di Emiliano Cervi
Il 28 giugno ricorre il centenario dall’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando, a Sarajevo, ad opera di Gavrilo Princip, giovane studente serbo affiliato all’organizzazione nazionalista segreta e pan-slava della “Mano nera”: sarà il casus belli che porterà alla deflagrazione del conflitto che viene generalmente riconosciuto come il più terribile, sanguinoso ed insensato che l’umanità abbia mai conosciuto, un passaggio storico che verrà ricordato come uno spartiacque. Esisterà un “prima” ed un “dopo” la carneficina che irrorerà di sangue l’Europa intera. Come la definì successivamente Harold Begbie, autore e giornalista inglese che durante il conflitto pubblicò numerosi poemi propagandistici per l’intervento armato, la guerra era stata “un tale scempio di massacri, una tale anarchia indiscriminata di uccisioni e mutilazioni, una tale oscenità di folli carneficine, quale nessun uomo aveva mai visto fin dall’inizio dei tempi”.
Sarà un passaggio storico che influenzerà e determinerà molti eventi importanti, come vedremo in seguito. Diventa necessario quindi fare uno sforzo per comprendere correttamente il contesto e le cause che portarono alla guerra, immedesimandosi con la gioventù di allora e cercando di comprenderne il sacrificio e la sofferenza, ma soprattutto per imparare una lezione che è più complessa di quanto possa apparire. Il lavoro si suddividerà in tre parti: la prima riguardante la situazione europea nei primi anni del XX secolo, il gioco di alleanze, gli interessi economici ( e quindi gli scontri ) tra le grandi potenze imperialiste e il ruolo dei partiti socialisti. Seguirà una trattazione più incentrata sullo svolgimento delle operazioni militari, il ruolo dell’Italia e le testimonianze dei soldati dal fronte, per terminare infine con una valutazione più generale sull’esito del conflitto mondiale, gli scenari che esso ha aperto e l’esempio della rivoluzione bolscevica.
Finisco questa breve introduzione con una riflessione personale: mi sembra, e me ne convinco sempre più studiando e approfondendo l’argomento, che lo scenario europeo di inizio XX secolo presenti delle analogie evidenti ( e a mio modo di vedere, inquietanti ) con la situazione odierna. Naturalmente fatte le debite differenze come stili di vita, costumi e progresso tra i due contesti, ritengo che il paragone sia fattibile: lo scenario di un mondo multipolare in cui le grandi potenze imperialiste si sfidano a livello globale per il controllo delle risorse economiche, le crisi locali che aumentano la tensione e il livello di scontro tra questi grandi attori e ultimo ma non ultimo l’evidente difficoltà teorica e di comprensione delle dinamiche della società da parte della maggior parte dei partiti comunisti. Invito il lettore a tenere con se e a considerare, mentre si affronterà una delle pagine più sanguinose e terribili della storia dell’Umanità, questa mia riflessione, che se riterrà corretta non può che portare ad un urgenza, per così dire “gramsciana”: la necessità di istruirci e di organizzarci .Credo che il FGC abbia intrapreso con impegno e coraggio, tra mille difficoltà, questa strada.
La “Grande guerra”, un conflitto annunciato
“Non è possibile alcuna altra guerra per la Prussia-Germania, eccetto una guerra mondiale e una guerra mondiale di un’estensione e di una violenza davvero finora impensabili, in cui da otto a dieci milioni di soldati si massacreranno l’un l’altro e nel fare questo devasteranno l’intera Europa finché non l’avranno resa più spoglia di quanto qualsiasi sciame di locuste abbia mai fatto. La devastazione della guerra dei Trent’anni concentrata in soli tre o quattro anni e distribuita sull’intero continente; fame, pestilenza, disperazione generale di entrambi gli eserciti e di tutte le persone civili, causata da un grande dolore; disperata confusione dei nostri meccanismi nel commercio, nell’industria e nei crediti bancari, per finire in una bancarotta generale, nel collasso dei vecchi Stati e della loro tradizionale saggezza statale, fino al momento in cui le corone rotoleranno a dozzine sui pavimenti e non ci sarà nessuno a raccoglierle. E’ assolutamente impossibile prevedere come andrà a finire e chi uscirà vittorioso dallo scontro; solo una cosa è assolutamente certa: lo sfinimento generale e lo stabilirsi delle condizioni per la vittoria finale della classe operaia”. Friedrich Engels, 1887
Praticamente con ventisette anni di anticipo, Friedrich Engles tratteggia lo scenario apocalittico che contraddistinguerà la Grande guerra, la distruzione e la violenza mia conosciuta fino ad allora e soprattutto le condizioni per la “vittoria finale” della classe operaia e l’instaurazione della dittatura del proletariato: pochissimi a quel tempo previdero con precisione il futuro. No, Friedrich Engels non era un mago da fiera, nè un pazzo visionario: era “semplicemente”, insieme a Karl Marx, il fondatore del socialismo scientifico! Non si è trattato quindi di una previsione ma di un’analisi scientifica dei meccanismi economici e poi politici che regolano la società capitalista, oggi come allora: ed è quindi nel solco di questa grande arma di analisi e interpretazione che cercherò di muovermi.
