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“Faccio e ho fatto ciò che milioni di cubani avrebbero fatto”

*traduzione a cura di Lorenzo Di Reda

Il combattente antiterrorista ed eroe della Repubblica Cubana Fernando González Llort è giunto in patria a mezzogiorno di oggi, dopo aver concluso interamente la lunga e ingiusta condanna alla quale è stato sottoposto negli Stati Uniti.  Fernando si incontra ora con i propri familiari, accompagnati dal Generale dell’Esercito Raul Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri, insieme con altri dirigenti della Rivoluzione. Egli è sucito ieri dall’istituto correzionale federale di Safford, in Arizona, ed è stato messo a disposizione dei servizi di immigrazione per iniziare il processo di deportazione verso Cuba.  E’ il secondo dei “Los Cinco”, così come sono conosciuti a livello internazionale, che termina la pena imposta, dopo Renè Gonzalez. Fernando, René, Gerardo Hernández, Antonio Guerrero y Ramón Labañino furono arrestati nel 1998 quando stavano sulle tracce di un gruppo che nel territorio Statunitense preparava ed eseguiva azioni terroriste contro Cuba. Gli ultimi tre continuano ad essere prigionieri nei Penitenziari degli Stati Uniti, nonstante una grande campagna mediatica mondiale reclami la loro liberazione.

“Io semplicemente faccio e ho fatto ciò che, sono sicuro, milioni di Cubani avrebbero fatto”

Quest’intervista, per la quale ringraziamo la redazione del Granma, fu concessa da Fernando Gonzalez Llort, uno dei cinque Cubani condannati negli Stati Uniti, a vari membri della comunità dei blogger Cubani “Blogosfera Cuba”, alcuni giorni prima della fine della sua ingiusta condanna. L’intervista fu possibile grazie all’intermediazione di Rene Gonzalez, che servì come collegamento con il suo compagno di lotta. Che questa intervista serva a smuovere le coscienze ed evitare che i 3 cubani che tuttora restano incarcerati debbano terminare le loro condanne complete come è accaduto a Renè e a Fernando.

Potresti menzionare le cinque parole che ti sono venute in mente durante gli anni di ingiusta prigionia? Se vuoi commenane alcune o tutte quante.

Cuba, Famiglia, Gratitudine, Lotta, Libertà.

Questo 14 Febbraio sarà l’ultimo tuo tra queste sbarre senza la tua Rosa. Come pensi di organizzare il prossimo, quando finalmente potrai passarlo tra le braccia della tua amata?

Ti ringrazio per questa domanda diretta nell’ambito umano e dei sentimenti, che contribuisce a farci conoscere dai lettori ancor meglio come esseri umani. E’ molto difficile in questi momenti in cui giungo rapidamente alla data della mia uscita di prigione e di ritorno a Cuba dopo tanti anni di carcere, pensare a come organizzare quel momento per il quale però manca ancora un anno. Sono molte le cose che in questi giorni finali della prigionia passano nella mia mente circa questa esperienza che mi aspetta nei prossimi giorni, tutte certamente molto intense. Ho molte incognite e molti desideri in realtà. E’ questo che rende difficile pensare già ora ad un qualcosa di distante, come il 14 Febbraio 2015. Se riesci a comprendermi dunque la mia risposta non sarà quella che desideravi o ti aspettavi. Pero posso assicurare che, avendo un anno per pensare a come celebrare quel giorno, farò tutto ciò che è nei miei limiti perché sia un giorno speciale. Questo me lo propongo sin da ora.

Se potessi parlare con il presidente Barack Obma che gli diresti circa il tuo caso come quello dei tuoi compagni.

