di seguito il testo dell’intervento del Segretario nazionale del FGC, Alessandro Mustillo, all’assemblea studentesca del Liceo Albertelli di Roma.
Vi ringrazio per la partecipazione e per l’invito oggi a questa assemblea. Ho visto che come scuola vi siete impegnati molto nell’analisi della riforma e quindi cercherò di non dilungarmi troppo rischiando di annoiarvi con cose già note, lasciando invece spazio alle vostre domande dirette e al dibattito che ne seguirà. Quando si parla di opposizione ad una riforma è d’obbligo fare una premessa. Noi non difendiamo la scuola oggi così com’è. Per noi la scuola di oggi ha un’infinità di problemi. Cambiare la scuola sarebbe quanto mai necessario, ma il punto vero è capire cosa cambiare e in nome e per conto di chi questi cambiamenti devono essere fatti; quale sia l’obiettivo finale che con questi cambiamenti vuole essere raggiunto In poche parole: migliorare la scuola pubblica realmente, oppure proseguire sulla strada della dismissione dell’istruzione pubblica come fatto fino ad oggi da governi di centrodestra e centrosinistra in questi anni? Rispondendo a questa domanda si comprenderà allora come la nostra non è affatto una posizione di conservazione, di difesa dello staus quo, ma di opposizione ad un peggioramento della condizione già non eccellente della scuola italiana. Ed è inoltre la posizione di chi, come la gioventù comunista, ha una proposta alternativa di società e di scuola a quella propinata da questo sistema e dal governo oggi.
Renzi è eccezionale nella comunicazione, nel dipingere chiunque si opponga alle sue riforme come vecchio, conservatore, da superare e così via. Ma non sempre le “novità” proposte dal governo sono realmente nuove misure. Spesso dietro parole nuove, magari dette in inglese, si nascondono vecchi progetti, il ritorno di vecchie concezioni di scuola ed istruzione. Le novità comunicative celano vecchie ricette che vengono riproposte, spesso annullando in un colpo solo anni di lotte e conquiste. Questa realtà deve essere smascherata, ma basta poco per farlo e soprattutto guardare alla realtà dei fatti che, come si sa, ha la testa dura.
Per comprendere bene una riforma poi è necessario inserirla in un quadro. Singole disposizioni prese singolarmente spesso non trasmettono immediatamente la loro reale portata se non viste alla luce del sistema nel complesso. Ad esempio sul caso della formazione nei tecnici e nei professionali, non si può non tener conto del mondo del lavoro attuale, e delle ultime riforme del governo. Così come la valutazione di una riforma, specie nel caso in questione dove stiamo parlando ancora solamente di una bozza di proposta, non può non tenere in conto il lato finanziario degli stanziamenti economici che il governo mette a disposizione per attuarla realmente.
Per analizzare la Buona Scuola secondo me bisogna partire dall’ultimo capitolo, il sesto, quello sui finanziamenti. Il capitolo si apre con un’affermazione molto importante: “per finanziare la scuola non basteranno mai le risorse pubbliche”. Questa affermazione sembra ovvia, perché per anni siamo stati abituati all’idea che i soldi non ci sono, che le risorse dello Stato non sono in grado di finanziare la scuola, insieme agli altri servizi che garantiscono diritti, come la sanità, l’università, programmi di edilizia popolare, manutenzione del territorio, cosa che in questi giorni risulta particolarmente importante. Bene quest’affermazione è falsa. La verità non è che i soldi non ci sono, ma che le scelte politiche ne condizionano l’utilizzo, spesso sotto dettatura del Fondo Monetario Internazionale, della BCE e dell’Unione Europea. I soldi ci sono per salvare le grandi banche dal fallimento, per acquistare i caccia F-35 con 9 miliardi di euro di spesa programmata, i soldi ci sono per pagare gli interessi sul debito pubblico per circa 100 miliardi di euro all’anno.
Dicevo prima che la scuola così com’è non va bene. Uno dei dati più allarmanti, su cui tornerò dopo è che in Italia uno studente su quattro non finisce il suo percorso di studio. Bene nel complesso il governo Renzi nella Buona Scuola destina appena 11,4 milioni di euro per la lotta alla dispersione scolastica e 15 milioni per le borse di studio. Potrebbero sembrare cifre enormi per noi, che di certo non siamo abituati a concepire una tale cifra di soldi. Ma per il bilancio dello Stato sono poco più che briciole. Basti pensare che nello stesso periodo il governo stanzia 480 milioni di euro per le scuole private! Stiamo parlando di uno stanziamento di venti volte quello che dovrebbe garantire il sostegno al diritto allo studio per tutte le scuole di ogni ordine e grado sul territorio nazionale. Se rapportate queste cifre a quelle che ho detto poco fa, vi renderete immediatamente conto che in realtà i soldi ci sono e che allora il problema sono le scelte politiche, e gli interessi economici che le condizionano, a determinare in che modo i soldi vengono spesi. Quindi la storia che i soldi non ci sono è una leggenda da sfatare.
