Di Federica Savino*
Poco tempo fa a Roma una ragazza di diciassette anni rischia la morte per un’infezione in seguito ad una pratica di aborto clandestino. Come le mammane facevano nel secolo scorso tra riti pagani e ferri di calze oggi si ricorre a magiche pillole per la modica cifra di cinquanta euro.
Abbiamo una legge che è in vigore da trentacinque anni che dovrebbe garantire a tutte le donne un aborto sicuro, legale e gratuito, ma anche supportare e tutelare la maternità, consentire a chi lo desidera di esercitare il proprio diritto di diventare madre. Ma la notizia della giovane donna che a rischiato la vita sembra quasi che sia passata inosservata, invece questo è un segnale molto grave che dimostra la perdita di efficacia della legge 194. Non si effettua una ricerca in merito agli aborti clandestini dal 2005, forse per evitare che emerga un fenomeno in aumento, dimostrando i pericoli che corre la nostra legge in rapporto alla massiccia incursione nella nostre strutture pubbliche di obiettori di coscienza, aborti clandestini diffusi in particolare tra la popolazione immigrata che potrebbe far emergere un’ineguaglianza della sua applicazione.
Eppure la dichiarazione del ministro della salute in merito alla relazione annuale, che affronta varie questione legate alla 194, sosterebbe che i dati “indicano che relativamente all’obiezione di coscienza e all’accesso ai servizi la legge ha avuto complessivamente una applicazione efficace”. La relazione presenta un quadro apparentemente roseo, dove la conclusione soddisfacente presenta una netta diminuzione degli aborti come fattore di efficacia della legge e della sua applicazione. Statisticamente è vero che gradualmente gli aborti dal 1982 sono gradualmente diminuiti del 54,7%, ad incidere su questo dato potrebbe essere stato la graduale diffusione dei metodi contraccettivi, nonostante la mancata diffusione di programmi di informazione educativi da sempre attaccati e contrastati dalla Chiesa Cattolica. Il progressivo calo degli aborti è inoltre attribuibile al progressivo calo dell’età fertile femminile che, nel nostre paese, è tra i più bassi d’Europa.
Come è possibile non notare che la diminuzione progressiva degli aborti è strettamente legata all’aumento dell’obiezione di coscienza, che dall’approvazione della legge è aumentata a livello percentuale del 17,3% , quindi il problema non può risiedere semplicemente nella “distribuzione inadeguata del personale fra le strutture sanitarie all’interno di ciascuna regione”, pur essendo sicuramente questo un problema da arginare, ma non fonte diretta della diminuzione delle IVG. Nel 2012 gli aborti sono calati del 4,9% rispetto all’anno precedente, ma abbiamo regioni in cui l’obiezione di coscienza tocca punte del 90%: Lazio 91%, Puglia 89%, Molise 85.7%, Campania 83.9%, Alto Adige 81.3% e Sicilia 80.6%. L’invasione dell’obiezione di coscienza costringe sempre più donne a pellegrinare da una regione all’altra nella speranza di incontrare strutture pubbliche nelle quali poter abortire, il problema diventa ancora più pressante ed evidente in rapporto alle interruzioni di gravidanza terapeutiche, per le quali addirittura si è obbligate ad andare fuori dall’Italia, ovviamente cosa che non tutte le donne possono permettersi, minando così al diritto di salute della donna.
Su tutto ciò la relazione ministeriale tace. Lo scopo sembra quasi lo smantellamento della 194 indirettamente, cercando di impedirne la piena applicazione. Non è possibile ridare piena centralità e valorizzare i consultori senza prima eliminare l’obiezione di coscienza, eliminando così il problema alla radice, potendosi così concentrare sugli obiettivi che da sempre sottendono la legge cioè quello di salvaguardare la maternità in un’ottica di supporto della mamma o della coppia e allo stesso tempo tutelare il diritto a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.
* responsabile commissione donne FGC