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cost sovietica 1936

LA COSTITUZIONE SOCIALISTA IN URSS E IL COSTITUZIONALISMO ITALIANO

di Paolo Spena

Questo articolo nasce in occasione del 77° anniversario dell’adozione in Unione Sovietica della cosiddetta “costituzione staliniana” del 1936, per riflettere sulla concezione che i comunisti debbono avere dell’idea di Costituzione, e aprire una necessaria autocritica su quanto prodotto in questi anni da parte di chi, dal pulpito della sinistra più o meno radicale, faceva della “difesa della costituzione” il proprio cavallo di battaglia.

La costituzione sovietica del 1936 fu in effetti quanto di più straordinario potesse essere elaborato in quegli anni. Essa portava con sé, assieme a tutte le innovazioni riguardanti la società e l’economia sovietica, un modo del tutto innovativo di intendere l’idea di Costituzione, del tutto diverso dalla concezione che  se ne aveva nel resto del mondo. La differenza fra la costituzione sovietica e le costituzioni borghesi, affermava Stalin nel suo rapporto sul progetto di costituzione in URSS, era la differenza che correva fra una “costituzione” nel senso della parola e un programma, fra una costatazione delle conquiste del presente e la dichiarazione di intenti sulle conquiste future.

Può essere interessante confrontare oggi il progetto di costituzione in URSS con il progetto di Costituzione della Repubblica Italiana che veniva avviato appena 10 anni dopo. I rapporti di forza all’interno dell’Assemblea Costituente furono relativamente favorevoli per socialisti e comunisti (è opportuno ricordare come il PCI fosse allora il più grande partito comunista d’occidente), che da minoranza riuscirono a imprimere un carattere sociale nella nostra Costituzione più che in ogni altra Costituzione del mondo occidentale. Dovendo esprimere questo concetto in termini marxisti, diremmo che la nostra Costituzione è la cristallizzazione giuridica dei rapporti di forza sviluppatisi all’interno dell’Assemblea Costituente. Gli irriducibili difensori della “costituzione nata dalla Resistenza” elogiano le bellissime enunciazioni della nostra costituzione (la “repubblica fondata sul lavoro”, l’eguaglianza sostanziale, il diritto al lavoro, ecc), ma il loro limite sta nel non riuscire ad analizzare dialetticamente la sua natura. Quella italiana resta una costituzione borghese, che difende l’effettività dei “diritti borghesi” già conquistati (specie il diritto alla proprietà), e limita i diritti sociali a enunciati ideali di giustizia ed uguaglianza che lo Stato dovrebbe perseguire. Molti di questi enunciati sono, come accennato, più avanzati rispetto alle altre costituzioni europee, proprio grazie alla maggiore forza dei comunisti del nostro paese, ma la nostra Costituzione resta ad oggi un “programma” che sancisce sulla carta dei diritti non effettivi.  L’errore storico dei comunisti e del PCI (a partire dalla segreteria Togliatti) in Italia fu l’aver inteso la Svolta di Salerno non come un giusto passaggio tattico adeguato alle condizioni che oggettivamente non erano mature per la presa del potere, ma come una strategia politica che si tradusse nell’idea della “via italiana al socialismo”. Questo errore portò all’idea che le nuove conquiste per le classi popolari potessero essere ottenute tramite la “difesa della Costituzione nata dalla Resistenza”, che da sola sarebbe bastata a rendere effettivi i diritti enunciati. Si stava di fatto rinunciando, nel nome della difesa della Costituzone, ad una strategia offensiva che mirasse alla progressiva avanzata dei lavoratori fino alla presa del potere e alla costruzione del socialismo, uniche vere garanzie per dare un carattere di irreversibilità a conquiste sociali che all’interno del capitalismo sono destinate a restare precarie e revocabili. Coerente rispetto a quella situazione era il concetto di “costituzione materiale” formulato dal giurista democristiano Costantino Mortati, che assegnava ai partiti politici il ruolo di sorreggere gli obiettivi individuati dalla Costituzione e farsene garanti, ammettendo dunque che l’effettività dei principi costituzionali era strettamente legata alla presenza al Governo di forze politiche realmente interessate a farli valere. La dissoluzione del PCI, che con tutti i suoi innumerevoli difetti contribuiva alla progressiva (seppur limitata) attuazione di alcuni di questi principi, è una delle cause che oggi ha portato alla totale insignificanza di quelli che oggi sono solo dei falsi enunciati che restano sulla carta. Nella “repubblica fondata sul lavoro” il diritto al lavoro non è riconosciuto nell’effettivo, così come diritti come il diritto all’abitare, allo studio o alla salute sono subordinati ad altri fattori come il profitto di terzi. L’Italia ripudia la guerra, ma basta mandare i soldati in guerra con regole d’ingaggio previste per le missioni di pace. Si finanziano le scuole private invece delle scuole pubbliche, nonostante la Costituzione affermi che l’istruzione privata non debba comportare oneri per lo Stato. Questa è la natura della Costituzione Italiana e di ogni costituzione borghese, ed è ciò che i suoi strenui difensori, ancora legati alla deriva togliattiana che fu l’inizio del disastro per i comunisti in Italia, non riescono a capire.

