzionale metterà mai insieme alcuni fatti storici e giuridici nella giusta cornice. Nel contesto del mondo diviso in blocchi, le “democrazie mature”, uscite dalla lotta al fascismo, consentono davvero il libero gioco democratico fino al punto di rischiare, per mezzo di esso, il rovesciamento del sistema? Sia nel caso della semplice concessione delle garanzie del pluralismo democratico a partiti di minoranza, sia nel caso in cui coalizioni popolari conquisteranno la maggioranza dei consensi, attraverso libere elezioni, la borghesia non rimarrà a guardare.

La “democrazia protetta” nel dopoguerra.

 Con la fine della seconda guerra mondiale si avvia una nuova fase anticomunista, che coinvolge anche quegli stati a democrazia “matura” considerati dal costituzionalismo moderno dei veri e propri modelli per le libertà. Questa fase si acuisce ulteriormente a partire dalla guerra di Corea, il primo momento in cui la guerra fredda assume la forma di guerra reale, della guerra combattuta, sebbene in un’area considerata periferica rispetto all’occidente. Negli Stati Uniti d’America a partire dal 1947 si apre la caccia alle streghe. Ad ogni impiegato pubblico è fatto obbligo di giurare di non essere comunista. Centinaia di lavoratori saranno licenziati, scrittori, attori, artisti saranno spiati e perseguitati, spesso emarginati totalmente. Julius e Ethel Ronsberg, militanti comunisti, moriranno sulla sedia elettrica al termine di un processo assai controverso, con l’accusa di spionaggio. Oggi si tende a far apparire il maccartismo come un’esagerazione di un folle esaltato senatore repubblicano, che fece tutto per il progresso della sua carriera politica. Ma questa spiegazione non convince fino in fondo, perché ad essere coinvolta nella frenesia anticomunista fu una parte maggioritaria degli apparati dello Stato e non singoli individui. Nel 1954 con il Communist Control Act, l’anticomunismo americano tocca il suo apice giuridico, decretando forzosamente lo scioglimento del Partito Comunista degli USA, una misura che a ben vedere costituisce una chiara limitazione delle cosiddette libertà di opinione ed associazione politica, tanto sbandierate dall’occidente.

Ma sarà nella Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest) che tutto questo assumerà una precisa teorizzazione giuridica che passa con il nome di “democrazia protetta”.  L’articolo 21 della Costituzione di Bonn prevede infatti la dichiarazione di incostituzionalità ed il conseguente scioglimento per quei partiti che “per loro finalità o per comportamento dei loro aderenti tentano di pregiudicare od eliminare l‟ordinamento fondamentale democratico e liberale o di minacciare l‟esistenza della Repubblica Federale di Germania”. Ad essere colpito da questa legge è anche il KPD (Partito Comunista Tedesco), forza politica antifascista, che aveva dato un contributo importante all’opposizione al nazismo. Nella motivazione della sentenza del Tribunale Costituzionale tedesco si colgono alcuni elementi dello scioglimento.   Il Partito Comunista in quanto portatore di un’ideologia che afferma uno scopo finale dello sviluppo storico è in contraddizione con la libertà dell’individuo, disconosce i valori di fondo dell’ordinamento democratico liberale, attraverso l’attività dei suoi dirigenti, dei suoi militanti degli organi di stampa e propaganda del partito, mira al rovesciamento dell’ordine costituzionale. La sentenza inoltre afferma un principio importante per coglierne appieno l’essenza. Non basta infatti la semplice dichiarazione di principio, ma ciò che il Tribunale è chiamato a valutare è la possibilità della sua realizzazione. Quello della effettività può sembrare un precetto giuridico elementare e mutuato da infinite analogie nel sistema del diritto, eppure in questo caso assume un valore pregnante, perché pone di fronte ad una valutazione della reale pericolosità per l’ordine costituito, lasciando al contrario la piena libertà lì dove essa non risulti in grado di porre in atto azioni tali da metterne in discussione la supremazia.

In sostanza l’idea che emerge è quella di un ritorno ad un parlamentarismo liberale, che archiviasse la fase di conflittualità politica aperta dall’avvento dei partiti di massa e dalle loro istanze antisistema, tornando all’idea di un dibattito politico che si muovesse entro certi paletti, che non mettesse in discussione il sistema economico politico. I diritti di libertà tipici dello stato liberale borghese non potevano dunque farsi strumento per la crescita del consenso dei partiti socialisti e comunisti, che venivano equiparati in questo alle forze neofasciste. Ma questa valutazione non doveva essere condotta sulla base dell’ideologia in senso astratto, ma sulla capacità di incidere nella società. I due esempi degli Stati Uniti e della Germania non esauriscono l’elenco e a questo vanno sommati i tentativi di trasportare il concetto di “democrazia protetta” in altri paesi.