Un saluto a Iroel Sanchez. Sono un letttore assiduo delle sue opere e di altri che si pubblicano ne “La pupilla insonne” e mi sembra un blog di gran qualità per il contenuto dei lavori che pubblica con un contributo assai importante nella battaglia e nel campo delle idee e della informazione. Se avessi potuto parlare con il presidente gli avrei chiesto che come ex professore di diritto costituzionale vedesse senza pregiudizi l’evidenza sul nostro caso e le opinioni che importanti e prestigiosi giuristi americani e di altri paesi hanno emesso su lui stesso. Che legga senza pregiudizio, per esempio, gli Amicus Briefs che si presentarono alla corte suprema, dieci di loro vincitori del nobel. Gli avrei chiesto che come attivista comunitario trattasse di vedere in maniera senza pregiudizi la realtà cubana. Sono sicuro che vedrebbe là risolte molte delle difficoltà per cui lavorò nelle strade di chicago in gioventù. Vedrebbe gli sforzi del nostro popolo per avere una società ogni volta più giusta, e che ciò era quello che difendevamo noi de los Cinco. Gli chiederei che come ogni politico rivedesse la storia; questa che ci ha proposto più volte di dimenticare, e che veda come Cuba è riuscita ad affrontare più di 50 anni di aggressioni, molte di cui violente, e come da Miami esse si organizzano senza essere debitamente contrastate dagli organismi che dovrebbero farlo. Da lì la necessità del lavoro che facevamo noi de los Cinco. Dopo aver visto questi tre angoli della questione, che arrivi alle sue conclusioni. Se ci riesce senza pregiudizi, sono sicuro che il giorno dopo staaremmo noi quattro a l’Havana con Renè.

Fernando, avesti l’onore di partecipare, come internazionalista, alla lotta per l’indipendenza dell’Angola, che aiutò a decolonizzare l’africa e mise fine al regime dell’Apartheid. Che esperienze puoi condividere con i bloggers cubani rispetto a questa tappa?

Sulla mia partecipazione in Angola posso dirti che fu una delle esperienze determinanti per la mia formazione. Ero molto giovane allora, appena laureato ebbi quest’esperienza a 24 anni. E coincise con una tappa decisiva della partecipazione cubana in Angola. Stetti lì tra il 1987 e l’89, cuando si sviluppava la battaglia di Cuito Cuanavale, dove non fui fisicamente. Però si fui testimone dell’avanzata verso il sud, in direzione della frontiera della Namibia delle trippe cubane e angolane che si trovavano stazionate nel sudest. Ebbi il privilegio di essere assegnato a lavorare nello stato maggiore del raggruppamento delle truppe del sud, a Cahama, ed essere testimone dello spirito dei cubani e degli angolani che avevamo preso parte all’avanzata delle truppe verso il sud, un’operazione che decise la contesa e, insieme alla resistenza a Cuito Cuanavale, aprì la strada alla fine del conflitto, all’indipendenza della Namibia e, come riconobbe Mandela, alla fine dell’Apartheid in Sudafrica. Più avanti tornai a Lubango, punto da cui erano partite le truppe spostandosi verso sud, dove feci parte del gruppo operativo distaccato là, e lavorai più direttamente con i compagni delle FALPA che avevano in questa città del sud delll’Angola lo stato maggiore delle truppe della regione. Fu un’esperienza che mi arricchì molto, lavorare con loro giorno per giorno ed essere parte dello spirito fraterno che ci infondeva a tutti, dello spirito di lotta che ci caratterizzava. Fui parte del ritorno onorevole delle nostre truppe vittoriose e ricevere il riconoscimento del nostro popolo all’arrivo al quartiere è una delle cose più emozionanti della mia vita. Fu molto istruttivo vedere un popolo che era stato vittima del colonialismo lottare per preservare la sua indipendenza e contribuire, noi, a questo sforzo insieme a quello che facevano loro. Allo stesso tempo potei costatare gli effetti di secoli di colonialismo, il regresso e il sottosviluppo a cui avevano condannato l’Angola fino a quel momento e gli effetti di più di dieci anni di guerra imposta da fuori. Imparari più da quell’esperienza che da tutti i libri che potevo aver letto fino ad allora sul capitalismo e gli effetti del dominio coloniale sui nostri popoli.Fu bello e spunto di riflessione vedere gli angolani resistere e sforzarsi di andare avanti mentre offrivano  il proprio territorio alla SWAPO della Namibia che lottava per la propria indipendenza. Risposta sul tema ad un’intervista precedente: l’Angola fu un’altra pietra miliare della mia vita. Dai cubani e gli angolani che mi circondavano imparai molto. Constatare lo spirito fraterno e solidale in condizioni difficili, la modestia degli uni e degli altri, lo sforozo collettivo e una squadra nonostante le differenze culturali. La ricchezza che apportavano proprio queste differenze, imparare gli uni dagli altri. Avevo 24-25 anni, ma la maggior parte dei soldati cubani e molti degli angolani erano anche più giovani di me. In questi due anni vidi molti cubani arrivare in Angola con le caratteristiche fisiche e psicologiche di chi ancora sta uscendo dall’adolescenza e si trasformarono in giovani uomini, forgiati in disciplina responsabilità e coscienza rivoluzionaria. Non ero estraneo a questo processo che avveniva anche in me. Ero un giovane laureato, di città, che credeva di sapere molto. Ma lì imparai dagli angolani e dai cubani, che oltre all’istruzione che uno possa avere ci sono altre cose che hanno a che fare col carattere, la sensibilità umana, lo spirito solidario, che sono egualmente o più importanti. Vedere con i miei occhi il risultato del colonialismo. Le conseguenze per i popoli, in questo caso angolano, mi insegnò più che tutti i libri che avrei potuto studiare. Vedere lo spirito di lotta di quel popolo e la volontà di superare quel passato, rifiutando le aggressioni esterne e affrontando le forze  controrivoluzionarie interne appoggiate dal fuori, fu anche una lezione.

