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Sudafrica, per lo sport del profitto l’apartheid si combatte con le quote.

Mentre in questi giorni la nazionale italiana di Rugby scenderà in campo in vari test-match in preparazione ai Mondiali, (dopo aver perso pochi giorni fa contro i più forti australiani 20 a 50 e vinto invece contro le isole Fiji) volevamo riportare l’attenzione su una notizia risalente a qualche mese fa, riguardante questo bellissimo sport, passata sotto silenzio. Precisamente parliamo del Sudafrica una delle nazioni più importanti, con una lunga storia di lotta e rivendicazioni sociali e politiche, di tutto il continente. Paese che ha vissuto per decenni sotto il duro tallone dell’Apartheid, la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca: le elite di potere, tutte di origine europee, tenevano saldamente in mano le leve del potere economico e si servivano così di tutti i mezzi, compreso l’Apartheid, per sfruttare senza pietà l’immensa, per numero, classe lavoratrice sudafricana. Quest’ultima composta quasi esclusivamente da neri e immigrati asiatici a cui era vietato, tra le tante vessazioni, quella di costituire organizzazioni comuniste.

E’ ormai Storia che dall’inizio degli anni novanta, con la fine delle leggi razziali, e successivamente dal 1994 con le libere elezioni vinte dall’ANC e dal suo leader Nelson Mandela il Sudafrica abbia intrapreso una difficile strada verso la creazione di uno stato moderno e democratico: l’alleanza naturale che l’African National Congress aveva con il Partito Comunista Sudafricano spingeva in molti a credere, o sperare, che questa strada portasse verso un sistema socialista. Questo non avvenne e l’ANC, spostato sempre più verso posizioni liberiste e fautore di alleanze controverse si trova a governare oggi una situazione esplosiva e contraddittoria. E’ cronaca attuale la sempre più dura repressione contro le istanze dei lavoratori e le tensioni sociali che creano i grandi flussi migratori che provengono dal Continente. Non abbiamo la pretesa in poche righe di essere esaustivi sulla storia di questo Paese e sulle sue dinamiche di classe, ma è necessario contestualizzare per valutare questa notizia: mercoledì 14 agosto, la South African Rugby Union ha annunciato la decisione di introdurre quote razziali (fatto già avvenuto solo per le competizioni domestiche dal 1999 al 2004 ) nella Vodacom Cup, la seconda competizione sudafricana dopo la Currie Cup, la terza contando il Super Rugby.

Secondo quanto annunciato dalla SARU, ognuna delle squadre dovrà includere tra i convocati di una partita almeno sette giocatori neri, almeno cinque dei quali inclusi nel XV titolare e almeno due dei quali in mischia. Il Sudafrica ha investito molto da un punto di vista di immagine a livello internazionale su questo sport che per decenni nel paese è stato riservato solo ai padroni, cioè ai bianchi: veicolare il nuovo spirito di riconciliazione al Rugby è stata una scommessa di Mandela e dell’ANC. Quanto è stato fatto e quali risultati sono stati raggiunti? Il presidente della SARU ha commentato che “Il Sudafrica non ha fatto abbastanza progressi nel cambiare uno sport che è stato storicamente riservato ai bianchi e che in passato è stato strettamente connesso al regime razzista dell’apartheid” ma che ” questo non è un sistema di quote imposto dall’alto. È passato attraverso tutti i canali di discussione necessari e la maggioranza [dei club] è favorevole”.

Evidentemente quale sia stato il processo decisionale non modifica sostanzialmente la questione e trova nelle frange della destra sudafricana i più netti oppositori a questa soluzione, i quali hanno buon gioco a dichiarare che le quote razziali nel rugby (e nello sport in generale) “sono inconciliabili con un’attività in cui i partecipanti mirano esclusivamente all’eccellenza per raggiungere i più alti livelli di partecipazione basata sul merito”. Naturalmente in un sistema capitalista il merito è una discriminante assolutamente classista: quale ragazzo o ragazza dei sobborghi proletari delle città sudafricane potrà mai permettersi una crescita sportiva in società che permettano loro di dimostrare le loro capacità? Solamente chi ha le capacità economiche potrà avere questa possibilità. Ovvero sempre i figli della borghesia, siano essi bianchi o neri.

Ma nemmeno il sistema delle “quote”, tanto caro anche in Europa riguardo alla presenza delle donne e del loro ruolo nella nostra società, porterà mai alla soluzione del problema ma produrrà al contrario un’auto-ghettizzazione dei soggetti in questione generando sempre più tensioni sociali. Il sistema sportivo basato sul profitto, riflettendo cioè la struttura economica del sistema capitalista, crea esclusione, corruzione, scandali: il razzismo sarà logica conseguenza di questo stato di cose, così in Sudafrica come in tutta Europa. Per risolvere alla radice questi problemi perciò non basteranno leggi ne quote, sermoni ne inquisizioni morali: lottare per il socialismo per ridare i beni della società al popolo, compreso lo Sport. Questa è la via maestra. Per questo salutiamo con gioia e sosteniamo tutti i movimenti sportivi e le associazioni che, dal basso, cercano tra mille difficoltà economiche di riportarlo alla gente legando sempre e indissolubilmente la gioia dell’attività sportiva con la volontà di costruire un mondo migliore. Alla lotta allora, e buon divertimento!

 

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