L’Europa e le grandi potenze imperialiste
E’ indubbio che lo stato più potente, che poteva contare sullo sfruttamento di numerose colonie in tutto il mondo, di ricchissimi traffici e rotte commerciali e che vantava la migliore marina militare fosse la Gran Bretagna: maggior disponibilità finanziaria, un sistema produttivo all’avanguardia e bilancia commerciale con segnava sempre enormi avanzi commerciali, facevano del Regno britannico l’imperialismo dominante e più influente di tutto il XIX secolo, apprestandosi a diventarlo ( teoricamente ) anche in quello successivo. Naturalmente anche gli altri paesi del continente presentavano dati di crescita importanti ma che non raggiunsero il livello di quello britannico fino almeno a metà 1913. A questo proposito può venirci in aiuto, anche graficamente, l’andamento del PIL ( indicatore magari non eccessivamente rigoroso ma certamente indicativo ) preso in esame dal 1900 fino al 1914: risulta immediatamente evidente come in termini esclusivamente economici siano gli USA i veri outsider in questo confronto tra le varie potenze. Tralasciamo però l’analisi su questo paese in forte crescita, per il ruolo relativo e marginale che ha avuto negli equilibri pre-bellici mentre ci soffermeremo sulle dinamiche tutte europee. Gli inglesi avevano ovviamente tutto l’interesse a fare in modo che la situazione rimanesse quella di inizio secolo: ogni scontro e rivalità imperialista nel continente sarebbe stata fondamentale per indebolire i suoi “concorrenti” e per rimanere egemone a livello globale. Tutta la politica e la diplomazia britannica si sono mosse in questo senso praticamente fino a qualche giorno prima dell’inizio del conflitto, nell’agosto del 1914.
Quello che spaventava oltremanica era infatti la possibilità che nello scontro inter-imperialista un solo grande paese europeo ( fosse esso la Germania, quanto la Francia o l’odiata Russia ) potesse avere la meglio dei propri rivali e costituire così una sfera di influenza in tutta Europa che sarebbe stata a quel punto un rivale difficilmente affrontabile, sotto ogni punto di vista. Per questo motivo la poderosa crescita del capitalismo prussiano spaventa e non poco. La Germania del Kaiser Guglielmo è un misto di militarismo sfrenato, di grandi gruppi industriali e di una classe aristocratica terriera ( gli Junker ) in lento declino ma ancora capace di far valere il proprio peso nell’agenda politica del Paese.
Già sul finire del secolo l’imperialismo tedesco incomincia ad eguagliare i livelli di quello britannico, se non per estensione territoriale e rete commerciale, sicuramente dal punto di vista produttivo e militare. Ma come dicevo in precedenza, questa rivalità era comunque accettata dall’impero britannico e non erano rare ( basti pensare al progetto della ferrovia Berlino-Baghdad cui parteciparono capitali anglo-tedeschi ) le collaborazioni o addirittura le spartizioni di colonie e territori. In tutto ciò è utile ricordare come la famiglia reale inglese fosse imparentata con quella dell’imperatore tedesco e che la formazione militare dei generali prussiani sovente ebbe luogo al di là della Manica: sicuramente, a discapito di una vulgata popolare ormai abbastanza consolidata, non v’erano sentimenti anti-tedeschi o anti-inglesi che avrebbero potuto avere un ruolo determinante nella scelta delle alleanze e nei destini della guerra .