Ma questa storia deve essere inculcata nelle menti fino a farla diventare verità assoluta perché solo così si può aprire la strada al pieno intervento dei privati nella scuola, trasformando la scuola, pubblica, se ha ancora senso parlarne in questi termini, in uno strumento per il profitto privato dei grandi gruppi monopolistici del paese. La proposta di Renzi prevede tre livelli di agevolazioni per i privati. La prima parte dall’idea della trasformazione delle scuole in fondazione, sulla linea seguita da Fioroni anni fa, e la detassazione per i privati delle quote di erogazioni fatte alle scuole. Sgravi fiscali in cambio di finanziamenti diretti, con ovvie conseguenze sulla programmazione, su cui poi tornerò. La seconda è una variante di questo modello specificatamente destinata a chi si impegnerà nei progetti di formazione scuola-lavoro e anche su questo torneremo perché è un punto davvero centrale. Il terzo, il puù interessante, parla di finanza sociale, finanza buona, e così via. Le scuole emetteranno delle obbligazioni, ossia una forma di finanziamento a prestito, che privati compreranno in cambio ovviamente degli interessi. Si tratta della prima volta che viene avanzata una proposta di tale portata: far diventare le scuole e le loro attività fonte di profitto finanziario per banche e grandi imprese. La Buona Scuola è una bozza e quindi ancora non si sa, in che modo lo Stato o gli enti locali potranno intervenire, chi dovrà farsi carico di queste obbligazioni, se le scuole direttamente o con enti pubblici territoriali o il ministero stesso come intermediario. Per capire cosa significa la finanza basta vedere in che modo sono ridotti comuni, province, e enti pubblici per aver giocato con i prestiti. Ora che i margini di profitto sono ridotti nelle pubbliche amministrazioni, anche per i limiti del patto di stabilità, alle banche devono essere concessi nuovi strumenti per guadagnare. Ecco che anche le scuole diventano un obiettivo. Capirete chiaramente che questa proposta è inaccettabile.
In secondo luogo nell’analisi della Buona Scuola bisogna parlare anche di quello che manca. Dicevo prima che noi non difendiamo in tutto e per tutto la scuola così com’è oggi. Ci rendiamo conto che ci sono importanti cambiamenti da fare, ma di questi non c’è traccia nella proposta del governo. In particolare sono due gli elementi mancanti: la questione del diritto allo studio e una proposta sui cicli d’istruzione. La prima questione è quella che riguarda la possibilità materiale di un giovane di accedere al sistema dell’istruzione. Qualcuno potrà dire che in un paese dove la Costituzione prevede una scuola pubblica e gratuita il problema non si pone. Ma voi che siete studenti sapete meglio di me, quali e quante difficoltà incontra uno studente oggi, e quanti ostacoli sono posti ad un diritto reale all’istruzione. L’OCSE ha calcolato che i contributi studenteschi sono aumentati del 300% dalla loro istituzione negli anni ’90 ad oggi. Se prima in media il contributo, che serviva all’offerta aggiuntiva delle scuole, toccava l’equivalente in lire di 40/50 euro, oggi la media nazionale è 150, con punte molto maggiori. A dirlo è l’OCSE, quindi non una pericolosa agenzia bolscevica, ma un qualcosa che semmai sta dall’altra parte. Dei contributi ad esempio non se ne parla minimamente nella riforma, eppure sono la principale fonte di finanziamento delle scuole oggi, spesso usati per coprire costi che dovrebbero essere coperti dallo Stato. L’Italia è l’unico paese al mondo che paga la scuola pubblica due volte: con i soldi della fiscalità generale e con quelli delle famiglie, con i contributi che da volontari diventano nei fatti obbligatori.
