* di Emiliano Cervi
«Sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito»
Questo detto popolare rende decisamente bene la portata storica e politica della nascita di una nazione, la Yugoslavia, che riunì finalmente in un unico Stato, socialista (e non poteva essere altrimenti) tutte le popolazioni slave del sud liberandole dall’oppressione nazifascista e risolvendo un atavico conflitto nella penisola balcanica. Poi gli eventi hanno preso una strada impervia, la rottura politica tra Tito e Stalin e il conseguente allontanamento del paese dal blocco socialista, i rapporti via via più stretti con gli USA e il blocco occidentale, un abbraccio mortale che ha portato il Paese alla disgregazione e alla guerra civile, al riacutizzarsi di quell’odio inter-etnico sapientemente utilizzato da secoli per dividere i popoli balcanici.
La guerra imperialista di fine secolo, a cui ha partecipato anche il nostro paese con i voti delle sinistre, ha poi finito quello che anni di guerra civile non aveva fatto: distrutte le infrastrutture della Serbia, contaminato l’ambiente con materiale radioattivo, compromesso il tessuto economico nazionale, armato milizie di fondamentalisti islamici (bosniaci, ceceni, sauditi, etc ) e nazionalisti albanesi per disintegrare quanto costruito in più di 40 anni.In questo piano rientra la creazione di uno Stato “fantoccio” degli USA e della NATO nel cuore della penisola, il Kosovo. Senza voler entrare ora nei particolari di questo “Stato”, che reca nella piazza principale la statua di un vittorioso Bill Clinton, possiamo però capire in quale clima si è svolta la partita tra Serbia e Albania valida per le qualificazione all’Europeo di calcio di Francia 2016.
In un clima già rovente ( e con la curva dei tifosi albanesi chiusa preventivamente ) sì è verificato qualcosa che i più maligni pensavano fosse già programmato, ovvero una provocazione antiserba.
Difficile pensare però che anche il più fantasioso di costoro potesse pensare ad un drone che, sorvolando il terreno di gioco, facesse sventolare una bandiera della “grande Albania” e inneggiante all’indipendenza del Kosovo.
( video https://www.youtube.com/watch?v=5JaVx3DYlSE)
Come si può immaginare gli animi si sono accessi ( come se ce ne fosse stato ulteriore bisogno ) mentre un giocatore serbo riusciva poi a fermare la provocazione, strappando la bandiera come possiamo vedere dalle immagini televisive: quello che risulta incredibile, almeno per chi scrive, è la reazione dei giocatori albanesi che a questo gesto di assoluto buon senso hanno iniziato una rissa che è velocemente degenerata con l’invasione di campo anche di tifosi serbi con conseguente sospensione definitiva del match.
Calcio e politica
Naturalmente si sono sprecate le accuse da una parte e dall’altra con notizie più o meno veritiere riportate dalle agenzia di stampa: se da un lato comprensibilmente il ministro degli esteri serbo dichiara come sia stata una “provocazione politica”, che “la Serbia non ha alcuna responsabilità per l’interruzione del match” e “se qualcuno della Serbia avesse esposto una bandiera della Grande Serbia a Tirana o Pristina il caso sarebbe già all’ordine del giorno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, dall’altra parte si leggono dichiarazioni come quella di Igli Tare, dirigente della Lazio, che afferma “Ovviamente siamo orgogliosi della nostra storia e delle nostre radici e lo avete visto nel momento in cui i giocatori hanno difeso la nostra bandiera in mezzo al campo”.
Insomma non solo non si condanna la provocazione ma addirittura si esaltano la storia e le radici dei giocatori albanesi che difendono la “bandiera”. Sono dichiarazioni incredibili, che ognuno di noi dovrebbe condannare per il suo contenuto sciovinista, foriero di ulteriori tensioni. I massimi vertici UEFA e FIFA, addirittura la UE, si schierano duramente contro la “politica” nel mondo del pallone evitando così ancora una volta di condannare apertamente le provocazioni antiserbe nascondendosi dietro comunicati fumosi e privi di ogni significato reale.
Inizia Joseph Blatter: “Il calcio non deve mai essere utilizzato per messaggi politici”, e conclude Michel Platini “Il calcio serve a unire i popoli e il nostro sport non dovrebbe essere coinvolto con risvolti politici di qualsiasi genere”. La UE, per bocca dell’Alto rappresentante Catherine Ashton, ricorda a tutti come la “politica non debba essere guidata dalle provocazioni da stadio”: neanche nel nostro Paese un qualsiasi politicante in cerca di notorietà sarebbe riuscito a prodursi in tale dichiarazione, a metà tra lo scherno e il totale distacco dalla realtà.
Purtroppo così non è, dichiarazioni del genere sono perfettamente in linea con la politica della UE (e degli USA) , chiaramente improntata all’esplosione di ogni tipo di conflitto, sia esso in Ucraina, in Serbia, Corea o Medio Oriente. E le autorità calcistiche fanno parte di questo stesso gioco: d’altro canto, chi con un minimo di sale in testa, avrebbe permesso che Serbia e Albania, viste la situazione contingente, potessero affrontarsi nello stesso girone? La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa, avrebbe detto Marx.