Piuttosto la grande paura del II° Reich si rivolgeva ad est: la Russia degli Zar, con i suoi territori sconfinati, con milioni e milioni di soldati, con un economia che stava incominciando velocemente a diventare più moderna ( poche erano però le città che presentavano un apparato industriale simile a quello delle città europee, quelle in cui poi successivamente la classe operaia costruì le basi della Rivoluzione ). Era convinzione diffusa che una continua crescita avrebbe portato inevitabilmente ad uno scontro di interessi inconciliabile tra i due paesi: da decenni i generali tedeschi preparavano piani di guerra rivolti verso il gigante russo. Che da par suo intensificava lo sfruttamento delle risorse dei suoi possedimenti, schiacciava sotto il suo tallone tutte le numerose popolazioni che componevano l’impero, perfezionava l’oppressione di classe nei confronti di una nascente classe operaia e dava battaglia, dai suoi confini occidentali fino a quelli orientali, per l’occupazione di importanti territori strategici da un punto di vista militare ed economico ( dalla Crimea fino alle steppe mongole e alla Cina ). Era latente lo scontro sotterraneo e per il momento soltanto diplomatico tra queste due potenze. La Russia dei Romanov era consapevole in ogni caso della forza dell’imperialismo tedesco: anche in questo senso va intesa l’alleanza militare con la Francia, già più volte umiliata dalla Prussia negli anni precedenti, e la sua volontà di espandere la propria influenza ad est, scontrandosi prevedibilmente con l’impero giapponese.
La guerra che ne conseguì, nel 1905, evidenziò alcuni punti fondamentali: in primo luogo l’esercito russo, sconfitto senza appello da quello giapponese, non era in grado di competere con gli eserciti più preparati e equipaggiati come quello tedesco; inoltre la crescente inconciliabilità di interessi tra le grandi potenze poteva risolversi soltanto con la forza. La guerra russo-giapponese era rimasta confinata ad un livello “locale” ma se un conflitto fosse deflagrato nel cuore dell’Europa sarebbe diventato di portata mondiale: di questo tutte le diplomazie occidentali ne erano convinte e consapevoli. La Francia, come accennato, nonostante l’umiliazione subita e la perdita dell’Alsazia e della Lorena aveva fatto registrare anch’essa una crescita importante, dovuta in primis allo sfruttamento delle colonie africane ed asiatiche, anche se non ai livelli anglo-tedeschi, che non furono mai raggiunti. Il governo francese e lo stato maggiore dell’esercito erano però pronti a mobilitare milioni di soldati in chiave antitedesca, per riprendersi quanto perduto ( due regioni industriali ricche di materie prime come detto in precedenza ) e ad eliminare un concorrente in costante ascesa e decisamente pericoloso che metteva in discussione e a repentaglio i possedimenti extraeuropei, di cui le ripetute crisi marocchine di inizio secolo erano state un avvisaglia.
Chi invece, nello stadio finale del capitalismo, della fusione dei capitali finanziari con quelli industriali, ormai segnava il passo erano gli imperi austro-ungarico e quello ottomano. Non certo per estensione territoriale o per mancanza di un esercito numeroso ma per l’evidente debolezza della propria economia, assolutamente non paragonabile a quella degli altri paesi imperialisti. Come possiamo evincere dal grafico nemmeno sommando il PIL di Austria e Ungheria, l’impero asburgico raggiunge i livelli del Regno d’Italia trainato dal Nord industriale. Non sarà un caso che l’evento scatenante della guerra si verificherà, mettendo in moto il meccanismo delle alleanze, nella periferia dell’Europa, in quella parte dei Balcani amministrati dall’impero asburgico e mai domi, tra sentimenti indipendentisti e di fratellanza slava con l’impero russo.
Come abbiamo visto quindi, non si trattò di un evento che colse di sorpresa le grandi potenze, che più di una volta si erano trovate sull’orlo di crisi poi risolvibili tramite le diplomazie: durante questa fase di vera e propria colonizzazione del mondo risultava più conveniente l’accordo rispetto allo scontro e lo sfruttamento condiviso di interi territori. Basta guardare la carta sottostante per rendersi conto di come l’imperialismo allungava i suoi tentacoli nei più remoti angoli della terra ma di come, allo stesso tempo, il “cuore” di questo conflitto si trovava esattamente nel continente europeo.
Crisi diplomatiche e a volte veri e propri conflitti in Africa (Marocco, Sudan,Africa equatoriale, etc), in Asia ( Cina, Corea, Sud-est asiatico), nelle Americhe (dove gli Stati Uniti, nel loro splendido isolamento aldilà dell’oceano, conquistavano pezzo per pezzo quello che restava dell’impero spagnolo ormai in declino ) e nell’Europa stessa ( Crimea e Balcani ). Le alleanze che seguirono furono quindi frutto, oltre che inevitabilmente ai rapporti di forza che si venivano creando, della volontà di mantenere un equilibrio che permettesse a tutte le grandi potenze di poter continuare la rapina delle risorse delle colonie.