Sebbene  la prigione è risultata una dura prova, come ci spieghi il rispetto ed il riconoscimento che los Cinco hanno generato nelle carceri nordamericane? Quali sono stati i principali segni di solidarietà dei prigionieri statunitensi?

Il rispetto ed il riconoscimento che noi Cinco abbiamo generato nelle carceri nordamericane lo attribuisco ad un insieme di fattori. In primo luogo, le altre persone osservano un prigionero che è un individuo serio, che non entra in dinamiche tanto tipiche della prigioni che sono il brodo primordiale dei conflitti tra prigionieri. Osservano anche la serenità che uno ha e la maturità per consigliare o dare un parere a qualcuno che lo chiede e la discrezione e la riserva quando viene a conoscenza di una situazione personale di un altro prigioniero che la condivide con un altro o di un altro tipo. Ciò va creando un criterio di rispetto tra i prigionieri verso uno, anche senza conoscere la natura del nostro caso. D’altra parte, le persone che abbiamo sfidato sono sempre autorità giudiziali, viste con un certo rispetto. Gli si riconosce l’attidudine quando non sono molti quello che lo fanno. Già quando c’è una certa conoscenza, anche generica, del caso che ci mantiene in carcere, allora entrano in gioco altri fattori che contribuiscono al rispetto a cui ti riferisci. Già la gente sa. Non solo che fosti processato, che come ti dico, da solo genera un certo rispetto, ma anche che sei un prigioniero che affrontò tutto l’odio del governo di quel paese che è solito mettersi contro chi considera i suoi nemici politici. Qua entra in gioco anche, ed è la base di tutto, che molti, anche senza conoscere i dettagli della storia delle relazioni tra Cuba e USA, e senza avere quasi nessuna coscienza politica, per istinto sanno che Cuba ha resistito al potere del governo statunitense. Viene in noi, beh, un riflesso di questa resistenza, siamo parte di essa, ci associamo ad essa, e ciò genera rispetto. Tutti questi fattori vanno unendosi. E allora unisci l’appoggio che viene che riceviamo tanto dai cubani quanto dagli amici in giro per il mondo. E, anche se non conoscono i dettagli,  notano la posta che riceviamo ed inviamo. Sanno che vuol dire sostegno.  Come ti dicevo, sono fattori che vanno unendosi. Uniti, formano una circostanza che fa si che gli altri prigionieri ci vedano come persone serie e degne e mostrino verso di noi questo rispetto a cui ti riferisci.

Quanto hanno influito nella sua resistenza i messaggi e le dimostrazioni di sostegno dei cubani e degli amici in tutto il mondo?