Anche in Italia con rinnovata spinta che segue la guerra di Corea, si inizia a parlare di “democrazia protetta”. A partire dal 1950 si apre la discussione sulle leggi eccezionali, sulle limitazioni del diritto di sciopero, lo scioglimento delle organizzazioni contrarie all’ordine costituito, meccanismi che consentano una maggiore sicurezza dello Stato di fronte al pericolo di un tentativo rivoluzionario. Sono le cosiddette “leggi eccezionali”, il dibattito che ruota intorno alla Legge Scelba, in cui si respira l’atmosfera della preparazione di una analoga legislazione anticomunista sul modello della “democrazia protetta”, fino alla legge truffa, con la quale si tentava di arginare la presenza parlamentare della sinistra di classe socialista e comunista in Parlamento. Se in Italia questi provvedimenti non riusciranno a passare sarà per la forza con la quale PCI e PSI, con la CGIL e le organizzazioni di massa, riusciranno ad opporsi, attraverso mobilitazioni di massa, scioperi, ostruzionismo in aula. Una forza troppo grande per essere soppressa giuridicamente senza scatenare il pretesto per un’insurrezione, ma troppo pericolosa per non intervenire. E qui lo strumento del diritto lascia il posto al fatto.

La protezione “esterna” della democrazia.

Lì dove la democrazia borghese non era riuscita nell’intento di proteggersi “dall’interno”, ossia attraverso la creazione di appositi meccanismi giuridici, lo farà “dall’esterno” attraverso l’uso diretto della forza, le strategie terroristiche, l’utilizzo di apparati dello Stato al di fuori dei sistemi costituzionali, i golpe militari. È qui che a mio parere va scissa la nozione di “democrazia protetta” in un sua partizione interna al sistema giuridico ed una esterna. Molti storceranno il naso di fronte a questa catalogazione, mettendo in evidenza come una volta usciti dal sistema del diritto, nel regno della fattualità, non si possano concepire categorie giuridiche. Un golpe, un atto terroristico sono elementi che si svolgono contra legem. Tuttavia quando si guarda al diritto senza volgere uno sguardo al sostrato economico che lo sostiene, quando si idealizza il concetto di sistema giuridico, portandolo alla pretesa di neutralità, si compie un’operazione fortemente ideologica. Al contrario non si può ritenere una strategia complessiva volta al rovesciamento di un governo, che coinvolge apparati maggioritari dello Stato alla stregua di un furto o di un atto illegale compiuto da un gruppo ristretto.

In questo modo si scagiona la borghesia e il suo sistema politico di riferimento, la democrazia borghese, dalle sue responsabilità, quando invece non può essere scissa con il semplice parametro di ciò che è giuridicamente legittimo, da ciò che non lo è, una strategia complessiva che si interseca è che coniuga elementi giuridici con elementi non giuridici o addirittura antigiuridici, non in modo casuale, ma seguendo un preciso disegno, volto al mantenimento dello status quo, ovvero del sistema di dominio di una classe. Così non si coglie la capacità di difesa delle classi dominanti se non si guarda unitariamente all’idea di “democrazia protetta” nella sua formulazione giuridica e in quella fattuale, dove l’una lascia il passo all’altra quando non il sistema non è in grado di difendersi dall’interno, ma in una piena continuità di indirizzo di fondo.

Vorrei a questo punto tornare al Cile. In questo caso una coalizione di unità popolare formata da socialisti e comunisti ottiene la Presidenza della Repubblica Cilena, con Salvador Allende. Il Cile è una repubblica presidenziale modellata, come accade spesso in America Latina, proprio sul sistema statunitense. Il contesto del golpe è quello di forti tensioni tra il parlamento, in cui socialisti e comunisti non avevano la maggioranza e la presidenza, che gode in questo sistema di forte potere decisionale, superiore a quello delle democrazie parlamentari. Il contrasto si acuisce quando nelle elezioni parlamentari il blocco delle forze reazionarie perde la maggioranza dei due terzi necessaria a porre il veto sulla politica presidenziale. La democrazia ha consentito ai socialisti e ai comunisti di ottenere la presidenza attraverso le sue stesse regole, non si è dimostrata strumento capace di proteggere il dominio economico della borghesia dall’interno e dunque deve essere protetta dall’esterno. Ovunque il potere dei monopoli è stato messo in discussione si è creata una santa alleanza tra le forze borghesi nazionali, i paesi a capitalismo avanzato, spesso per il tramite delle organizzazioni internazionali, come la nato.

