di Emanuele Vecchi
La Costa D’Avorio, il cui nome completo è Repubblica Della Costa D’avorio, è un paese dell’Africa occidentale di cui è una delle economie più prospere ma allo stesso tempo più fragili. Il mercato è essenzialmente agricolo (oltre il 70% della popolazione è impiegata in questo settore) e si basa sulla produzione di caffè, di cui è il primo paese produttore ed esportatore al mondo, semi di cacao e olio di palma. Conseguentemente l’economia è molto instabile poiché è legata alle fluttuazioni dei prezzi internazionali di questi prodotti e alle condizioni meteorologiche. Nella seconda metà del XIX secolo, nacque e si sviluppò anche il settore manifatturiero grazie alla scoperta di giacimenti petroliferi sulla costa e alla presenza di giacimenti minerari in prevalenza composti da diamanti, manganese, bauxite, oro e nichel. A dispetto (o forse proprio per questo?) di questa enorme ricchezza, che se adeguatamente sfruttata potrebbe creare numerosi posti di lavoro e pace e sicurezza, la Costa D’Avorio è sconvolta dal 2001 da una sanguinosissima guerra civile. È impossibile quantificare i bambini e bambine soldato, armati di machete e kalashnikov, che hanno ucciso e sono stati uccisi, schiavi (anche sessualmente) dei miliziani delle diverse fazioni. Arruolatisi per disperazione, costrizione, per sfuggire dalla fame, parte di una guerra che non è la loro, lontani dalla famiglia e amici, che forse non rivedranno, o peggio, vedranno in battaglia, soldati di un’opposta fazione. Per alcuni, dopo Alassane Ouattara, divenuto presidente del paese nel 2010 dopo la sconfitta e l’arresto del suo avversario e predecessore Laurent Gbagbo, l’arruolamento nelle milizie regolari è stata una strada obbligatoria, di salvezza. Ashley, sergente dell’esercito, spiega:” Ho cominciato la guerra nel 2003 a Katiola. È il mio lavoro. So come si smontano e si montano le armi. Ho già ucciso molte persone quindi non potrei più fare altro lavoro a parte essere militare. So maneggiare le armi, potrei essere un malvivente, preferisco essere un soldato.”. Al binomio miseria-guerra è associato anche il fenomeno della prostituzione: anche in questo caso praticato per la maggior parte da adolescenti.
Abidjan è l’ex capitale della Costa D’Avorio nonché il maggior centro commerciale del paese. La città è divisa in due parti da un muro immaginario: ricchezza e lusso si contrappongono a povertà, miseria, malattie, morte. Questa contrapposizione, questo binomio indissolubile della realtà quotidiana del nostro sistema, si percepisce quando, dopo aver percorso una strada asfaltata dal centro della città, si raggiunge la baraccopoli Attè Coubè di Boribana. Case costruite con lamiere, cartoni, addossate l’una all’altra. Fogne a cielo aperto si alternano a baracche adibite a negozi, sui cui banconi sono disposti brandelli di carne di capra, pezzi di pesce seccato sui quali sorvolano mosche e grosse lucertole nere e gialle. Eppure in questa realtà, c’è chi ha ancora la forza di sorridere: bambini il cui riso risplende in contrasto con la loro pelle scura. Non sorridono invece gli adulti, gli anziani, coscienti di quello che è accaduto e accadrà. Inizia tutto da quel giorno, il 19 agosto del 2006 quando alla banchina della Puma Energy attracca la Probo Koala. Porta con sé 530 metri cubi di rifiuti derivati dalla raffinazione del petrolio, fatta con soda caustica. La Probo Koala era stata presa in affitto dalla società Probo Koala Shipping Inc. dalla multinazionale Trafigura. Casa madre nei Paesi Bassi si dirama nelle sue controllate in Gran Bretagna, Svizzera e Paesi Bassi, dove la Puma Energy controlla al 100 per cento la Puma Energy di Abidjan in Costa D’Avorio. Il carico avrebbe dovuto essere trattato ad Amsterdam presso una ditta specializzata, al costo di 1000 euro al metro cubo. Decisamente troppo per Claude Dauphin ed Eric De Turckheim, dirigenti della sede di Londra che hanno deciso di risolvere la questione in modo semplice e veloce, ma soprattutto minimizzando i costi: far salpare la Probo Koala e scaricare il carico ad Abidjan. Un affare d’oro: 515,690 mila euro risparmiati. Ma a che prezzo per gli abitanti della ex capitale ivoriana? Ecco i numeri: 30.000 vittime nel breve periodo e più di 100.000 nel lungo periodo. Vomito, mal di testa, gonfiori alla pancia, bruciore agli occhi, ustioni su tutto il corpo, riempito da fitte e piccole chiazze violacee. Juliette Gueibla, trenta anni, che non potrà più avere figli racconta:” Dalle ustioni la bocca mi si era quasi completamente chiusa, le labbra attaccate l’una all’altra”. Bakayoko Anada è uno degli undici camionisti incaricati dalla ditta Salomon, cui la Puma Energy aveva appaltato la pulizia della Probo Koala, di sversare i rifiuti tossici alla discarica di Ackquèdo. Racconta:” Sembrava tutto regolare. Ci dissero che si trattava solo di acqua sporca. Ma al primo scarico ad Akquèdo la puzza era insopportabile, bruciava i polmoni. Qualcuno di noi inzuppò uno straccio nel liquido e avvicinò la fiamma dell’accendino. Il liquido prese subito fuoco.” Come tanti altri, questo è un crimine senza colpevoli: gli unici che finora hanno pagato per questo reato sono stati un dirigente doganale ivoriano, condannato a cinque anni e Solomon, il direttore della Tommy, condannato a vent’anni. Claude Dauphin e Jean-Pierre Valentin, dirigenti della sede di Londra della società Trafigura Limited, sono stati assolti per “non aver personalmente commesso o agito alcun atto perseguibile”. Chi ha davvero pagato sono le troppe vittime. Studi recenti hanno evidenziato come i scarti contenuti nel carico, come il benzene, hanno provocato un aumento e provocheranno un aumento a dismisura della leucemia. L’ospedale di oncologia di Abidjan ha solo venti posti letto e sette medici, per un totale di venti milioni di abitanti in tutto il paese. I farmaci per la chemioterapia vi arrivano soltanto grazie al lavoro di una Ong italiana, “Soleterre”. A proposito del bel paese: la Adria Link, società istituita dall’Acegas (primo produttore italiano per i rifiuti trattati e facente parte del complesso Acea) è partecipata in egual misura da Enel Produzione Spa e da Trafigura Elettricity Italia Spa controllata italiana della Trafigura responsabile della tragedia provocata dalla Probo Koala.
Storie diverse, diversi i protagonisti, diversi i tempi e i modi: ma sempre e solo un’unica risposta e soluzione. Come dietro i tumori per i rifiuti tossici coesistono gli interessi delle grandi multinazionali monopolistiche quali la Trafigura, dietro la guerra ci sono quelli geopolitici ed economici delle grandi potenze capitalistiche occidentali come quelli neocoloniali della Francia, interessata a garantirsi il proseguo del monopolio sullo sfruttamento delle risorse del paese.