I messaggi e le dimostrazioni di sostegno dei cubani e degli amici in  tutto il mondo hanno avuto un’influenza significativa nella nostra resistenza. Non vuol dire che senza di loro non avremmo resistito. Ma senza dubbio fanno la resistenza più sopportabile e facile. Il sapere che uno ha la comprensione ed il sostegno di tutto un popolo che lotta e di centinaia di migliaia di amici per il mondo dà più fiducia nella vittoria e si impara anche di quelli che lottano per noi in condizioni tanto svantaggiate come possono essere quelle che si mettono davanti ai nostri amici negli altri paesi in cui  portare avanti i temi del nostro caso richiede molto sforzo, iniziativa e perseveranza. D’altra parte, il ricevere tanti messaggi di solidarietà e sostegno ha anche una ripercussione pratica, concreta. Già mi riferii alla risposta precedentead un angolo di questa ripercussione, ma anche le autorità della prigione e molti altri prigionieri arrivano a sapere chi siamo e dell’appoggio che riceviamo. Ciò influisce fino ad un certo punto nell’attenzione che pongono davanti a certe circostanze ed al trattamento differenziato. Solo che c’è attenzione a quanto e come ci trattano.

Fernando, tutti sappiamo che gli eroi cubani sono di carne ed ossa, ci piacerebbe sapere che preferisci ballare, leggere o fare nei tuoi momenti di pausa?

Guarda, preferisco ballare la musica cubana ed in generale quella nota come salsa. Non sono un gran ballerino ma mi diverte. Il cibo preferito è  il creolo. Un buon congrì con carne di maiale e un buon piatto di yuca con mojo. In quanto a leggere, mi piace la storia, i temi di economia internazionale, la scienza, l’informazione politica e le storie di finzione. Nei momenti di pausa mi piace fare sport, praticarlo come guardarlo in tv.

Oni generazione ha un ruolo che gioca nella storia del suo paese. Nella tua epoca riuscisti ad averlo anche tu. Come ti senti in merito a ciò? Quali sono per te le sfide attuali della gioventù cubana?

Posso dirti che mi sento soddisfatto di compiere quello che considero il mio dovere e di farlo con dignità ed onore. Sono cosciente della ragione storica per cui sono prigioniero, si tratta di castigare cuba e da là vengono le gravi ingiustizie commesse nei nostri confronti. Questa coscienza mi dona serenità e tranquillità. So che sono prigioniero per una causa onorevole e ciò mi permette di essere ottimista fino alla felicità, nel senso di soddisfazione del dovere compiuto. Non mi sento capace di definire le sfide concrete della gioventù cubana attuale. Sono fuori da Cuba da molti anni e anche se mi mantengo informato sulla realtà nazionale, non ho il contatto sistematico con lei al punto di avere una valutazione e dare un’opinione. In generale, mi pare che i giovani debbano prepararsi meglio possibile nell’ambito delle conoscenze e anche, fondamentalmente, nell’ambito dei valori, per dare il maggior apporto possibile oggi e nel futuro a dare continuità all’opera della rivoluzione, in un mondo ogni volta più completo di sfide e pericoli. La conoscenza profonda della storia del nostro paese e delle tradizioni di lotta del nostro popolo è fondamentale in questo senso, per me.

Di tutto questo tempo in prigione quale è stato lo o i libro/i che più ti ha/hanno colpito o che ricordi meglio?

