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Il ciclismo che ancora ci emoziona

* di Emiliano Cervi

Il ciclismo è uno sport dal sapore antico, eroico e soprattutto popolare. Perchè ognuno di noi può immedesimarsi nel grande corridore che preferisce (dipende dall’età ovviamente), inforcare una bicicletta, chinarsi sui pedali e sentire il vento in faccia mentre il cavallo a due ruote macina chilometri su chilometri per le strade della città, così come della campagna o, per i  più arditi, della montagna.  Il ciclismo è uno sport popolare perché per praticarlo non necessariamente si devono spendere fortune in attrezzature tecniche ( poi a seconda dei gusti e soprattutto delle tasche si possono comprare biciclette, o meglio dei veri e propri gioielli di tecnica e design, da migliaia di euro ), perchè le corse agonistiche si corrono in mezzo alla gente, per le strade che tutti noi percorriamo ogni giorno.Il ciclismo è uno sport popolare perchè la fatica che compiono i corridori, dal più forte al quello meno dotato, si vede, si sente, viene trasmessa allo spettatore sia esso comodamente seduto in poltrona così come urlante e festoso lungo la via.  Il ciclismo è uno sport che affascina anche per gli stupendi paesaggi che si possono assaporare, boschi silenziosi, campagne placide e laboriose o piccoli borghi e paesini fuori dai soliti itinerari (che di solito sono casa-lavoro, lavoro-casa): per tutti questi motivi e probabilmente molti altri le grandi corse a tappe come il Giro d’Italia, il Tour de France, la Vuelta de Espana o le classiche del Nord come la Parigi-Rubaix, la Freccia Vallone, l’Amstel Gold Race, il Giro delle Fiandre sono seguite da milioni di appassionati in tutto il mondo da più di un secolo.

Anche il nostro paese vanta una grande storia, di corridori ( Girardengo,Coppi, Bartali, Adorni, Gimondi, Bugno, Argentin, Chiappucci, Simoni, Nibali etc etc ) e di competizioni come la Milano-Sanremo, la grande classica di primavera, il giro di Lombardia, il giro del Trentino e mille altre ancora in tutta Italia, da nord a sud. Purtroppo questa lunga tradizione, questo spettacolo, come tutti sappiamo deve confrontarsi quotidianamente con la grande piaga del doping che tanti danni sta facendo al ciclismo: negli ultimi anni molto è stato fatto per combattere l’uso di sostanze dopanti, tanto che si può tranquillamente affermare che non vi sia altro sport che sia stato così controllato, analizzato e regolamentato.
Eppure sembra che il doping esista soltanto in questo mondo fatto in prevalenza, secondo una certa vulgata, di medici criminali e atleti fasulli: naturalmente non si parla di calcio, dove chi ebbe il coraggio di denunciare certe pratiche “particolari”, di gridare “fuori il calcio dalle farmacie” venne fatto a pezzi e messo alla pubblica gogna. Chi ha il coraggio di sostenere che il calcio sia uno sport pulito? ( ai recenti mondiali la mancanza di condizione atletica dei campioni del mondo ed europei della Spagna ha sorpreso molti.. ).
Non parliamo poi dell’atletica, un vero e proprio stillicidio di medaglie e record ottenuti con l’uso di sostanze proibite ( per esempio, citandone alcuni, Ben Johnson, Tyson Gay, Marion Jones, Carl Lewis o il “nostro” Alex Schwazer).
Stranamente però la colpa, la “leggerezza”, viene sempre addebitata al singolo atleta e mai, giustamente, alla disciplina nella sua totalità: chi sbaglia paga (neppure così tanto in realtà) ma il resto è pulito.
Questo non avviene nel ciclismo, in cui il sospetto aleggia su tutti i corridori, quando ogni scatto viene visto con diffidenza e col dubbio che qualcosa di “strano” possa esserci: possiamo allora esaltarci per la grande vittoria di Vincenzo Nibali al Tour de France senza pensare male?
Si, possiamo farlo senza riscoprire per l’ennesima volta quell’ipocrita moralità da inquisitori che dal giorno in cui morì Marco Pantani ci viene ripetuta continuamente. Anzi, dopo dieci anni dalla sua scomparsa, si scopre (si fa per dire) che non fu un’overdose di cocaina ad ucciderlo, ma si trattò di un vero e proprio omicidio legato probabilmente alla volontà del Pirata di scoperchiare quel mondo che prima l’aveva portato sul tetto del mondo e poi l’aveva fatto precipitare in un inferno di droga e depressione.  Misteri all’italiana, da leggere d’estate sotto l’ombrellone.

Ma se il lavoro delle autorità fosse quello di trovare i mandanti e gli esecutori del delitto una cosa si può dire: a monte di tutto c’è il guadagno e la ferrea determinazione di non fermarsi davanti a niente e nessuno pur di ottenerlo e ciò per lo Sport altro non è che un cancro.  Si fa uso di sostanze vietate per poter competere con gli altri, per poter primeggiare, per poter vincere e far vincere alla propria squadra premi e consentire visibilità  agli sponsor: tutto gira attorno ai soldi e per il ciclismo, così come per tutte le altre discipline ben più sponsorizzate e ricche, il rischio è quello di cessare di essere agonismo, sana competizione e passione per diventare un baraccone mediatico senza sentimenti il cui unico scopo è il profitto. Lottare per un mondo diverso, in cui non sia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo la chiave di volta del sistema, lottare per il Socialismo vuol dire anche salvare il ciclismo e lo Sport in generale e intanto,  tra mille sacrifici e difficoltà che si affrontano nella lotta quotidiana, lasciamoci prendere dalle emozioni.
Come quelle che ci ha regalato un grande Vincenzo Nibali, campione italiano, che sfilando lungo le strade di Parigi con la maglia gialla ha riportato il nostro paese sul tetto del mondo dove eravamo arrivati nel 1998 seguendo le imprese del Pirata romagnolo, e dove un po’ tutti, avevamo lasciato  un pezzo di cuore.

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