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L’ondata repressiva contro le occupazioni nelle scuole.

Partiamo da una premessa tecnica: l’occupazione di una scuola è difficilmente configurabile come reato persino per i canoni del diritto borghese che applica un codice penale scritto in epoca fascista. Più volte la Cassazione ha ribadito che non è configurabile il reato di invasione di terreni ed edifici, perché il reato in questione presuppone l’assenza di un legame tra chi occupa l’edificio e la proprietà o la natura dell’edificio. In sostanza un lavoratore che occupa una fabbrica, uno studente che occupa una scuola non commettono questo reato perché tra loro e la scuola, o il posto di lavoro sussiste un legame che non li rende estranei. Una forma di protesta, definita anche nei tribunali legittima, anche perché il principio di tassatività della legge penale impedisce estensioni per analogia nella legge penale. C’è poi la questione dell’interruzione di pubblico servizio, ma nella maggior parte delle scuole una parte dell’edificio, una succursale – sempre più frequenti dato l’accorpamento massiccio degli istituti –  resta riservato ai professori, consentendo formalmente di svolgere attività seppure minime che impediscano l’interruzione. Al netto di reati dovuti a danneggiamenti, furti, che rientrano negli atti di vandalismo, purtroppo a volte presenti, ma scongiurati con tutta la forza da chi promuove un’occupazione e dalla parte più cosciente degli studenti, è davvero difficile ipotizzare che una denuncia per occupazione di scuola non venga archiviata nel giro di poche settimane.

Questa premessa serve a rendere ancora più assurdo sotto il profilo legale quello che sta accadendo in questi giorni, e a mostrarne le reali finalità e come l’esercizio dell’autorità repressiva stia dilagando ben oltre anche quanto consentito dalla legge. Dal momento che l’occupazione di una scuola non costituisce reato, che per questi casi inoltre non è previsto l’arresto immediato come misura cautelare, come si giustifica il ricorso sistematico alle forze di polizia che in molte zone d’Italia sta accadendo senza sosta? Proprio mentre il dibattito politico  -giusto o sbagliato che sia, noi pensiamo sbagliato – torna a mettere l’accento sulla questione della sicurezza nei quartieri, stride ancora di più un tale spiegamento di forze nei confronti di semplici occupazioni di studenti. Neanche negli anni dei governi Berlusconi si era visto tanto accanimento nei confronti delle occupazioni studentesche.

Prendiamo alcuni casi. A Napoli i Dirigenti Scolastici hanno chiesto misure contro il collettivi, ricorso alle forze di polizia per lo sgombero delle scuole occupate. Stessa situazione si è verificata a Roma, a Palermo, Milano e nelle principali città d’Italia.  A Roma ad esempio il caso del Margherita di Savoia, riportato anche dalla cronaca locale de La Repubblica, dove la polizia è più volte intervenuta per impedire fisicamente l’occupazione, profilando denunce e trattenendo in commissariato alcuni studenti per l’identificazione. Ma sono decine i casi simili. All’Einstein di Palermo, proprio nei giorni scorsi una situazione analoga. Al Cannizzaro di Roma addirittura la nuova formula, oltre a prevedere bassi voti in condotta, addirittura imputa le spese della disinfestazione a carico degli studenti occupanti. Una serie infinita di mezzi preventivi e successivi di carattere fortemente repressivo che spaziano dal penale, ai provvedimenti disciplinari scolastici, ai voti di condotta, passando addirittura per misure di carattere economico. Tutto questo per delle occupazioni studentesche.

Il governo Renzi ha paura del dissenso sociale, questo è chiarissimo. Il paese dei sogni dipinto dal presidente del consiglio si sta, giorno dopo giorno, scontrando con la realtà dei fatti. Sono bastate poche settimane di protesta, il cui carattere – va ammesso – è purtroppo infinitamente inferiore a quello che sarebbe necessario. In queste settimane Renzi ha perso, stando ai sondaggi, oltre dieci punti percentuali di fiducia, stando alla realtà ha prodotto un ulteriore distacco dalla politica con astensionismo alle stelle e perdita secca di voti elevatissima. Le nuove generazioni sentono in modo particolare questo distacco, che è allo stesso tempo una cesura tra l’ideologia capitalistica di questi anni, l’idea del progresso, della felicità, dell’occupazione per tutti, che si infrange sulla realtà. È per questo che, nonostante molte contraddizioni, gli studenti rappresentano una parte rilevante, se non essenziale, del dissenso in Italia. Questo perché sono meno soggetti alla funzione di freno presente con i sindacati concertativi nel mondo del lavoro, e sicuramente perché lo slancio della gioventù ha il suo peso nella lotta, nella determinazione e nelle aspettative per l’avvenire. La saldatura che si è creata in molte parti d’Italia tra studenti e lavoratori ha ulteriormente impaurito il governo, perché il dissenso cresce. Ecco dunque spiegata la ragione di misure repressive così forti.

Tuttavia quello che ancora va chiarito è il ruolo dei lavoratori della scuola. Escludendo chiaramente i dirigenti scolastici, la cui funzione nella scuola renziana è chiarissima, e in piena continuità con le riforme della Moratti e della Gelmini prima, i lavoratori cosa dicono? Troppo spesso infatti, nonostante una riforma che uccide la scuola pubblica e che si converte in una vera e propria mannaia per i docenti, la maggior parte dei professori non riescono proprio ad uscire dalla dicotomia del rapporto studente-docente, come elemento di supremazia e conflitto, anche in queste occasioni. Specialmente per le misure scolastiche ed economiche è necessario l’appoggio dei professori per punire gli studenti, ed in molti casi questo appoggio non tarda a venire. Alcune volte anche i professori di settori sindacali che pure sono contrari a questa riforma non resistono a questo istinto punitivo, puntando il dito contro le lacune degli studenti e perdendo l’occasione al contrario per sopperire e far maturare ulteriormente la protesta. Pochi anni fa fu proprio la grande mobilitazione studentesca a permettere il ritiro di provvedimenti fortemente contrari agli interessi dei docenti e alla funzione della scuola pubblica. Il futuro della protesta, l’unico modo per arginare le misure repressive e i provvedimenti del governo, sta nell’unione delle forze tra studenti e lavoratori della scuola.  L’idea di comitati unitari di studenti e professori è quanto mai necessaria proprio per evitare che le divisioni dei ruoli si ripercuotano nella lotta, che al contrario può vincere solo se unitaria.

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