Ci due libri che mi hanno colpito più di tutti, anche se ce ne sono stati molti interessanti. Il primo lo lessi per la prima volta al principio del mio sconto della pena. Ed è il libro di Cintio Viter “questo sole del mondo morale”.  Un libro che ogni cubano dovrebbe leggere per l’interessantissima interpretazione della storia di Cuba che si fa in lui stesso e per lo squisito stile leterario che caratterizza l’opera di Cintio, per me il saggista cubano più profondo tra quelli che ho letto. Il secondo libro a cui mi riferisco lo lessi quasi alla fine della mia pena, perché era di recente apparizione e spero nel futuro prossimo possa essere tradotto in spagnolo perché credo che anche ogni cubano debba leggerlo. Si chiama “visions of freedom. Havana, Washington, Pretoria and the struggle for Southern Africa 1976-1991”. È un libro di un accademico nordamericano, Piero Glejeses, professore all’università Hopkins. Egli aveva scritto già un primo libro sulla partecipazione cubana in angola e ora, dopo 15 anni di ricerche ed accesso a documenti mai pubblicati prima, ha scritto quello che considero un capolavoro. Essendo un libro accademico, mi emozionò più di ogni romanzo perché raccoglie lo sforzo cubano in Angola fino alla vittoria finale. Ci sono grandi e ricche citazioni di documenti declassificati da Cuba, incluse trascrizioni di riunioni in cui si presero decisioni fondamentali , riunioni della più alta direzione del paese, del Comando, e di alti comandi politici e militari, tanto di conversazioni tra loro come con le loro controparti angolane e sovietiche di allora. E quello che trapela nel libro e l’autore cattura molto bene in base alle fonti documentali non solo cubane ma anche statunitensi sudafricane e del nostro popolo, è politica estera della rivoluzione cubana, il suo altruismo, quella del nostro popolo,  la fermezza dei principi e la delicatezza nel rispetto con cui si trattarono ognuna delle contraddizioni di quegli anni di missione internazionale cubana in Angola, che allo stesso tempo manteneva l’indipendenza dai criteri e difendeva con fermezza le opinioni politiche e militari di Cuba sul come comportarsi. Opinioni che a posteriori furono quelle che predominarono e risolsero il conflitto.Quando uno legge il libro si riempie di orgoglio di essere cubano e rivouzionario, della direzione della rivoluzione e di aver preso parte a questo sforzo internazionalista.

Fernando: l’eroismo per molti è cosa solo di film di Hollywood e libri di storia. Fernando vede se stesso come un eroe?

Io non mi vedo come un eroe. Io semplicemente feci ed ho fatto quello che sono sicuro che milioni di cubani avrebbero fatto. Io quello che posso dire è che, comunque, fui privilegiato con la mia opportunità di fare quello che milioni avrebbero desiderato di avere l’opportunità di fare, e davanti a una circostanza avversa, un momento decisivo, assunsi una posizione che credo che sia d’accordo con la storia del nostro popolo, il suo spirito di lotta e di resistenza. E questi valori inculcati che ci arrivano tramite la storia di lotte del nostro popolo sono quelle che portiamo nei nostri cuori quasi tutti noi cubani, non solo noi cinque. Perciò dico che quello che possiamo noi avrebbero potuto farlo e lo farebbero milioni di cubani proprio come noi. Per questo la rivoluzione c’è e va avanti.

Cosa ti ha apportato la musica e come hai vissuto là dentro? Che evoluzione risalti e quali sono per te le realizzazioni della musica cubana nella musica di oggi?

Rispetto alla musica non sono aggiornato, specialmente sulla musica di oggi a Cuba. Durante la maggior parte del mio tempo in prigione non ho avuto accesso alla musica cubana. Nell’ultimo anno e mezzo ho avuto accesso ad essa parzialmente e limitatamente, a quella prodotta nel nostro paese 15-20 anni fa, niente di più recente. Non posso pertanto, commentare sull’evoluzione della musica nel nostro paese. Non mi posso riferire a quella che la tua domanda definisce come la musica di oggi. Se ti posso dire, riguardo l’altra parte della domanda, che ascoltare la musica, soprattutto la nostra, anche se non attuale, a cui ho avuto accesso come ti dicevo nell’ultimo anno e mezzo, nel trasportarmi mentalmente a Cuba, ricordare le amicizie, la gioventù, la città in cui ho vissuto tutta la vita, la cultura cubana ecc. sono momenti in cui, come diciamo in prigione, viaggiamo.

Qual è la principale sfida del movimento di solidarietà internazionale nella causa dei Cinco e in quali azioni dobbiamo enfatizzare lo sforzo?