Così come non si prevede nessuna misura sui libri di testo. Parlo di misure reali come il comodato d’uso, la programmazione seria di edizioni on line, e non quello che viene fatto tanto per fare oggi. Nulla si dice sui trasporti, dove anzi assistiamo continuamente ad aumenti dei costi dei biglietti, alla diminuzione delle agevolazioni per gli studenti, perché gli enti locali tagliano fondi stretti nella morsa del patto di stabilità. Tutto questo è il diritto allo studio, che in Italia in realtà non c’è, o almeno non è universalmente riconosciuto indipendentemente dalla condizione economica. Parlavo prima dei dati sulla dispersione scolastica. Se si analizzano nel dettaglio si vede che la dispersione è maggiore nel Sud Italia e nelle periferie delle grandi città. Sarà un caso secondo voi che la dispersione è maggiore nelle aree dove è minore il reddito della popolazione? Perché ai Parioli a Roma la dispersione scolastica è nettamente inferiore a quella di Tor Sapienza? Perché nel complesso in Emilia Romagna la dispersione è inferiore alla Calabria? Non penso sia un mistero dire che le condizioni di classe della famiglia di provenienza incidono sul futuro di un giovane e che sempre più si abbassa l’età in cui i risultati di questa selezione vengono alla luce. E non si tratta solo della dispersione che è l’insieme delle situazioni peggiori, ma anche della scelta del percorso formativo che avviene a monte e che sempre più avviene sulla base non delle aspirazioni e delle inclinazioni dei giovani, ma sulla base delle possibilità economiche delle famiglie. Non si può chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Noi lo diciamo da tempo che la scuola di oggi, e soprattutto la scuola che si vuole costruire con queste riforme, è una scuola di classe. Ma di tutto questo il governo non se ne occupa, anzi.
Già perché soffermandomi su questo aspetto viene naturale legarlo ai criteri di finanziamento che si vogliono adottare per le scuole e in particolare al sistema di valutazione delle scuole. Nella Buona Scuola si prevede di continuare, accelerando su questa strada, nella direzione dei finanziamenti differenziati alle scuole. Un assaggio del modo di valutazione lo abbiamo avuto con il sistema Invalsi, cioè quei test a crocette che vengono propinati nel secondo anno. Bene, l’obiettivo del governo è proprio quello di finanziare le scuole sulla base dei risultati. In questi anni il concetto di “merito” è stato posto alla base di tutto. Ma il merito vero funziona quando si parte tutti dallo stesso punto di partenza. Se le condizioni di partenza non vengono equiparate, e in questo sistema è impossibile, allora il merito si traduce nella maschera della selezione di classe. Quando si decide di differenziare i finanziamenti si punta a creare livelli diversi di istruzione. È inutile dire il contrario. Poi pochi sanno che il concetto di scuola pubblica, dal punto di vista legislativo, comprende la scuola statale e quella parte delle scuole private che sono parificate alla scuola statale, ossia le paritarie. Le paritarie, che è termine più dolce per dire private, partecipano a tutti gli effetti al sistema di valutazione e ultimamente si è avuta un’inversione di tendenza interessante. Fino a poco fa le statali superavano per risultati le paritarie, da qualche tempo non più. Secondo voi perché? Nessuno ha dubbio sul fatto che nel complesso il sistema d’insegnamento di molte scuole private sia peggiore di quello della scuola statale, ma quando si tratta di finanziamenti, scuole che nascono per fare profitto, secondo voi faranno in modo che la valutazione sia obiettiva? A voi la risposta. Aggiungo che anche nella scuola pubblica accade qualcosa. Quanti di voi hanno dovuto comprare libri appositi per la preparazione ai test invalsi? Quante settimane di lezione sono state dedicate all’esercitazione sui test, modificando di fatto l’insegnamento in negativo?
Mi permetto di aprire una parentesi sulla questione della valutazione dei docenti, che è tema spinoso. Anche su questo noi non siamo per la difesa dei “fannulloni” o per ignorare che esistano differenze tra docenti. Il punto sulla valutazione è capire per chi e per cosa viene effettuata la valutazione, e di conseguenza da chi. Noi siamo per una valutazione che venga effettuata dall’insieme delle componenti della scuola: studenti, insegnanti colleghi di classe, dirigente scolastico, genitori. La valutazione è tema spinoso, solo attraverso la collegialità delle componenti può essere rea obiettiva e finalizzata al miglioramento dell’insegnamento. Così come è possibile pensare a serie attività di formazione da garantire per l’aggiornamento dei docenti, a periodi di pausa dall’insegnamento per migliorare le proprie conoscenze, come accade all’università ad esempio? Questo è solo un esempio per dire come la nostra posizione non sia contraria a priori a determinate questioni, non esistono dei tabù intoccabili. Il problema è in quale direzione vanno le proposte. Ma se la valutazione viene consegnata nella mani del Dirigente Scolastico, che è la controparte anche dal punto di vista del lavoro dell’insegnante, non si fa un danno secondo voi? Non si espone un lavoratore a rischi?