A supporto di questa tesi, riporto questi dati che possono aiutarci a valutare meglio le dinamiche dei capitali.
Alla fine del XIX vi era una notevole integrazione nei mercati internazionali del capitale, dovuta sia al progresso tecnologico sia alla collaborazione ( oggi diremmo integrazione.. ) tra le varie istituzioni dei paesi occidentali: il capitale si presentava perfettamente mobile ( cioè in grado di essere investito senza particolari difficoltà ) e flessibile ai differenziali dei saggi di rendimento tra le nazioni. Se andiamo a scomporre il dato degli investimenti in Europa e nel resto del mondo troviamo una differenza evidente: se Francia e Germania investono più del 50% dei capitali nel vecchio continente la Gran Bretagna si comporta in modo diametralmente opposto. Significa che i capitali franco-tedeschi trovano il modo di dare i loro frutti continuando a sfruttare la forza lavoro del continente, quella classe operaia sempre più numerosa e minacciosa; al contrario di quanto avveniva nella madrepatria del Regno britannico, dove invece i tassi di rendimento per gli investimenti nazionali continuava a decrescere. Aiutandoci con questa semplificazione grafica del mercato dei capitali in quel periodo possiamo notare come il saggio di rendimento europeo ( re) si minore di quello del “Nuovo mondo” ( rnw ). In un mercato perfettamente integrato, a livello mondiale e non solo europeo questo saggio si attesterebbe su ( r*) ma non essendolo ecco che possiamo individuare l’esportazione di capitale in F.
Trova conferma la teoria leninista per cui le colonie diventano necessarie per continuare ad assicurare al capitale, e alla classe borghese che li detiene, un adeguato tasso di profitto che non sarebbe più raggiungibile altrimenti: e questo, per l’Imperialismo, val bene una guerra. Si potrebbero sottolineare altri aspetti interessanti analizzando questi dati, come per esempio la quantità di capitale tedesco investito negli Stati Uniti, che entreranno in guerra contro il Reich nel corso della guerra, e addirittura in Russia : oppure specularmente di come capitali francesi fossero presenti in ingenti quantità nel campo “nemico”, in Austria-Ungheria così come in Turchia. Ciò dimostra, a mio modo di vedere, come le motivazioni di questo conflitto ( e volendo generalizzare, di quelli passati e futuri ) non siano stati dettati solo da sentimenti nazionalisti e patriottici come la propaganda e una certa “storia” preconfezionata vogliono farci credere: chi deteneva il Capitale, i grandi banchieri e i grandi industriali di tutte le borghesie dei paesi imperialisti, non si facevano certo problemi di etnie e nazionalità nel decidere quale investimento sarebbe stato il più fruttuoso e quale il popolo da sfruttare maggiormente:
“La febbre degli armamenti ha da molto tempo invaso la “società” inglese ed il governo inglese, proprio come quelli francese, tedesco, ecc. [..] I suoi cantieri (Vickers, Armstrong, Brown e altri) godono di una fama mondiale. Essa e altri paesi spendono centinaia e migliaia di milioni per preparare la guerra; [..] E tra gli azionisti e i direttori dei cantieri navali, delle fabbriche di polvere da sparo, di dinamite, di cannoni, ecc. vi sono ammiragli e famosissimi uomini di Stato inglesi di tutti e due i partiti, sia il conservatore sia il liberale. Una pioggia d’oro cade direttamente nelle tasche dei politici borghesi, che costituiscono una compatta cricca internazionale la quale incita i popoli a competere in fatto di armamenti e tosa questi popoli crudeli, stolti, ottusi e sottomessi come si tosano le pecore! [..]
L’Inghilterra fa parte della Triplice Intesa, nemica della Triplice Alleanza. L’Italia fa parte della Triplice Alleanza. La celebre ditta Vickers (Inghilterra) ha succursali in Italia. Gli azionisti e i direttori di questa ditta (per mezzo dei giornali venduti e dei “faccendieri” corrotti dal parlamento, poco importa se conservatori o liberali), tentano di scagliare l’Italia contro l’Inghilterra e viceversa. Quanto al profitto, lo riscuotono sia dagli operai inglesi che dagli operai italiani, e scorticano il popolo dei due paesi.
