Di Federica Savino
La notizia che da qualche giorno gira sulle maggiori testate giornalistiche del paese è a dir poco agghiacciante e allucinante: una giovane donna di ventotto anni partorisce nel bagno dell’ospedale Pertini di Roma nell’ottobre del 2010. Come è possibile che oggi nel 2014 con in vigore una legge che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza dal lontano 1978?
La donna affetta da una malattia rara è stata costretta a ricorrere all’aborto terapeutico al quinto mese di gravidanza, ma, secondo le sue dichiarazioni, per lei non sarebbe stato possibile abortire perché presso la struttura ospedaliera in cui si era recata non c’erano a disposizione medici non obiettori. Valentina avrebbe partorito il feto morto nel bagno tra urla e dolori lancinanti senza alcun supporto medico ma solo con l’aiuto del suo compagno. Il personale sanitario della struttura si difende affermando che la donna sarebbe stata prontamente ed adeguatamente soccorsa.
Nonostante l’articolo 6 della legge 194 affermi che “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” l’obiezione di coscienza si abbatte sul nostro servizio sanitario nazionale anche a rischio di perdere la vita di una giovane donna per una questione etica e morale.
Da tempo ormai stiamo sostenendo che l’obiezione di coscienza è diventata un’ostruzione per i nostri ospedali, qualcosa che impedisce il pieno svolgimento delle prestazioni sanitarie gratuite che dovrebbero essere garantite e salvaguardate dal nostro sistema sanitario nazionale. La percentuale di medici obiettori continua a crescere, nel Lazio raggiunge un picco del ben 93% circa, su una media nazione che raggiunge l’85%, praticamente una quasi totale interruzione di servizio, una prestazione come quella dell’aborto che non può essere garantita dagli ospedali per mancanza di medici non obiettori. L’altro svilimento che l’articolo 9 della 194 provoca è il rilegare i medici non obiettori ad occuparsi solo di aborti, offendendo così la professione stessa.
Non è possibile riuscire a regolamentare l’obiezione di coscienza, occorre abbandonare l’eticismo (cattolico) che sottende tale prescrizione ed eliminarla dalla legge 194, consentendo così una piena applicazione della legge approvata nel 1978 dopo dure lotte e rivendicazioni. Infatti nonostante l’obiezione di coscienza sia espressa dalla legge solo in riferimento al personale sanitario ed esercenti le attività ausiliarie coinvolgono l’ivg, questa si è diffusa anche tra altre professioni, come i farmacisti che si rifiutano di vendere qualsiasi anticoncezionale e la pillola del giorno dopo. Per non parlare poi del disagio creato dall’invasione degli obiettori di coscienza nei consultori familiari, luoghi che dovrebbero essere rivolti in particolare alle giovani donne, adolescenti ed essere per queste un punto di riferimento e di appoggio. È evidente come qualsiasi professione possa essere portatrice di una qualche spinta etica per la quale sia possibile invocare l’obiezione di coscienza. Ciò non può risultare assolutamente accettabile!
La presenza sempre più massiccia di medici obiettori di coscienza mina alla libertà di scelta della donna, che invece è stata una delle spinte che ha portato all’emanazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza; non sono i medici a dover scegliere se essere o no obiettori, se dover praticare o no l’aborto ma è la donna che deve esser portatrice di tale decisione senza alcuna restrizione.