La scuola è stata dopo le lotte del movimento studentesco per lungo tempo il luogo dove più di tutti si è attuata la possibilità di gestione collegiale da parte dei lavoratori e degli studenti. Noi teniamo molto a questo concetto e crediamo che la direzione giusta sia aumentare la collegialità delle componenti non diminuirla. La Buona Scuola riduce il ruolo dei consigli d’istituto e dei collegi docenti, lascia al Dirigente Scolastico un potere di gestione, addirittura garantisce una quota del 10% dei finanziamenti da poter gestire personalmente per premiare i docenti che più ritenga opportuno. La collegialità della scuola è svilita. Le stesse rappresentanze studentesche, già mai realmente in grado di partecipare effettivamente alle decisioni, insieme ai consigli d’istituto, già colpiti dalle precedenti riforme, saranno ridotti ad organi inutili. Anche qui però è bello vedere come il governo presenta la riforma. Alla quota del 10% per i dirigenti, se ne istituisce una analoga del 5% che dovrà essere secondo la riforma gestita nella “modalità del bilancio partecipato” cito testualmente “coinvolgendo genitori e studenti”. Peccato che oggi l’intero bilancio delle scuole è partecipato, nel senso che è votato dal consiglio d’istituto. Però Renzi è abilissimo a far passare il messaggio del cambiamento in senso positivo. Sono sicuro che qualche organizzazione studentesca vedrà anche di buon occhio la quota del 5%, sognando ad occhi aperti progetti studenteschi e così via. Sono gli stessi che oggi non dicono chiaramente no al contributo, proprio per questo motivo e che dimenticano di guardare non ai loro sogni ma alla realtà della scuola. I fondi per queste attività in una scuola dove con i contributi devono essere usati per coprire i soldi che mancano dal governo non ci saranno mai, anzi queste stesse attività nella maggior parte delle scuole saranno ridotte ulteriormente, con la conseguenza di un livellamento ulteriore dell’offerta complessiva tra scuole di serie A e scuole di serie B.
Dicevo delle cose che mancano nella riforma. Oltre al diritto allo studio, manca completamente un ripensamento generale della didattica e dei cicli scolastici. Gli interventi sulla didattica si esauriscono in un aggiunta di qualche ora sparsa qua e là, ma niente di che. Un riordino dei cicli sarebbe necessario. Noi abbiamo ancora l’impianto delle scuola fascista, della riforma Gentile. Forse da un certo punto di vista, date le condizioni storiche e i rapporti di forza, è meglio che il governo non vi abbia messo mano, perché il risultato sarebbe stato di certo peggiorativo. Noi pensiamo che l’istruzione debba garantire un maggior livello unitario di conoscenze e ritardare la specializzazione. Le pressioni economiche ed internazionali vengono però in senso contrario nella direzione di una sempre maggiore specializzazione fin dall’inizio. La proposta ventilata della riduzione di un anno dell’istruzione va in questa direzione: la formazione deve essere veloce e specializzata, introdurre nel mondo del lavoro giovani già pronti per un determinato settore. La questione è spinosa e non di facile soluzione me ne rendo conto, e questo più di ogni altro aspetto rende effettivamente l’idea del fatto che il sistema di istruzione non è mai neutro, non è un qualcosa di separato dalla società, ma viene influenzato e pensato in nome e per conto degli interessi di fondo di questa società.
Noi siamo comunisti vogliamo realizzare una società dove il profitto privato non esista e dove la collettività, e dunque ciascuno per parte, si appropri della ricchezza complessiva. In questa società non c’è divisione del lavoro tra chi produce e chi si appropria della ricchezza prodotta. Questa società non ha bisogno di creare futuri lavoratori privi di conoscenze ch divengano macchine da sfruttare. L’educazione nel socialismo riveste una funzione emancipatrice, aiuta a accrescere la conoscenza degli individui, a renderli persone consapevoli della propria funzione e della propria posizione nel mondo. Per questo la conoscenza generale, non può essere sostituita dalla formazione specifica, semmai esserne giustamente integrata. Ovviamente come dicevo prima, ad ogni società corrisponde un modello di scuola e di istruzione, e quindi per una scuola libera bisogna lottare per una società libera, senza farsi illusioni che nel capitalismo possa esistere una scuola di questo tipo. Ma il ragionamento che vorrei fare con voi va oltre questa affermazione ovvia, per cercare di svelarvi quale sia il fine reale della scuola che si va costruendo. E per far questo bisogna considerare la parte della riforma che riguarda i rapporti tra scuola e lavoro. Tema spinoso, perché ben presentato, partendo dall’idea che la maggiore interazione tra scuola e lavoro sia favorevole per il futuro dei giovani, che così saranno assunti dalle aziende.