I ministri e i deputati conservatori e liberali partecipano quasi tutti a queste ditte. Una mano lava l’altra. [..] Lo stesso, naturalmente, avviene in tutti i paesi capitalistici. Il governo è un comitato di commessi della classe dei capitalisti che viene pagato bene. I commessi sono essi stessi degli azionisti. E tutti insieme tosano le pecorelle al frastuono di roboanti discorsi sul “patriottismo”… (Lenin, Gli armamenti e il capitalismo)
L’unico argine possibile al conflitto mondiale: il ruolo dei socialisti
Quella presunta utopia che terrorizzava le case reali europee, regni ed imperi, si aggirava sempre più per l’Europa e non si trattava certo di uno spettro. Partiti socialisti ed organizzazioni operaie erano sorte in tutto il continente, sotto l’influenza diretta delle idee rivoluzionarie di Karl Marx e Fridrich Engles e del loro “Manifesto del Partito comunista”. Non solo, queste organizzazioni riunite tutte nella II^ Internazionale ( di fatto guidate dalla socialdemocrazia tedesca) avevano conquistato col passare del tempo, anche una forte rappresentanza politica e larghissimo consenso e riconoscimento nella classe lavoratrice. Riporto questi dati sulla rappresentanza politica perché penso possano dare l’idea del peso reale dei socialisti nell’Europa di inizio secolo: la prima tabella ci ricorda che il diritto di voto era riservato ad una ristretta cerchia della popolazione ( quella borghese) e che solamente col passare del tempo, e delle lotte dei lavoratori, pian piano questo diritto si era allargato ad altre fasce della popolazione senza mai arrivare al suffragio universale.
Nonostante tutto però i socialisti erano riusciti a conquistare diversi seggi alle elezioni, tanto che in Germania potevano vantare addirittura il 34,8% dei voti, cosa che fece dell’SPD, oltre che un protagonista della politica interna del Reich, anche il partito cardine della seconda internazionale che in quegli anni aveva elaborato una posizione comune contro ogni possibile conflitto tra le potenze europee.La posizione concordata da tutti gli aderenti alla seconda internazionale era riassunta nelle risoluzione adottata a Basilea nel 1912, come Lenin ricorderà, a guerra ormai già iniziata:
“Il manifesto sulla guerra, accettato all’unanimità a Basilea nel 1912, si riferisce proprio alla guerra fra l’Inghilterra e la Germania ed i loro rispettivi alleati attuali, che scoppiò poi nell’anno 1914. Il manifesto dichiara apertamente che nessun interesse del popolo può giustificare una simile guerra, condotta per i profitti dei “capitalisti ed a vantaggio delle dinastie”, sul terreno della politica imperialista di rapina delle grandi potenze. Il manifesto dichiara apertamente che la guerra è pericolosa “per i governi” (tutti, senza eccezione), rileva il loro timore di una “rivoluzione proletaria”, cita con la massima precisione l’esempio della Comune del 1871 e dell’ottobre-dicembre del 1905, cioè l’esempio della rivoluzione e della guerra civile. In tal modo il manifesto di Basilea fissa, proprio per questa guerra, la tattica della lotta rivoluzionaria degli operai su scala internazionale contro i propri governi, la tattica della rivoluzione proletaria. Il manifesto di Basilea ripete le parole della risoluzione di Stoccarda , e cioè che in caso di guerra, i socialisti devono sfruttare la “crisi economica e politica” che ne deriva per “affrettare l’eliminazione del dominio di classe capitalistico”, cioè di sfruttare le difficoltà che la guerra crea ai governi e l’indignazione delle masse, ai fini della rivoluzione socialista.” Lenin, Il socialismo e la guerra
Questa risoluzione fu completamente tradita dalla maggior parte delle socialdemocrazie europee e trainate dall’esempio di quella tedesca ( solamente casi isolati, come l’unico deputato socialista serbo, una minoranza dei socialdemocratici russi o in un primo momento il Partito Socialista Italiano votarono contro i crediti di guerra ) si affrettarono a votare i crediti di guerra necessari allo scoppio del conflitto, macchiandosi così di tradimento nei confronti delle loro stesse risoluzioni e soprattutto nei confronti delle masse lavoratrici che furono gettate come “carne da cannone” nei campi di battaglia e nelle trincee che segnavano i fronti tra le potenze imperialiste in armi.