Quanto all’Italia è risaputo che la prospettiva cilena, insieme alla presenza nell’Europa meridionale della Grecia dei colonnelli, della Spagna franchista e del Portogallo di Salazar, al dispiegarsi della strategia della tensione, pose il PCI, rimasto unica forza di opposizione dopo l’ingresso del PSI nel governo, di fronte alla prospettiva di un golpe in Italia. La strategia del PCI berlingueriano fu quella del compromesso storico, lanciato da alcuni articoli su Rinascita, proprio a seguito dei fatti cileni. Questo si dice oggi, attraverso l’atteggiamento responsabile del PCI portò ad evitare la prospettiva cilena. In realtà il PCI aveva da tempo abbandonato ogni prospettiva rivoluzionaria ed abbracciato una strategia parlamentarista, fin dai tempi della segreteria Togliatti. Quando nel PCI si resero conto che questa strada non era percorribile, come il Cile dimostrava, il gruppo dirigente del Partito viaggiava ormai verso altri lidi. La democrazia progressiva aveva ripiegato sull’accettazione delle forme classiche della democrazia liberal borghese, il compromesso storico con l’appoggio al governo monocolore DC di Andreotti rappresentò il segnale politico della resa.

La questione del “socialismo del XXI secolo”.

Il punto a cui voglio arrivare con questa riflessione non riguarda solamente il dato storico, difficilmente confutabile per altro. Riguarda piuttosto il presente. È ben noto che in Sud America si va configurando una situazione in cui diversi movimenti di stampo fortemente progressista e di ideologia socialista sono giunti al governo per il tramite di elezioni libere, e che oggi di fatto, con una politica a favore delle classi sociali subalterne, portano avanti delle riforme strutturali nell’ambito della cornice della democrazia liberale borghese. Sebbene dalla stampa borghese, dai governi dei paesi imperialisti essi siano additati come dittature, democrazie plebiscitarie o simili, non c’è dubbio che, oltre la propaganda denigratoria, l’architettura costituzionale di tutti questi paesi sia a inserirsi a pieno titolo nel campo della democrazia liberale. In queste situazioni si respira la continua tensione tra un modello istituzionale concepito per il dominio di classe, ed una politica delle forze al governo maggioritarie, fatta di riforme che mirano ad abbattere quel dominio.

Penso al Venezuela innanzitutto, ma anche alla Bolivia, all’Ecuador, al Nicaragua ecc. In tutti questi paesi governi di unità popolare, molto simili, nel mutato contesto internazionale, a quello che fu il governo Allende, vedono la partecipazione di forze socialiste e comuniste, in un quadro che mantiene immutata la struttura sostanziale del sistema politico liberale, imperniato su un parlamento, con pluralità di forze politiche ecc..Il processo politico che ha portato alla vittoria di Chàvez in Venezuela è riuscito a sconfiggere un colpo di stato messo in piedi dalla borghesia nazionale con l’appoggio degli Stati Uniti. In questi anni quel processo è proseguito costituendo un prezioso baluardo antimperialista e portando avanti politiche si stampo certamente progressista. A queste esperienze non mancherà mai il nostro sincero appoggio, sebbene abbiamo delle riserve su alcune teorizzazioni che sono state condotte. E se esprimiamo queste riserve lo facciamo proprio nella speranza di evitare che alcuni fatti si ripetano.

Le recenti elezioni presidenziali in Venezuela hanno messo in luce, nel passaggio cruciale della successione di Chàvez, tutte le difficoltà di mantenere un processo rivoluzionario all’interno della struttura formale della democrazia borghese, la presenza di un’opposizione forte, economicamente e mediaticamente in grado di incidere nella società venezuelana, anche e soprattutto attraverso il costante appoggio economico dei grandi monopoli internazionali. Proprio questo ultimo elemento è cruciale nella situazione sud americana, e specialmente per il Venezuela, che incardina il perno principale su cui viene costruita la politica di indipendenza di alcuni stati dell’America Latina, da cui dipende la tenuta di tutto quel sistema che si è sviluppato in questi anni. Nel mondo globalizzato, della diffusione del capitale monopolistico a livello mondiale, le interconnessioni di interessi sono fortissime e questo rende ancora più precaria la situazione di quei paesi dove si decide di combattere la doppia pressione interna ed esterna, che si salda in una morsa micidiale, senza violare le regole della democrazia borghese. La già precaria situazione interna della tenuta di una contraddizione così forte, si lega a quella esterna dell’equilibrio regionale e mondiale di tenuta del capitale. E’ come ostinarsi a colpire di fioretto, quando si ha di fronte un carro armato.

