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Mistificazioni e realtà nella penisola coreana

Di Lorenzo Scala

Sul nostro giornale abbiamo recentemente analizzato gli ultimi sviluppi nel contesto della situazione inter-coreana, riportando in particolare le proposte di pace e distensione fatte dal Nord al Sud in vista delle prossime esercitazioni militari di quest’ultimo, condotte annualmente con la collaborazione delle truppe statunitensi nel Mar Giallo. Nonostante il rifiuto sudcoreano di annullare le suddette esercitazioni, la linea diplomatica nordcoreana sembra comunque aver prodotto dei risultati di non scarsa rilevanza: per la prima volta dal 2007 si sono svolti dei colloqui ad alto livello fra le due Coree a Panmunjom, sul 38° parallelo, e sono ripresi gli incontri fra le famiglie coreane divise dalla guerra, interrotti dal 2010.

Purtroppo però possiamo vedere come le agenzie di stampa del Sud, conformemente a quanto hanno sempre fatto, non cessino di diffondere in tutto il mondo notizie false e diffamatorie nei confronti della realtà politica della Corea socialista, inutili ai fini di un dibattito costruttivo tanto quanto infondate. Il Chosun Ilbo, quotidiano governativo, ha riportato lo scorso mese una notizia le cui fonti, casualmente, risultano essere tutte anonime: il leader nordcoreano Kim Jong Un avrebbe ordinato l’uccisione della maggior parte dei componenti della famiglia di suo zio, Jang Song Thaek, giudicato colpevole di aver progettato un colpo di stato e quindi fucilato con l’accusa di alto tradimento lo scorso dicembre. Secondo le fantasiose ricostruzioni, ragazzi poco più che ventenni sarebbero stati condotti dinnanzi ai plotoni d’esecuzione assieme ai vari fratelli di Jang, loro genitori. L’idea di un’epurazione su larga scala – comprendente anche donne e bambini- decisa dal giovane e sanguinario despota è solo una delle migliori trovate mediatiche degli ultimi tempi, immediatamente successiva alla fantomatica fucilazione di Hyong Song Wol, ex compagna di Kim Jong Un, ed alle crudeli modalità nelle quali è stato ucciso Jang Song Thaek, fatto sbranare da centoventi cani affamati davanti ai membri più influenti del Partito del Lavoro di Corea: tutte notizie che hanno dell’assurdo, rivelatesi successivamente false, ma per la cui smentita non è stato minimamente concesso lo stesso spazio utilizzato invece per la loro diffusione.

Tutto ciò va inoltre ad unirsi anche ad un recente rapporto redatto dal Consiglio dell’ONU per i diritti umani, nel quale si denunciano “evidenti ” e “sistematiche” violazioni di questi ultimi nella Corea del Nord. Non dovrebbe stupire come questo documento sia stato redatto principalmente grazie a testimonianze anonime, raccolte in sessioni tenutesi a Washington, Londra, Tokyo e ovviamente Seoul. Equiparando la Corea Popolare al Terzo Reich -secondo il già tristemente conosciuto paradigma storiografico di accostamento di comunismo e nazismo- le alte cariche delle ONU hanno perfino proposto il deferimento delle più alte cariche statali del Nord al Tribunale Penale Internazionale. Questa campagna di disinformazione ha, a parere di chi scrive, due fini principali: il primo è quello di plagiare l’opinione pubblica, contribuendo a rendere sempre di più la Corea Popolare un paese anacronistico, medioevale e chiuso, mentre il secondo, soprattutto attualmente, è quello di distogliere l’attenzione della stessa opinione pubblica dalle importanti iniziative che il governo socialista del Nord sta intraprendendo riguardo alle giuste premesse per un ristabilirsi di rapporti diplomatici col Sud, per una riunificazione pacifica e per una denuclearizzazione equa e bilaterale della Penisola. E’ molto meglio non creare confusione nei lettori, e continuare e far vedere loro la Corea del Nord come l’ultimo bastione della presunta oppressione comunista, piuttosto che come uno stato attivo per il rispetto del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli.

