Il caso Cofferati, e le reazioni degli esponenti della cosiddetta “sinistra radicale” spingono alla maturazione di una riflessione complessiva sulla natura della sinistra post-comunista e di alcuni di quegli apparati che si definiscono comunisti ma che in realtà guardano al superamento dei loro partiti o alla collocazione all’interno di un sistema di alleanze istituzionali. Sergio Cofferati abbandona il PD dopo aver perso le primarie per la candidatura a presidente della regione Liguria. Nicola Fratoianni di Sel nell’apprezzare la scelta scrive: «in Liguria ora si può lavorare ad un progetto diverso che possa diventare un laboratorio generale. Noi siamo pronti.» Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista solidarizza con Cofferati dal suo profilo twitter: «Salutiamo positivamente scelta di Cofferati non è solo un fatto individuale ma politico». Claudio Grassi, di Sinistra e Lavoro, l’area politica ex essere comunisti scrive: «Cofferati esce dal Pd! Speriamo che sia il primo di una lunga serie e che tutti assieme si costruisca una unica forza politica di Sinistra Unita.» Il PCd’I, ossia i Comunisti Italiani di Diliberto, dopo che la parte istituzionale del loro partito aveva sostenuto la Paita – l’altro candidato del PD – alle primarie, con sconfessione del partito nazionale, solidarizzano con Cofferati e chiedono che «cardine di ogni programma elettorale per le prossime regionali sia la questione morale, così come declinata da Enrico Berlinguer.», sostenendo implicitamente una volontà di aprire canali elettorali Su facebook tra i militanti qualcuno avanza un ragionamento critico sulla figura e la scelta di Cofferati e viene puntualmente ripreso da alcuni dirigenti nazionali.
Chi è Sergio Cofferati non c’è bisogno di dirlo. Molti lo ricorderanno come l’ex segretario generale della CGIL ai tempi dello scontro sull’articolo 18 con Berlusconi. Un momento alto di scontro sindacale e politico del nostro paese, ma svolto in ottica di lotta bipolarista e niente più. Qualcuno più attento ricorderà come lo scontro con D’Alema ai tempi del suo governo finì con la CGIL a chinare il capo davanti al Pds, o il referendum sull’estensione dell’art 18, promosso dalla sinistra radicale che Cofferati definì un errore invitando a non appoggiarlo. Poi controverso sindaco di Bologna, europarlamentare del PD, pienamente interno all’area degli ex DS oggi minoritaria nel Partito Democratico. Cofferati partecipa alle primarie e denuncia irregolarità. Non spetta a noi giudicare su questo: ciò che andrebbe messo in luce è come questi casi non siano isolati. Da Napoli a Roma, al sud Italia, fino alla Liguria sono decine le segnalazioni, nel caso di Roma dopo le recenti inchieste anche le conferme, su casi del genere e di cui Cofferati era di certo a conoscenza. Al contrario di ogni tentativo di elevare la scelta di Cofferati a caso politico, la scelta è personale e anche opportunista, dato che i tempi e i modi non sono secondari.La solidarietà a sinistra è la migliore dichiarazione dell’unica volontà reale della sinistra cosiddetta radicale oggi: tornare in Parlamento con un soggetto politico unitario, disposto ad imbarcare chiunque pur di riuscire nel vero risultato. Inutile dire che la presunta alternativa diventa sempre più esplicita subalternità
Oggi con Renzi si ripete la stessa situazione di Berlusconi. Tutto ciò che a sinistra critica Renzi diviene l’elemento alternativo, dimenticando da dove provenga politicamente, quali siano le affiliazioni internazionali, le proposte politiche. Peccato che lo stesso ragionamento contro Berlusconi abbia alla fine condotto proprio a Renzi, ossia a ciò che oggi si vorrebbe combattere. Una prova tangibile di come la logica del meno peggio porti in definitiva inesorabilmente al peggio per citare Gramsci. Ma questa lezione non è servita. I vari Cofferati, Fassina, Civati, e forse anche altro, da esponenti di primo piano del PD diventano i soggetti papabili per la costruzione di questo partito di sinistra alternativo/alleato al PD di Renzi. Una sorta di Democratici di Sinistra 2.0 dove i vecchi avversari oggi diventano alleati. C’è spazio in questo progetto per chi vuole apertamente sciogliere i partiti (sinistra e lavoro), chi pensa ad ottiche federative come primo passo per lo scioglimento (ferreriani), chi vuole mantenere l’effige e il simbolo ma in cerca di alleanze politiche dalle regioni al parlamento (comunisti italiani, perché il progetto DS 2.0 per alcuni fa rima con centrosinistra 2.0). Un assaggio c’è stato anche con Syriza, con la brigata Kalimera e l’operazione di sostegno a Tsipras che viene proprio da tutto questo insieme di soggetti (da Igroia a Fassina, passando per Vendola, Ferrero e via dicendo), e il timido e contraddittorio appoggio del Pcdi. D’altronde la stessa Syriza, per quanto enfatizzata in Italia, altro non è che un’operazione del genere con diversi rapporti interni. Basti vedere quanti esponenti di primo piano del PASOK, anche ministri, militano nelle fila della formazione della sinistra radicale greca. Sinistra radicale che in Grecia ha di fatto preso il posto della socialdemocrazia, con elementi di rivendicazione più radicali fino ad oggi, e che in Italia si appresta semplicemente a scomparire in un contenitore in cui si unisca tutto l’antirenzismo.
Inutile parlare di questione di autonomia dal capitale e dai suoi referenti politici. La stessa idea di radicalità diventa una semplice connotazione di posizione all’interno di uno schema generale in continuo mutamento verso gli interessi della grande borghesia. Alternativa un concetto molto simile ad alternanza. La questione comunista, la creazione di un soggetto politico in grado di rappresentare un’alternativa al capitalismo è altra cosa da tutti questi progetti.