Io cerco di essere molto attento nel dare un’opinione sul movimento di solidarietà internazionale e molto più trattandosi di identificare quale sia il lavoro che crediamo che ci sia da fare. In primo luogo, questo movimento è uno sforzo loro e non diretto da noi cinque. Inoltre  sono persone che fanno un grande sforzo, con poche risorse e con molte difficoltà.  A loro dobbiamo molto e ho una immens gratitudine verrso tutti quelli che formano questo movimento.Chiarito questo, mi pare che la sfida principale, e non sto scoprendo niente di nuovo in ciò, è conosciuta da quelli che conformano il movimento di solidarietà, si può identificare così: arrivare ogni volta con più insiostenza ai circoli in cui si prendono le decisioni politiche, fondamentalmente negli USA. Se rivediamo la storia vedremo che le lotte sociali e nei casi di ingiustizia, le autorità nordamericane hanno solo preso decisioni favorevoli a quelle cause quando era conveniente per loro politicamente, o quando il costo di mantenere la situazione è stato migliore del corregerla. Il movimento di solidarietà internazionale, fatto di persone con esperienza nelle lotte per altri temi di giustizia, quando si tratta di cambiare certe condizioni sociali, conosce molto bene l’argomento. La questione è come arrivare a quelle che sono le condizioni in cui, per esempio, il costo politico di mantenere i nostri fratelli in prigione superi quello che le autorità considerano politicamente il beneficio di liberarli. Ls mobilitazione di coscienze in questa direzionel il lavoro per educare settori politici e far si che si senta con più forza la domanda di liberazione dei nostri fratelli, che si faccia palpabile per i centri di presa di decisioni il costo politico del non farlo, mi pare che sia la sfida principale del movimento di solidarietà. Ripeto, è qualcosa che i nostri amici sanno, non dico niente di nuovo. La sfida sta in come riuscirci quando non si tratta di persone con influenza politica o con risorse economiche per raggiungere tale influenza politica del modo in cui funzionano le cose in questo paese. E so molto bene che gli amici stanno costantemente pensando a come migliorare il lavoro e come renderlo più concreto. Appoggiare l’evento di Londra a inizio Marzo e la giornata “cinque giorni per Los Cinco” a giugno, precisamente nella capitale statunitense, sarebbero forme concrete di contribuire a raggiungere questo obiettivo.

Che direbbe ai giovani, come attori imprescindibili in questa lotta?

I giovani, con la loro iniziativa e la loro energia, con il loro entusiasmo e la capacità di comunicazione con gli altri giovani, con il loro dominio delle nuove tecnologie di comunicazione, possono e debbono giocare un ruolo fondamentale in questa lotta. C’è lavoro di base, nelle comunità, educando sul caso o contattando ufficiali eletti (nel caso degli USA) per cui si richiede tempo, energie, in cui la gioventù può dare un contributo fondamentale. L’uso di twitter, facebook e altri mezzi digitali di comunicazione con iniziativa, è un altro campo in cui la gioventù può dare molto. Tanto la gioventù nordamericana o di altri paesi, quanto quella cubana delle forme in cui le riesca fattibile e con le risorse a disposizione. La capacità creatrice della gioventù, con messaggi e codici corrispondenti alle forme di comunicazione delle nuove generazioni può contribuire molto a far arrivare la verità del nostro caso a centinaia di migliaia di giovani in tutto il mondo che non lo conoscono, o anche per far arrivare a ufficiali eletti (di nuovo mi riferisco agli USA) il messaggio con la domanda della nostra liberazione o elementi sul caso. Io gli direi, ai giovani, che si aggiungano con entusiasmo e con dedizione alla lotta. Senza di loro, si farebbe molto più difficile raggiungere gli obiettivi.

Che o quali cose ti aiutarono a scontare la pena totalmente senza inchinarsi ai tuoi principi?

L’elemento principale che mi aiuta a scontare la condanna senza inchinarmi nei miei principi è la coscienza di difendere una causa giusta. Essa mi dà serenità e comprensione della situazione personale per quanto sia dura. Permette di contestualizzare la nostra situazione e quello che succede. Sappiamo che ciò di cui ci si accusa, o di cui si pretende di farlo, è a Cuba per l’eresia di trattare di costruire una società giusta e farlo nonostante l’ostilità del paese più forte del pianeta che non smette di accettare l’idea che Cuba sia un paese indipendente e sovrano. Questa comprensione ci permette di porre in una prospettiva storica la situazione personale per cui passiamo ad assumerla con onore e dignità. Permette di avere una visione più , un quadro più generale su ciò che rappresenta il nostro caso in un processo storico più ampio di ostilità delle autorità statunitensi verso la rivoluzione cubana. E senza pretendere di considerarci simboli di niente, spero che una lezione che raccolgano le autoritù statunitensi è che così come non poterono farci inchinare a noi cinque, non potranno mai destituire la rivoluzione. Ai principi non ci saremmo mai inginocchiati, come si notò durante gli anni iniziali ancora in isolamento totale, e so che nemmeno i nostri fratelli che rimangono in prigione si inginocchieranno ai propri principi anche nelle difficoltà più grandi. Non ostante la solidarietà e l’appoggio che riceviamo, dal popolo cubano come da tanti amici per il mondo, fanno più leggero lo sconto della pena. Allo stesso tempo, si converte in un impegno per noi, di resistenza e lotta