Teorizzare dunque una formula generica di modalità che il socialismo dovrebbe acquisire in questo secolo, proprio a partire dal rispetto delle libertà politiche e dell’impalcatura del sistema democratico borghese, appare innanzitutto inapplicabile nei paesi a capitalismo avanzato, ma soprattutto, anche in quei paesi dove oggi viene portato avanti, non è nel medio lungo periodo in grado di garantire la necessaria stabilità di un processo rivoluzionario. Avere contro di sé parti importanti degli apparati statali, un’opposizione fortissima, perché ultima punta di un disegno che travalica i confini nazionali, un esercito, sebbene fino ad ora leale, pur sempre al servizio di un potere retto da regole liberal democratiche, sono forti elementi di contraddizione che potrebbero da un momento all’altro rivelarsi fatali.

La questione della differenza tra governare facendo proprie le regole del sistema che si vuole abbattere, e conquistare il potere, mutando il carattere dello Stato, ed utilizzandone i nuovi apparati per far avanzare il processo rivoluzionario, è ancora oggi cruciale e non basta cambiare secolo per risolvere questa contraddizione. Nei paesi a capitalismo avanzato, inseriti a pieno titolo in alleanze imperialiste le forze che hanno tentato partecipazioni ai governi borghesi in posizione di minoranza si sono ridotte ad amministrate lo stato borghese, facendo gli interessi della classe dominante. Lì dove maggioranze popolari hanno conquistato il governo, portando avanti una politica di riforme dalla portata profondamente progressista, resta l’incognita sulla prospettiva futura e sulla stabilità di quel processo. Quando esso arriverà a radicalizzare ancora di più le sue riforme, non potrà che dichiarare l’incompatibilità con il modello di democrazia liberale borghese.

In conclusione sulla presunta superiorità morale del modello democratico liberale.

Credo di aver dimostrato come la superiorità morale della democrazia liberal borghese, oggi decantata a modello unico possibile, sia in realtà un dato intriso di ideologia. L’idea del libero confronto tra le opinioni politiche trova un limite invalicabile nella tenuta del sistema politico stesso, e degli interessi economici che esso sottintende e difende. La libertà politica cessa lì dove questo si mette in discussione e il sistema genera forme di protezione interne ed estere che mirano ad escludere le masse popolari dal controllo della macchina dello Stato, anche a costo di tornare indietro sull’universalità delle libertà proclamate.  La democrazia pluralista si configura come “democrazia protetta” dall’interno del sistema giuridico, fino a quando la situazione lo consente, dall’esterno quando ciò non è più sufficiente. Il processo storico che portò nella prima metà del XX secolo alla nascita del fascismo, è oggi in grado di ripetersi sotto mutate forme ma uguale sostanza, come dimostra la crescita di Alba Dorata in Grecia, evidente risposta al protagonismo delle masse popolari. Ancora una volta le classi dominanti preferiscono il fascismo alla prospettiva di perdere i loro privilegi.

Mentre oggi socialismo e fascismo sono uniti nella categoria del “totalitarismo” che secondo le vedute maggioritarie dei costituzionalisti avrebbe rappresentato una parentesi buia nella storia del costituzionalismo liberale pre e post guerra, non si mette in rilievo come il fascismo venga generato dal capitale lì dove la democrazia borghese non è più in grado di difendere il dominio di massa. Proprio nel processo di progressiva riduzione delle libertà democratiche, volto a limitare l’influenza delle masse, si genera il fascismo come nuova forma di “partito dell’ordine” a cui la borghesia si rivolge per spezzare le rivendicazioni delle masse popolari.

Non è un caso che il fascismo originariamente (Italia e Germania) non si configura come rottura dell’ordinamento costituito, ma giuridicamente come sua evoluzione in senso formale. Non si conosce invero un caso in cui questo processo accada con il socialismo e riesca a restare in vita senza nessun intervento repressivo. Per quanto la dottrina costituzionalista si sforzi di trovare una ragione giuridica, e catalogare giuridicamente queste categorie, la spiegazione si trova nella base dei rapporti economici, nell’antitesi strutturale tra socialismo e capitalismo, nel fascismo come forma di assicurazione degli interessi delle classi dominanti, sotto mutata forma della struttura politica dello Stato, ma non della base economica dei rapporti di produzione della società. L’analisi del diritto che non tiene conto dei rapporti economici è apologia del capitale. Ed ogni studente che legge discorsi vuoti ed inconcludenti di migliaia di pagine che ruotano attorno a questo concetto deve avere la forza intellettuale di tenere sempre a mente la natura di classe di ciò che l’università quotidianamente ci propone. Conoscere, studiare a fondo tutto ciò che ci viene proposto, tenendo nell’altra mano un libro di Marx, e ricordando sempre quei fatti storici che con banale semplicità smentiscono nei fatti ogni costruzione teorica artificiale, non fondata sulla realtà dei rapporti materiali.

Il castello di carte cadrà al primo soffio di vento.

* (Segretario Nazionale del Fronte della Gioventù Comunista)

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