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Bujanov

Statua eretta in onore di Bujanov a Mogilev Podolsk (Ucraina)

* di G. Figliuolo, L. Landi,  S.Catello

«Giovane cittadino ucraino, si sottraeva in S. Giovanni Valdarno al servizio con i tedeschi per unirsi a una formazione partigiana. Memore delle atrocità compiute dai nazisti nella terra natia, si offriva volontario in numerose azioni di sabotaggio che portava felicemente a termine con capacità e sprezzo del pericolo. L’8 luglio 1944 a protezione della evacuazione dei superstiti della dura rappresaglia del 4 luglio 1944 in Castelnuovo dei Sabbioni, nonostante i richiami superiori, impegnava il nemico da postazione assunta d’iniziativa più avanzata di quella assegnatagli, arrestando il rastrellamento e salvando la popolazione civile. Solo, sulla postazione difesa sino all’estremo, esaurite le munizioni, crivellato di colpi, cadeva da prode»
Secciano di Cavriglia, 8 luglio 1944

Nicolaj Bujanov, nato a Mogilev Podolsk (Ucraina) il 24 aprile 1925, caduto a Castelnuovo dei Sabbioni (Cavriglia, Arezzo) l’8 luglio 1944 Medaglia d’Oro al Valor Militare.  Il diciannovenne Bujanov giovanissimo soldato dell’Armata Rossa venne fatto prigioniero dai nazi-fascisti durante l’invasione dell’Unione Sovietica e, come molti altri soldati ucraini, venne deportato in Italia. Una volta nel nostro Paese, Bujanov riuscì a fuggire dalla prigionia e a trovare ospitalità presso una famiglia di San Giovanni Valdarno. Da qui, come da sua richiesta, il giovane ucraino fu avviato alle formazioni partigiane operanti nel Valdarno aretino. Tra i molti tragici eventi causati dalla furia nazi-fascista in Toscana alcuni dei più abominevoli accaddero proprio nel territorio Valdarnese e nei dintorni di Arezzo. I nazisti e i repubblichini, consapevoli dell’ormai imminente disfatta,  riversarono tutta la loro rabbia omicida sulle popolazioni inermi massacrando, bruciando e dilaniando i corpi delle povere vittime con la dinamite. Vanno ricordati l’eccidio di San Polo, San Severo, Civitella in Val di chiana, San Pancrazio, Meleto, Castelnuovo dei Sabbioni. All’alba del 4 luglio 1944, 191 civili vennero rastrellati casa per casa, ammassati nelle piazze delle frazioni di Meleto, Castelnuovo, Massa e San Martino. Erano tutti uomini di età compresa fra i quattordici e gli ottantacinque anni, mitragliati e bruciati da reparti tedeschi specializzati della  divisione “Hermann Göring” con la complicità e il supporto dei repubblichini. I superstiti si nascosero nei cunicoli angusti della miniera e a centinaia ripararono nei boschi dove trovarono l’ospitalità e il conforto delle formazioni partigiane.

Bujanov fin dal suo ingresso nella 5a Compagnia “Chiatti” distaccamento della Brigata “Sinigaglia” conquistò la fiducia dei compagni e fu apprezzato per la sua modestia, per la sua volontà di lotta e, soprattutto, per l’eccezionale coraggio dimostrato in molte occasioni.   Un ragazzo di 19 anni amico di tutti che all’arrivo in formazione si vuotava le tasche e ripartiva tra i suoi nuovi amici il suo piccolo tesoro: un pacchetto di tabacco! Un gigante a cui venne affidato il parabellum perché per manovrare quel potente mitragliatore privo dell’appoggio a terra occorrevano braccia d’acciaio: e che si lasciava talvolta battere nella lotta da compagni molto più deboli o suonava delicatamente con l’armonica le canzoni della sua terra e l’Internazionale.  Dopo le stragi moltissimi civili, sfollati per sfuggire alle rappresaglie dell’occupante nazi-fascista, si rifugiarono nei boschi; la notizia delle efferatezze compiute  aveva generato nella popolazione inerme un grande senso di paura, infatti diverse centinaia di persone avevano raggiunto la formazione partigiana. La mattina dell’ 8 Luglio una carovana di tedeschi con alcuni repubblichini e una guida del posto, un vecchio fascista, si diresse verso l’accampamento, adottando la strategia a tenaglia volevano accerchiare la formazione partigiana “Chiatti” e i civili impedendo qualsiasi via di fuga. Benché avesse ricevuto l’ordine di ritirarsi, Bujanov volle aspettare il nemico per fermarlo con il fuoco della sua mitragliatrice. Con il suo consapevole sacrificio, il ragazzo assicurò ai compagni della “Chiatti” la possibilità di sganciarsi senza perdite e permise che donne e bambini di Castelnuovo fossero posti in salvo, in territorio controllato dai partigiani. Nicolaj non poteva morire che così: per salvare la vita ai suoi compagni e alla popolazione. Consapevole di andare incontro a morte sicura, non si tirò indietro, spinto dalla forza dei suoi ideali.

Erano trascorsi appena dieci anni dalla resistenza e il governo italiano tentò di vietare lo svolgimento della cerimonia per commemorare il sacrificio del giovane compagno sovietico. Il monumento voluto dai partigiani della Chiatti e da tutta la popolazione di Cavriglia. I carabinieri erano lì, vergognosamente appostati negli stessi luoghi dove si trovavano i tedeschi dieci anni prima, per offendere la resistenza e la gloriosa lotta per la libertà. Di fronte alla folla di partigiani intorno al cippo i carabinieri non se la sentirono di insistere ma avvertirono che assolutamente non si sarebbe dovuto effettuare un discorso ufficiale. Di discorsi ce ne furono tanti quanti erano i partigiani perché ognuno volle ricordare l’indimenticabile amico e il compagno,  inoltre ci fu chi concluse che era vergognoso per i governanti aver mandato i carabinieri a tentare di impedire che si ricordasse l’eroe caduto per la libertà e il socialismo.

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