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L’UE interviene nella Repubblica Centro Africana, con plauso USA e copertura ONU.

di Alba Smeriglio

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato martedì la risoluzione con cui autorizza le truppe europee ad intervenire in Repubblica Centrafricana (RCA), in appoggio alle forze francesi -già presenti nella Regione nell’ambito dell’operazione “Sangaris”- e a quelle africane della Misca (Missione internazionale di sostegno al Centrafrica). La risoluzione dell’Onu autorizza così le truppe europee ad “adottare tutte le misure necessarie per sostenere la missione nello svolgimento del suo mandato”, dandole praticamente carta bianca nella sua azione di ingerenza imperialista negli affari interni del Paese.

Era la risposta che l’Unione europea (Ue) stava aspettando dopo aver dato -in occasione del Vertice dei ministri degli esteri tenutosi lo scorso 20 gennaio a Bruxelles- il via libera unanime alla pianificazione operativa di un intervento militare nell’ex colonia francese. Oltre ad inviare tra le 500 e le 1000 unità militari entro la fine di febbraio -che si andranno a sommare alle oltre 1.600 già schierate dalla Francia ed alle 4.500 messe in campo dalla Misca- l’Ue si è impegnata a stanziare 50 milioni di euro con l’obiettivo dichiarato di fare fronte alla crisi centrafricana e “ristabilire la pace e l’ordine nel Paese”.

Proprio l’Ue sarà il principale sponsor finanziario dell’intervento militare, come ha sottolineato trionfalmente Kristalina Georgiova, commissario europeo agli Aiuti umanitari, in occasione di una conferenza stampa congiunta con il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari. La comunità internazionale, infatti, stanzierà circa 550 milioni di dollari, ai quali l’Ue contribuirà grazie ai fondi messi a disposizione dagli Stati Membri (e quindi, in ultima istanza, dai lavoratori di ogni singolo Paese), dopo aver già elargito lo scorso anno 225 milioni di euro, versati a titolo di aiuti allo sviluppo, e 30 milioni di euro di aiuti “umanitari” nella Regione. Ma cosa si nasconde dietro l’ignobile retorica della pretesa “missione umanitaria” o di “peacekeeping” (termine molto gettonato di questi tempi dagli imbroglioni imperialisti e dai suoi organi di propaganda) lanciata dall’imperialismo europeo, sotto le bandiere dell’organizzazione imperialista Onu, nella Repubblica Centroafricana? Per avere un’idea più chiara occorre capire quanto sta accadendo oggi in un Paese che, seppur potenzialmente ricchissimo di risorse (tra le quali diamanti, oro ed uranio), è costretto a vivere in condizioni di estrema povertà, come dimostrano i seguenti indicatori: analfabetismo al 52%, mortalità infantile del 82 per mille, speranza di vita media che non supera i 48 anni, mentre oltre il 60% della popolazione vive (o per meglio dire, sopravvive) con appena 1,24 dollari al giorno.

La crisi in Repubblica Centrafricana

La crisi nella Regione è scoppiata nel dicembre 2012 quando una coalizione eterogenea di gruppi combattenti provenienti dal nord del Paese iniziava la sua avanzata verso la capitale, acquisendo il controllo di intere città nella parte centrale e settentrionale del Paese. La coalizione denominata Sénéka (“alleanza”, in lingua Sango), pur non possedendo un’agenda politica ed un’ideologia condivise, era accomunata dall’ostilità nei confronti del governo centrale, presieduto da Bozizé. Quest’ultimo, giunto al potere nel 2003 dopo il colpo di Stato ai danni dell’ex- presidente Patassé, era accusato di non aver rispettato i patti del 2007 e del 2013 (accordi di Libreville) che avrebbero dovuto sancire l’amnistia nell’esercito regolare ed un rimpasto governativo che garantisse una maggiore voce in capitolo alle forze di opposizione.

Lo scorso marzo il conflitto si risolveva con la vittoria dei ribelli del nord -guidati da Michel Djotodia (ex console in Sudan sotto il Governo Patassé)- e la conseguente destituzione del Presidente, fuggito poi in Congo-Brazaville. Dopo il colpo di Stato, il leader di Sénéka su autoproclamava Presidente del Paese e sospendeva la Costituzione, affermando di voler costituire un governo di transizione e di voler indire nuove elezioni nel giro di due o tre anni. Già all’indomani della vittoria, però, l’alleanza si sgretolava sotto il suo stesso peso a causa di fratture interne. Il neo-Presidente, incapace di tenere le redini del potere, si dimetteva, sostenendo di “non avere più la totale autorità sui ribelli”. Nel frattempo, in varie zone del Paese facevano la loro comparsa dei gruppi cosiddetti di autodifesa chiamati “anti balakas” (ossia, anti machete), con il compito di respingere la presenza dei miliziani dai rispettivi territori. Dopo settimane di scontri e di guerriglia, il 23 gennaio Catherine Samba-Panza, già sindaco della capitale, prendeva il posto di Djotodia per un governo di transizione e chiedeva alle milizie di deporre le armi e porre fine ai prolungati e sanguinosi scontri.