Che ha significato per lei la sua amicizia con Oscar Lopez River? In questo senso, mantengo i contatti con Oscar e mi ha parlato con affetto di Fernando.

Io ebbi il privilegio di condividere qualcosa in più di quattro anni della mia prigionia con Oscar. Lui è una delle persone di principi che rispetto e ammiro. Fu col suo aiuto per esempio con cui feci i primi passi nel disegno. Lui dipingeva da molti anni e mi aiutò molto quando decisi di introdurmi nel disegno. È una persona da cui appresi molto. Ha l’esperienza delle lotte negli USA negli anni 60-70. Visse l’esperienza del Vietnam, e prima di esso, della emigrazione boricua negli USA negli anni 50 dove affrontarono povertà e discriminazione razziale. C’è una parte della storia degli USA di cui non si parla nei libri di testo: quella delle lotte di gruppi rivoluzionari di afroamericani, dei chicanos, dei portoriquenhi fino agli angolosassoni. Gruppi che affrontarono la repressione più feroce del sistema. La decade del 70 fu molto attiva per quei gruppi. Oscar conosce molto delle lotte in quell’epoca e tramite lui potei conoscere le esperienze, leggere libri scritti da partecipanti di quelle lotte. Ci sono per esempio, prigionieri politici afroamericani che sono in carcere da più di 40 anni come risultato di quelle lotte e sono praticamente sconosciuti dalle loro comunità. Con lui parlai anche molto riguardo a Porto Rico e alla realtà dell’isola colonia degli Stati Uniti in pieno ventesimo secolo. Lui è prigioniero da piùdi trent’anni ed è stato maltrattato, soprattutto nelle sue prime decadi in prigione, dalle autorità che riversarono su di lui l’odio che sono soliti riversare su coloro che considerano nemici politici. Così che della realtà della prigione appresi da lui. È una persona ben informata, ideologicamente ben definita, con cui potei ssostenere conversazioni sulla realtà politica del paese, sull’attualità, sulla storia ecc., che altrimenti  non avrei avuto l’opportunità di avere visto che ciò che predomina in carcere è l’apatia su questi temi, la disinformazione e la mancanza di conoscenza. Oscar è un grande essere umano e fu più produttivo in quanto alla mia preparazione ed educazione, il mio primo passo in prigione. A lui auguro il meglio, e che la lotta del suo popolo e degli amici che l’appoggiano porti alla sua libertà. Anche se so bene che è disposto a fare ogni sacrificio necessario lo accetta con equanimità, con dignità ed onore. Però merita di essere libero e godersi le sorelle, la figlia e sua nipote, così come del suo popolo. Un abbraccio a lui

Che  pensa di fare al suo arrivo all’isola?

La prima cosa al mio ritorno, nei primi momenti e giorni, sarà godermi la famiglia e condividere cose con Rosa Aurora, da cui sono stato separato per tanti anni. Salutare i familiari dei miei fratelli, condividere con amici che non vedo da tanto tempo tante esperienze e riempirmi della isola, della vita a cui siamo abituati e che mi manca tanto, fare il bagno nel mare se il clima lo permette, camminare per L’Havana. Dopo ci sarà tempo per pianificare altre cose, ma queste sono quelle più immediate. In termini più generali, in quanto al futuro, unirmi alla lotta per il ritorno dei miei fratelli e contribuirvi al meglio

 Bloggers: Yasmani Surita Siam, Suki Neve, Ida Garberi, Norelys Morales Aguilera, Iroel Sánchez Espinoza, Jessica Acevedo Alfonso, Gabriel Torres Rodríguez, Yeilén Delgado Calvo, Rouslyn Navia, Disamis Arcia Muñoz, István Ojeda Bello.

 

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