Pochi giorni fa in occasione della ricorrenza del rastrellamento del Ghetto di Roma, è stata diffusa la notizia dell’accordo bipartisan per l’introduzione in Italia del reato di negazionismo della Shoah. L’emendamento, depositato presso la commissione giustizia del Senato ha come primo firmatario Casson (Pd), ed è stato sottoscritto Caliendo (Pdl), D’Ascola (Pdl), Giarrusso (M5S), Cappelletti (M5S), Barani (Gal), Cirinnà (Pd), Lumia (Pd), De Cristofaro (Sel) e Albertini (Sc) e votato pressoché all’unanimità il giorno seguente.
Il testo dell’emendamento recita: «Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, la pena è aumentata della metà. La stessa pena si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità». La sensazione è che mentre a livello mediatico stia passando l’idea di una legge sul negazionismo della Shoah, a livello pratico si stiano costruendo le premesse per un’operazione, ben più vasta e con altri orizzonti politici.
L’idea è confortata dal parere espresso da diversi storici che hanno, non per la prima volta a dire il vero, manifestato tutto il loro disappunto per questo provvedimento legislativo. Già nel 2007 un disegno di legge di analoga portata, presentato dall’allora Ministro Mastella venne poi ritirato proprio sulla base di questi timori. Ma oggi pare che il reato di negazionismo marci spedito verso l’approvazione anche alla Camera dei Deputati.
Chi come noi ha da sempre fatto dell’antifascismo una battaglia essenziale non ha bisogno di mostrare in questo ragionamento le sue credenziali, nella difesa della memoria storica e nel lavoro quotidiano di argine alla diffusione di ideali ed organizzazioni neofasciste tra i giovani. Per questo ci permettiamo di esprimere tutte le nostre perplessità e la nostra contrarietà ad un provvedimento che riteniamo inutile, dannoso, e per i caratteri vaghi con cui la fattispecie viene identificata, passibile di utilizzo trasversale e arbitrario, anche e soprattutto nei confronti di altre pagine nella storia recente, il cui giudizio è tutt’altro che condiviso.
Siamo dell’idea in primo luogo che il negazionismo della Shoah vada combattuto a livello culturale e politico e che lo strumento giuridico sia del tutto inefficace, e – come affermato anche dagli storici firmatari dell’appello – rischi in un momento come questo, di profonda crisi economica, di concedere ai negazionisti lo status di “perseguitati” e “difensori della libertà di pensiero”. Non è un caso che gli stessi promotori della legge non sarebbero minimamente favorevoli a serie campagne antifasciste, con progetti culturali adeguati. Anzi molti dei votanti, sono storicamente responsabili della riabilitazione politica del fascismo e del revisionismo storico di questi anni.
In secondo luogo, riteniamo che mentre a livello mediatico l’obiettivo dichiarato è il negazionismo della Shoah, a livello pratico si rischia, per la voluta vaghezza nella definizione del reato, di ricomprendere ed equiparare altre pagine storiche al nazifascismo. La legge in questione pone a discrezione dell’organo giudicante, la questione sostanziale dell’equiparazione tra nazifascismo e comunismo. Siamo già pronti a vedere questa legge utilizzata ogni qual volta si cercherà di contestualizzare la questione delle foibe, ricondurla ai numeri storici reali che vadano oltre la propaganda effettuata in questi anni dalla destra.
In ultimo appare una questione irrisolta, ossia se la storia possa essere giudicata al pari di un qualsiasi fatto compiuto da un normale cittadino, da un organo giudicante, sulla base di una legge assai vaga, che pone al giudice un compito storico-esegetico assai arduo, e in definitiva arbitrario. Il giudice non è uno storico, e tra gli storici, avendo a che fare con un fatto umano, non può esistere la medesima perizia e unità di vedute, o potenzialità di unità di vedute, che per il lavoro di un normale perito che applica canoni scientifici. In definitiva in che modo è possibile stabilire con assoluta certezza, tanto da determinare una condanna cosa sia “genocidio”, cosa sia “crimine contro l’umanità” e cosa sia “terrorismo” se non sulla base del sentire comune, ovvero sulla base di definizioni date, nel migliore dei casi, da tribunali internazionali, che sono espressione dei rapporti di forza dominanti. Quest’operazione è assai ardua già per condannare il colpevole dei crimini, ma diventa assai arbitraria quando incontra il terreno delle sole opinioni.
Così ad esempio, per chi scrive, la condotta degli Stati Uniti d’America in relazione al Kossovo, alla Libia, all’Afghanistan, all’Iraq e via dicendo passando per il Vietnam, è una condotta criminale, che meriterebbe a pieno titolo la definizione di “crimine contro l’umanità”. Ma nessun tribunale internazionale darà mai una tale definizione, mentre con tutta probabilità la verità storica, in nome degli interessi imperialistici, è stata rovesciata, dando alle vittime il ruolo di carnefici, agli assassini quello di liberatori. Astrattamente questa legge è in grado di punire chi, concretamente rispetto alle situazioni citate, sostenga questa tesi.
Non ne parliamo della storia dell’Unione Sovietica, dove, dopo vent’anni di anticomunismo viscerale, molti storici si stanno sforzando di dare un giudizio obiettivo su quell’esperienza. Il loro lavoro sarà ancora possibile con questa legge? E il nostro? Riteniamo che su questo argomento ci sia un silenzio complice di una certa sinistra, che per paura di essere tacciata di non difendere adeguatamente la memoria antifascista, preferisce tacere su un aspetto così importante, potenzialmente assai grave. Il Partito Comunista si oppose sempre a misure di questo genere ben sapendo che l’obiettivo reale di ogni colpo a destra, fosse nella realtà darne due a sinistra. Una situazione così evidente che solo chi non vuole può far finta di non vederla.