Interessi imperialistici nella Regione

E’ in questo contesto che la Francia ha individuato la sua occasione d’oro per ristabilire il controllo sull’ex colonia, lanciando l’operazione cosiddetta “Sangaris” (dal nome di una farfalla rossa tropicale che vive in quelle zone). Si tratta dell’ennesimo intervento armato dell’imperialismo francese nel territorio centrafricano, il quarto dall’indipendenza che, sebbene sia stata formalmente dichiarata nel 1960, non ha mai smesso di vedere il colonialismo francese tramare dietro le quinte, come dimostrano i numerosi interventi di aggressione posti in essere nella Regione. L’ azione francese si inserisce, infatti, in quella che è conosciuta come la politica della “Francafrique”. Si tratta di un indirizzo di politica strategica imperialistica inaugurato durante la presidenza De Gaulle con la nascita della cosiddetta “cellula africana”, un apparato finalizzato ad influenzare la vita politica delle ex colonie al fine di preservare i forti interessi francesi in Africa centrale.

Parigi ha sostenuto dittatori sanguinari e regimi corrotti e contribuito ad alimentare conflitti tra le comunità in nome della tutela dei propri interessi. Basti ricordare il caso di Jean-Bedel Bokassa, uno dei più feroci e sanguinari dittatori che la storia recente dell’Africa ricordi. Tra il 1965 ed il 1979, egli ha imposto il terrore, insediato un sistema di corruzione e sperperato le risorse naturali del Paese (vedi i 20 milioni di dollari spesi per la sua incoronazione ad “Imperatore del Centrafrica”, equivalenti alla metà del bilancio annuale statale). La Francia rimase il principale sponsor internazionale del regime di Bokassa, appoggiandolo in cambio dello sfruttamento di uranio e lo smercio di diamanti. A seguito della sommossa di Bangui del 1979, in cui il dittatore fece uccidere oltre 100 studenti, la Francia decise infine di scaricare il suo pupillo, ormai divenuto una figura scomoda del servilismo neocoloniale. Parigi lo rimpiazzava poi con un altro dittatore, David Dacko, consigliere personale di Bokassa stesso. Più recentemente, la Francia ha fornito il proprio sostegno attivo a Francois Bozizé. Quest’ultimo formatosi nell’esercito francese, era il braccio destro di Bokassa nel 1979, proprio nell’anno della sanguinosa repressione delle manifestazioni studentesche.

E’ evidente come l’attivismo di Parigi in Africa non possa essere spiegato con argomenti di carattere “umanitario”, piuttosto appare chiaro come il mantenimento della stabilità nella Regione sia funzionale alla protezione degli interessi delle grandi multinazionali francesi operanti nell’area in settori chiave quali: l’energetico, trasporti, telecomunicazioni e sfruttamento delle materie prime. In particolare, è intorno all’approvvigionamento di uranio che ruotano gli interessi francesi come ne é caso emblematico la multinazionale francese a controllo statale “Areva”. Quest’ultima aveva siglato nel 2008 un accordo per lo sfruttamento del sito minerario di Bakouma (nel sudest del Paese), con riserve stimate di uranio di circa 32.000 tonnellate.

Appare chiaro come la tanto decantata questione morale che starebbe dietro l’iniziativa del “socialista” Hollande di intervenire negli affari interni del Paese Africano, non sia altro che l’ennesimo tentativo di mantenere l’ex colonia sotto la propria sfera di influenza, anche a fronte della perdita delle fette di mercato registrare dalla Francia nel territorio. Le imprese francesi si trovano, infatti, a competere contro altre potenze che stanno guadagnando terreno. Secondo uno studio del Ministero dell’Economia francese, la quota delle esportazioni francesi verso l’Africa sub-sahariana è calato dal 10,1% del 2000 al 4,7 del 2011; Parigi retrocede così, nell’arco di 10 anni, da primo esportatore nella regione a quinto, dopo Cina, India, USA e Germania.

Conflitti interimperialistici per lo spartimento delle risorse

Non è difficile vedere come dietro all’intervento francese ed europeo vi sia la necessità di assicurarsi il controllo delle risorse strategiche e dei mercati di sbocco e di recuperare il terreno perduto nei confronti della Cina, oggi principale partner commerciale dell’Africa. Esemplificativo in tal senso il commento del Ministro delle Finanze francese, Pierre Moscovici che, riferendosi al commercio con l’Africa sub-sahariana, ha affermato: “la Francia non aveva compreso o percepito chiaramente la nuova competizione in atto, che le nostre posizioni non erano più esclusive o garantite”.

Dal canto suo l’amministrazione Obama ha votato a favore e co-sponsorizzato la risoluzione dell’ONU, dicendosi pronta a fornire aiuti logistici ed equipaggiamenti oltre che ad assistere le truppe francesi in Centrafrica qualora ve ne fosse bisogno. La potenza imperialista USA lascia però (almeno al momento) alla Francia e all’Ue imperialista il ruolo da protagonista nelle operazioni in Africa, delegando a queste ultime il compito di arginare la potenza cinese nella Regione. Mentre gli States concentrano le proprie truppe sul terreno nelle operazioni considerate prioritarie, quali quelle in atto nell’area del Pacifico.

Insomma, dietro alla solita odiosa retorica dell’emergenza e degli “interventi umanitari” non si nasconde altro che l’aspra competizione in atto tra i vari poli imperialisti, che si battono per la spartizione delle risorse del pianeta. Tale lotta si manifesta nella proliferazione di conflitti militari combattuti in paesi terzi, come nel caso dell’inammissibile atto di ingerenza negli affari interni della Repubblica Centrafricana; mentre a farne le spese saranno, ancora una volta, i popoli.

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