Il progetto di Costituzione in Unione Sovietica, che aveva luogo ben 10 anni prima, si apriva con presupposti del tutto differenti. Già in questi presupposti risiedeva la profonda diversità di quel paese rispetto a tutti gli altri paesi del mondo. La Commissione della Costituzione, istituita in seguito a una decisione speciale del VII Congresso dei Soviet, aveva il compito di «adeguare la Costituzione (del 1924, ndr) all’attuale rapporto tra le forze di classe nell’URSS» (Stalin, Sul progetto di costituzione dell’URSS, 1936). Nello stesso rapporto, Stalin affermava che «il progetto della nuova Costituzione costituisce un bilancio della via percorsa, un bilancio delle conquiste già ottenute. Esso è, perciò, la registrazione e la sanzione legislativa di quello che è stato già ottenuto e conquistato.» La Commissione aprì i suoi lavori proprio analizzando le trasformazioni avvenute nella società sovietica a partire dal 1924, anno in cui fu redatta la precedente Costituzione. Nei 12 anni che separavano i due momenti costituenti, la lotta di classe del popolo sovietico aveva dato i suoi frutti. I kulaki che tanto avevano oppresso i contadini fino a causare la carestia del 1932-33 erano stati ormai sconfitti, e nell’agricoltura era diventata predominante la forma di proprietà cooperativa dei colcos. Era nata inoltre la nuova industria pesante, fondata sulla proprietà socialista. Questi eventi avevano comportato l’enorme innalzamento della qualità della vita, e la conquista di innumerevoli diritti di cui i lavoratori ora potevano godere. Le fabbriche lavoravano senza capitalisti, i campi erano coltivati da contadini senza padroni. La Costituzione del 1924 preparava la società sovietica alla lotta di classe che avrebbe avuto luogo negli anni successivi; la Costituzione del 1936 nasceva per rendere immortali le conquiste ottenute da questa lotta. Un semplice ma significativo emblema di questo intento fu l’eliminazione dell’uso della parola “proletariato” e la sua sostituzione con “lavoratori” o “operai e contadini”, tanto nel testo costituzionale quanto in tutti i documenti che si riferissero alla contemporaneità: il proletariato era la classe che non possedeva i mezzi di produzione in un sistema in cui la proprietà di questi mezzi era privata; in URSS la proprietà dei mezzi di produzione era collettiva, dunque non si poteva più chiamare la classe operaia “proletariato”. Ben più importanti di questa semplice “politica lessicale” furono poi i riconoscimenti delle trasformazioni economiche e sociali: i primi articoli della nuova Costituzione trasformavano in legge fondamentale dello Stato le realtà ottenute con la lotta, cioè la proprietà socialista collettiva delle industrie, e la proprietà cooperativa dei colcos, sancendo il principio “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. È altrettanto importante notare come la nuova Costituzione non parlasse del futuro raggiungimento del comunismo, o comunque di traguardi progressivi non ancora raggiunti. Coerentemente con quanto avrebbe esposto da Stalin in Problemi economici del socialismo nell’URSS (1952), ad esempio, nella nuova Costituzione non si faceva riferimento alla proprietà collettiva dei terreni agricoli, poiché la base economica del socialismo (cioè lo sviluppo delle forze produttive) non era ancora matura per l’instaurazione di questa nuova forma di proprietà socialista; allo stesso modo e per lo stesso motivo non si faceva riferimento alla ripartizione in base ai bisogni piuttosto che al lavoro.

Nel complesso, la Costituzione del 1936 fu un coerente spaccato della società sovietica e delle conquiste del popolo sovietico. Essa era realmente una “costituzione”, pensata non per costruire castelli di carta con dichiarazioni inconsistenti, ma per gettare le solide fondamenta di una nuova società la cui edificazione era finalmente iniziata dopo anni di lotte, per la prima volta nella storia.

Ben dieci anni prima che la Costituzione Italiana enunciasse sulla carta dei diritti che oggi valgono per un numero sempre minore di cittadini, la Costituzione Sovietica scolpiva nella pietra le prime conquiste del socialismo, con l’intento di renderle non solo diritti intoccabili, ma solidi appoggi verso conquiste sempre maggiori alla causa della liberazione dell’uomo dalla schiavitù. In questo sta la sua spinta propulsiva e la sua inesauribile attualità. Essa appartiene al passato, ma ora che dinanzi alla crisi del capitalismo ogni articolo della nostra Costituzione perde significato, viene da pensare come i cittadini di quel gelido paese dell’Est in realtà, e forse inconsapevolmente, vissero nel futuro.

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