Per quanto riguarda il contesto sudcoreano invece, è probabile che Seoul, mettendo Pyongyang alla berlina, voglia far tacere le sempre più preoccupanti notizie concernenti la propria politica liberticida nei confronti dei lavoratori, il cui massimo esempio l’abbiamo avuto lo scorso 10 dicembre, giorno nel quale ha avuto inizio lo sciopero dei lavoratori del trasporto sul ferro, stipendiati dalla Korail, compagnia statale che sembra sempre più avviata verso un processo di privatizzazione a causa della fondazione di un’altra società sussidiaria la quale avrà il completo controllo delle ferrovie della provincia di Gyeonggi, comprendente anche la capitale Seoul. Anche le dichiarazioni fatte nel suo ultimo viaggio in Europa dall’amministratrice delegata della compagnia, Choi Yeon-hye, secondo le quali la Korail sarebbe pronta ad aprirsi al capitale straniero, hanno portato i lavoratori sudcoreani alla convinzione che, ben presto, vedranno i propri posti di lavoro affidati ad investitori privati ed all’estero. Il sindacato Korean Railway Workers’ con l’appoggio dei lavoratori della metropolitana della capitale ha affermato come i recenti provvedimenti porteranno a licenziamenti di massa ed all’aumento dei prezzi per la popolazione, come già accaduto negli anni della dittatura militare.

Quasi 9000 lavoratori hanno aderito allo sciopero, portando la loro protesta dinnanzi alla sede centrale della Korail la quale, non potendo comunque nascondere gli evidenti disagi nel trasporto merci, ha impiegato qualche altro migliaio di dipendenti per sostituire il personale in sciopero. La dimostrazione si è protratta per due giorni, e le misure repressive non sono tardate ad arrivare: 5941 lavoratori sono stati licenziati in tronco nel giro di poche ore, rei di aver aderito al blocco delle attività e di aver impedito il corretto funzionamento delle infrastrutture, con quasi 200 di questi che sono stati anche denunciati penalmente e tuttora sono in attesa di una sentenza. I tempi in cui studenti tredicenni venivano trucidati durante mobilitazioni per il diritto allo studio ed alla riunificazione da parte della polizia privata di Syngman Rhee -primo “uomo forte” degli americani nella parta meridionale della Penisola, giunto al potere tramite omicidi politici, squadrismo di stampo fascista ed elezioni truccate dalla stessa CIA- o in cui i lavoratori erano costretti a darsi fuoco davanti alla Casa Blu di Seoul -memorabile fu il caso di Kim Shi-ja, la presidente di un sindacato operante nel ramo della sanità suicidatasi nel ’95, il cui movimento di solidarietà venne stroncato dal governo con decine di arresti e condanne a lavori forzati – sembrano essere spaventosamente tornati.

La Corea del Sud sta conoscendo un’ennesima regressione nel mondo del lavoro, essendo messo in discussione e quasi bandito lo stesso diritto alla rimostranza ed allo sciopero. Ciò si riflette anche nell’ambito del dibattito politico della Corea del Sud, che ultimamente sta perdendo anche quella parvenza di “democrazia” alla quale si era abituati a credere. Nell’ultimo anno sono stati incarcerati 22 cittadini con l’accusa di aver fatto parte di organizzazioni a favore della riunificazione nazionale della Penisola e del sistema socialista del Nord. Il governo conservatore, guidato dal Partito Seanuri – alla cui presidenza vi è Park Gyeun-hye, figlia del dittatore Park Chung hee che negli anni ’60 e ’70 ha insanguinato il paese – ha inoltre cercato di mettere al bando il Partito Progressista Unificato accusandolo sempre di vicinanza ideologica con Pyongyang. Queste misure liberticide sono giustificate dalla Legge di Sicurezza Nazionale, provvedimento in vigore dal ’48 che proibisce ogni simpatia manifesta nei confronti del socialismo, ogni contatto con cittadini della Corea Popolare o adesione ai principi di quest’ultima. Da quando è stata approvata, oltre 128000 persone sono state arrestate e detenute anche per decenni, venendo brutalmente torturate e costrette a compiere false confessioni. Fra le pene previste dalla legge vi sarebbe anche la pena di morte, ancora molto in uso al Sud. Per questo motivo si vorrebbe far riflettere i lettori sull’assurdità della pretesa di presentare il Sud della Penisola come il modello di sviluppo economico vincente rispetto al socialismo del Nord- che dopo la crisi degli anni ’90 sta conoscendo una lenta ma costante ripresa produttiva- nonostante Seoul abbia visto nella seconda metà del XX secolo solo dittature militari facilmente accostabili a quella cilena o argentina, unite ad un’economia totalmente asservita agli interessi monopolistici delle imprese degli ex colonizzatori giapponesi e dei nordamericani.

E’ difficile trovare un paese asiatico nel quale si possa vedere, più che nella Corea del Sud, l’insostenibilità del capitalismo, l’attualità della lotta di classe -componente determinante della storia- e l’aggressività dell’imperialismo stesso che, come abbiamo già affermato, impedisce la riunificazione pacifica di un popolo che per oltre 5000 anni è sempre stato unito pur di mantenere una propria testa di ponte in una delle regioni strategicamente più importanti al mondo.

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