* di Manuele Panella
Nell’URSS del 1965, la data del 9 maggio, venne celebrata come la Giornata della Vittoria. Infatti, fu proprio l’8 maggio (9 maggio a Mosca) del 1945 il giorno in cui la Germania nazista firmò la resa della guerra in Europa. Una settimana prima, Berlino veniva liberata dall’Armata Rossa dell’ Unione Sovietica, e un soldato russo pose la bandiera rossa del socialismo sulla cima del Reichstag, decretando la fine di quello che possiamo definire come uno dei più immani scontri di classe della storia: la Grande Guerra Patriottica, la guerra del popolo libero del socialismo, organizzato con le armi nell’Armata Rossa, contro il nemico di classe per eccellenza, il nazifascismo, feroce dittatura delle classi dominanti, promotore del massacro della Seconda Guerra mondiale insieme alle altre potenze imperialiste, negli interessi delle oligarchie e nel tentativo di distruggere l’avanguardia antimperialista costituita dal socialismo reale in URSS.
Quanto fango è stato e continua ad esser gettato sul ruolo storico dell’Unione Sovietica nella sconfitta del nazismo è confermato dai libri di storia, dai documentari, e dalla produzione storica e intellettuale in genere che, soprattutto su stimolo dell’Unione Europea, vuole presentare un’URSS completamente equivalente alla dittatura nazista. Gli effetti degradanti del revisionismo storico hanno dunque compreso il fatto di esaltare sempre di più il ruolo dell’esercito Alleato nella lotta al nazismo, a scapito del ruolo centrale assunto dall’Armata Rossa, dalla sanguinosa battaglia per la difesa di Stalingrado fino a tutte le battaglie di assalto al nazismo e di liberazione in Europa. Un Paese socialista che, con sacrifici e lavoro, e con la previgente e strategica dirigenza politica di Stalin, riuscì in poco tempo a stabilizzare un’industria pesante e d’armamento tale da difendersi da qualunque attacco, e trovare la forza per irrompere in Europa e risolvere la Seconda Guerra mondiale.
Ma qual è uno dei tanti strumenti utilizzati dal revisionismo, e dal pensiero unico dominante imposto dalle attuali classi dirigenti, per equiparare il comunismo al nazismo? Uno di questi è la memoria strumentalizzata del patto Molotov-Ribentropp, anche noto come il “patto di non-aggressione”. Questo patto, stipulato nel 1939, che tra le altre cose, prevedeva l’impegno da parte dell’URSS e del Terzo Reich a non assaltarsi reciprocamente, è ormai additato dalle potenze reazionarie e opportuniste come “il più grande tradimento del comunismo” da parte di Stalin o, addirittura, come una sorta di alleanza tra questi e Hitler. La propaganda di questo episodio posta in questi termini è a livelli esorbitanti. Ma è questa la verità? Davvero Stalin si alleò con Hitler tradendo il comunismo? È la storia stessa a dimostrare l’assurdità di questa tesi. La tutela formale e temporanea del socialismo ottenuta da Stalin con questa manovra diplomatica permise all’URSS di ottenere due risultati: da un lato, il tempo sufficiente per aumentare la produzione bellica e preparare così il Paese all’imminente scontro e a sostenere una guerra mondiale (essendo Stalin consapevole dell’ imminente infrangimento del patto da parte di Hitler e dell’ impossibilità dell’URSS di tutelarsi nelle condizioni in cui versava all’epoca); dall’altro, l’applicazione pratica di una grandiosa strategia antimperialista precedentemente teorizzata da Lenin sulla base della quale i paesi socialisti devono essere capaci di tutelarsi con ogni mezzo dagli attacchi dei paesi capitalisti, isolandosi da questi e lasciando che essi si logorino tra loro con le guerre imperialiste al di fuori dei confini del socialismo.
Non vi è tesi che possa mettere in dubbio il ruolo dell’URSS nella distruzione del nazifascismo in Europa. Ma all’Unione imperialista Europea, chiaramente la verità storica non è funzionale alla costruzione del criminale progetto delle oligarchie europee, ed è quindi all’ordine del giorno il ricorso al revisionismo nei mezzi di informazione, di cultura e di memoria, per arginare il ruolo dell’ Armata Rossa, della classe operaia e dei comunisti, nella guerra ed etichettare il comunismo come dittatura sanguinaria al pari del nazismo.