Potrei dilungarmi ore per parlare della questione della disoccupazione, delle sue cause e del perché oggi il sistema capitalistico, e il nostro paese in particolare, è in una crisi profonda e irreversibile. Non lo farò per questioni di tempo, se qualcuno di voi è interessato trova analisi accurate sul nostro sito. Quel che è certo è che nessuno crede che la disoccupazione sia colpa della scuola. Tutti gli indicatori dicono il contrario e il buon livello della nostra istruzione è riconosciuto a livello internazionale, quindi l’operazione secondo la quale è necessaria una maggiore integrazione tra scuola e lavoro in realtà maschera altro. Maschera la possibilità dei grandi monopoli di ottenere che l’istruzione venga sostituita dalla formazione del proprio personale, con doppio vantaggio per le imprese e doppio svantaggio per gli studenti futuri lavoratori. Le aziende, principalmente grandi aziende, guadagnano risparmiando sulla propria formazione professionale, che costerebbe molto di più dei contributi che darebbero alle scuole, e per di più ottengono sgravi fiscali in cambio. Gli studenti sono doppiamente penalizzati perché il loro apprendimento tende a coincidere sempre di più con quello strettamente necessario per la formazione aziendale, escono dal percorso formativo privi di conoscenze generali e dunque vincolati in modo permanente ad un’azienda, e posti sotto il suo ricatto costante.
La cosa paradossale è che tutto questo apparentemente va contro quello che viene richiesto nel mondo del lavoro oggi. Apparentemente sia chiaro, perché principalmente va contro quello che vogliono farci credere del mondo del lavoro oggi, e quindi è utile per smascherarlo. Da una parte ci accorgiamo che il posto fisso e la sicurezza del lavoro vengono sistematicamente smantellati a vantaggio di forme di lavoro precarie. Dall’altro lato l’istruzione specializza sempre di più al posto di garantire una formazione generale. Non sono in contraddizione queste cose? Sì lo sono se si pensa davvero che la riforma della scuola vada nella direzione di garantire una maggiore sicurezza del futuro agli studenti che sono i futuri lavoratori. In realtà l’obiettivo vero è garantire al grande capitale un sistema d’istruzione che crei futuri schiavi, con un livello di conoscenza minore, e cognizioni tecniche necessarie ad essere ricattabili quanto basta. Se la formazione professionale si esaurisce nella formazione nella singola azienda, lo studente apprende solo un determinato processo produttivo interno all’azienda, e rimane vincolato a questa. E lo fa in un mondo del lavoro che al contrario non prevede più l’idea del posto fisso e che garantisce la possibilità di licenziare, di non assumere gli apprendisti, di fare qualsiasi cosa. È evidente allora che non c’è nessun vantaggio per i giovani. Già in molti casi sta avvenendo che aziende adottano delle scuole con protocolli d’intesa e fanno la maggior parte della formazione nelle proprie aziende. E’ il caso dell’ENEL, ma ne seguiranno molti. Questa parte della riforma deve essere letta in stretto contatto con quello che il governo sta facendo con il Jobs Act e in particolare con la parte del Deecreto Poletti che riguarda l’apprendistato.
Queste sono le principali ragioni per cui come gioventù comunista siamo contrari alla proposta del governo. Quello che oggi si sta decidendo riguarda il vostro futuro ed il futuro della scuola pubblica, per questo vi invito a partecipare alle mobilitazioni, a partire dalle manifestazioni di domani, 14 novembre, per proseguire nella settimana di mobilitazione mondiale degli studenti che è stata indetta dalla Federazione Mondiale della Gioventù Democratica e che come FGC stiamo cercando di realizzare in Italia. In generale, e concludo, è necessario avere la consapevolezza che in questo sistema una scuola realmente pubblica, gratuita ed accessibile a tutti non potrà essere realizzata e che dunque la vostra lotta, la nostra lotta, non può che marciare insieme alla lotta dei lavoratori, nella direzione della costruzione di un altro modello di società che per noi è il socialismo.