Può sembrare un ruolo marginale, quello delle avanguardie della classe lavoratrice: si può sempre pensare che in qualche modo i crediti di guerra sarebbero stati votati lo stesso, con qualche artificio tipico delle democrazie borghesi. Certamente questo è plausibile ma non nega l’essenza del problema: i paesi imperialisti, più di qualsiasi avversario e rivale sullo scenario internazionale, avevano paura della sollevazione in armi delle grandi masse popolari guidate dai partiti socialdemocratici. Erano consapevoli, traendo le giuste conclusioni dalla prima grande esperienza rivoluzionaria ( la Comune di Parigi del 1871, poi soffocata nel sangue), che il pericolo reale si trovava “in casa”. Non era un mistero, come abbiamo visto il programma della Seconda Internazionale lo dichiarava pubblicamente!
Se da un lato si metteva in pratica una dura repressione nei confronti dei militanti sindacali e socialisti, dall’altro i governi europei cercavano di blandire, di corrompere quella che verrà poi definita l'”aristocrazia operaia”, ovvero i dirigenti di maggior spicco di queste organizzazioni. Entrambe le politiche diedero i frutti sperati, chi detiene il monopolio della forza ( lo Stato ) lo usa contro i propri avversari politici. Quello che in ogni caso è evidente e non ascrivibile alle azioni dei governi europei è però l’abbandono totale di ogni teoria rivoluzionaria da parte di quei partiti e dei loro dirigenti, convinti di poter diventare un rappresentante politico “affidabile” agli occhi dello “Stato”, di poter concorrere alla politica nazionale e di ottenere un riconoscimento istituzionale. Che era soltanto quello che si auguravano i grandi capitalisti, le banche e i proprietari terrieri: la smobilitazione delle masse in senso rivoluzionario per la difesa della “patria”. Così Lenin rispondeva ai socialisti che avevano tradito l’Internazionale:
“La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” (e precisamente con mezzi violenti). Questa celebre espressione appartiene ad uno dei più profondi scrittori di problemi militari, Clausewitz . Giustamente i marxisti hanno sempre ritenuto questa tesi come la base teorica per intendere il significato di ogni guerra concreta. Marx ed Engels hanno sempre considerato le varie guerre precisamente da questo punto di vista. Applicate questa teoria alla guerra attuale. Vedrete che, nel corso di decenni, di quasi mezzo secolo, i governi e le classi dominanti in Inghilterra in Francia, in Germania, in Italia, in Austria, in Russia hanno condotto una politica di depredazione delle colonie, di oppressione di altre nazioni, di soffocamento del movimento operaio. Appunto tale politica – e soltanto essa – ha la sua continuazione nella presente guerra. [.. ]Basta ricordare che la guerra attuale è la continuazione della politica delle “grandi” potenze e delle classi fondamentali nell’interno di esse, per vedere subito la stridente antistoricità, la falsità e l’ipocrisia dell’opinione secondo la quale l’idea della “difesa della patria” sarebbe giustificabile in questa guerra.” Lenin, Il socialismo e la guerra
Gli esisti delle lotte di classe condotte in ogni paese avevano allora importanza non solo nazionale ma influivano addirittura nello scenario internazionale. Pensiamo per esempio alla neutralità italiana che si protrasse fino al 1915: la scelta di accettare un’alleanza piuttosto che un’altra ( sia l’Intesa che l’Alleanza proponevano la spartizione di territori e regioni intere) presentava rischi, dovuti sia all’esito della guerra che all’affidabilità di chi li proponeva. Ma la propaganda e la mobilitazione dei socialisti italiani cresceva, rimanere fuori dal conflitto avrebbe dato forza maggiore al Partito Socialista e alle masse lavoratrici in ottica rivoluzionaria. Quale fosse il rischio più temuto, la borghesia italiana lo dimostrò velocemente: non fidandosi delle promesse del Kaiser Guglielmo e rivendicando le terre irridente, l’Italia dichiarerà guerra all’Austria-Ungheria aprendo un fronte che risulterà decisivo negli equilibri della grande guerra.
Fonti oltre a quelle già citate nell’articolo:
- Kevin H.O’Rourke, Jeffrey G.Williamson, Globalizzazione e storia – L’evoluzione dell’economia atlantica nell’ottocento
- Mario Isneghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra
- Roberto Raja, La Grande Guerra
- Gian Enrico Rusconi, 1914: attacco a occidente
- Niall Ferguson, Il grido dei morti