Un processo che ha inizio già nell’immediato dopoguerra, nel 1950 con la Dichiarazione Shuman (allora Ministro degli Esteri del governo borghese francese) che proponeva, e realizzò nel giro di un anno, la creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio, i cui membri (in testa Germania e Francia) avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio. Si costituì così la CECA (paesi fondatori: Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), che è stata la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali (che porteranno a quella che oggi si chiama “Unione Europea) allo scopo di far convergere gli interessi dei monopoli capitalisti europei nella competizione internazionale. Proprio per questa occasione, il Consiglio europeo di Milano del 1985, ha istituito il 9 Maggio come giorno della “Festa dell’Europa”.
Una contrapposizione voluta, che dimostra come la borghesia imperialista teme il passato storico perché ha timore della forza della classe operaia e dei popoli. Per questo l’Unione Europea, promuove l’oblio, il silenzio e la distorsione della memoria storica, abolendo la “Giornata della Vittoria dei Popoli” sostituendola con la “Giornata dell’Europa” assistendo oggi, sulla base di questo stravolgimento, alle autocelebrazioni dei programmi dell’UE e sulle grandi opportunità che offrirebbe ai giovani. In altre parole, promuovono la negazione della lotta di classe e la validazione teorica della barbarie capitalista, fatta di sfruttamento, disoccupazione e guerre. Il completamento del cerchio di questa operazione ideologica dell’UE è l’istituzione del 23 Agosto come “giorno della memoria per le vittime del fascismo e del comunismo” e votando nel 2006 un memorandum dichiaratamente anticomunista, accettato in larga misura anche dalla Sinistra Europea.
La fase storica che stiamo vivendo offre un esempio lampante della reale identità dell’Unione Europea. Mentre in Europa si ricorda la liberazione dal nazifascismo in modo retorico, istituzionale, vago, come soddisfacimento ipocrita e inconsistente verso le impostazioni “liberali” e “democratiche” degli Stati che compongono l’UE, allo stesso tempo quest’ultima finanzia e sostiene, insieme agli USA, il colpo di Stato nazista in Ucraina, che ha permesso l’entrata dell’UE e della NATO in questo paese, con il raggiungimento dell’obiettivo di trovare una nuova terra e popolo in cui delocalizzare, esportare, sfruttare la manodopera e rubare le risorse. Per gli interessi imperialisti dei grandi monopoli europei, l’Europa finanzia e aiuta gli stessi nazisti di cui celebra ipocritamente la sconfitta nel ’45.
Ricordare la sconfitta del nazifascismo in Europa oggi non vuol dire solo ristabilire la memoria del ruolo storico dell’Unione Sovietica negli scontri decisivi della guerra, ma vuol dire consolidare la consapevolezza della natura di classe della lotta al fascismo che, oggi più che mai, è ancora attuale e necessaria. Il fascismo è lo strumento nelle mani delle classi dominanti per stabilire la loro dittatura, per controllare il loro imperialismo manipolando le mappe con populismi e promesse di gloria nazionale. Combattere questo strumento vuol dire combattere le potenze economiche capitaliste che hanno nuovamente necessità di utilizzarlo, e che trovano realizzazione di ciò nell’Unione Europea e nel suo operato. L’ UE porta al fascismo. Le borghesie europee stanno già dimostrando in Ucraina di non esitare a finanziare e sostenere criminali che massacrano la popolazione, stuprano e sgozzano le donne, bruciano corpi di comunisti oltraggiandone i cadaveri. La lotta di classe organizzata dei lavoratori e delle masse oppresse è, come sempre, l’unico strumento per la liberazione da questo cancro dell’umanità. Come l’Armata Rossa distrusse il nazifascismo, adesso la storia chiama noi a distruggere l’Unione Europea del capitale. Fuori dall’UE, fuori dalla NATO, per il socialismo.