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European Commission President Jean Claude Juncker welcomes Greek Prime Minister Alexis Tsipras

I fatti hanno la testa più dura delle illusioni.

di Alessandro Mustillo

Quando abbiamo posto alcune critiche alla linea di Syriza e di Tsipras lo abbiamo fatto non certo per velleità di polemica, o volontà di voler vedere trionfare una tesi, come qualcuno accusandoci ha sostenuto. Lo abbiamo fatto al contrario analizzando le proposte di Syriza a partire dalla realtà dei rapporti di classe, dalla lettura delle leggi dell’economia e del sistema politico nel quale siamo inseriti, le reali prospettive di cambiamento possibile, e come esse potessero essere realizzate. Non si trattava quindi di adattare ad una tesi astratta la realtà dei fatti, procedimento che non appartiene ai comunisti, ma al contrario di capire alla luce di essi quali potessero essere gli accadimenti futuri di carattere immediato e mediato di quello che andava concretizzandosi in Grecia. Poiché nel fare queste previsioni incontriamo tutti i limiti soggettivi che sono propri di chi scrive, ma anche la difficoltà di cogliere la portata reale di avvenimenti solo potenziali, processi il cui carattere non è definito e definibile in senso assoluto, abbiamo delineato vari scenari futuri possibili sulla base di una scelta dal carattere fondamentale: la permanenza o meno nel sistema della UE e dell’euro. In sostanza il nostro attacco centrale alla linea di Syriza si incentrava proprio sull’impossibilità di un cambiamento reale – ammesso e non concesso che Tsipras abbia la stessa idea di cambiamento reale che abbiamo noi  – all’interno di un sistema che non lascia margini per realizzarlo.

Non siamo stati gli unici. Economisti di certo più validi di noi, anche con diverse valutazioni, tra cui Brancaccio e Bagnai, avevano sottolineato in Italia questo aspetto dal carattere talmente essenziale e, per quanto complesso, elementare nella sua chiarezza, da lasciare margini solo alle illusioni di chi voleva rifiutarsi di vedere la realtà.

Pochi giorni fa la trionfale marcia di Tsipras inizia con una serie di dichiarazioni roboanti sul futuro della Grecia. Le borse crollano, con i titoli bancari che perdono oltre il 20% del valore in una giornata. Mano a mano le dichiarazioni vanno moderandosi, dando l’impressione del braccio di ferro aperto. Inizia il tour europeo di Tsipras e Varoufakis, iniziano le dichiarazioni concilianti da una parte e dall’altra che lasciano covare al di sotto dell’apparenza le ceneri di una diversità di vedute, ma su cui aleggia in definitiva la volontà di non rompere. Ed è questo l’elemento centrale dell’illusione: l’idea che i cambiamenti radicali proposti possano avvenire senza rotture in un sistema che è una gabbia. Non vale la pena stare ad analizzare più di tanto alla luce di tutto questo le varie affermazioni degli esponenti del governo greco e dei governi e delle istituzioni europee. Tra le tante di questi giorni: «No alla Troika ma sì a UE, BCE, FMI» come potrebbe essere riassunta la linea Tsipras-Varoufakis. Peccato che la Troika siano proprio le istituzioni europee e internazionali con cui Tsipras vuole dialogare. «Abbiamo capito che l’intenzione del governo di colazione Syriza-Anel è di giocare con le parole» questo il commento sprezzante scritto in un articolo del giornale del KKE. La questione della politica economica, insieme con l’uscita da UE, euro e Nato, come noto è il principale motivo di dissidio tra i comunisti greci e Syriza e non si tratta di questione di poco conto. Ma in Italia sembra che il dibattito sulla questione non verta sui dati reali.

I fatti hanno la testa dura e sono forgiati con una materia molto più solida delle illusioni. Sebbene queste esercitino un fascino innegabile e abbiano pure un posto nella storia, il più delle volte è il risultato del loro scontrarsi con la realtà materiale a determinare il corso degli avvenimenti. La disillusione in sostanza è fattore storico molto più preponderante dell’illusione nella sua portata effettiva, nel plasmare quegli accadimenti che determinano in definitiva il corso della storia. Le illusioni finiscono per essere semplice cronaca di avvenimenti di breve valore e durata che hanno come contraltare la concretezza granitica degli avvenimenti futuri che dalla loro resa vanno preparandosi. Eppure la forza che esprimono le illusioni è incredibile non tanto a livello di massa, quanto nella testa di coloro che quei processi storici vorrebbero condurre. Gramsci scriveva che l’illusione “è la gramigna più tenace della coscienza collettiva”. Con altre parole il buon Monicelli si accaniva contro la speranza, a sua detto “trappola dei padroni”.

Eppure nelle risposte date da tanti militanti, compagni che militano nell’area della sinistra radicale questo misto di illusione e speranza ha ancora il carattere del velo più potente che appanna le lenti della lettura della realtà. Si conoscono gli esempi storici, si dispone dell’analisi appropriata, ma si rifiuta di portare tutto questo alla conseguenza estrema del voler vedere la realtà dei fatti. Si fa finta di non vedere le contraddizioni fondamentali, restando imbrigliati dall’estasi del sogno. Ed è proprio questo l’elemento storico che può divenire preludio della sconfitta. I dirigenti politici pensano che i fatti esistano ma che loro saranno in grado di superarli in virtù di particolari doti, che questi non saranno rivolti contro di loro per quel senso egoistico in cui i protagonisti degli avvenimenti guardano se stessi come estraniati e padroni della storia. Ignorano qualsiasi elementare considerazione convincendosi dell’idea che questi fatti per chissà quale provvidenza non si rivolgeranno contro di loro.

Le masse si nutrono di questa illusione, che le lascia comode a sperare in un cambiamento massimo con il minimo sforzo possibile. È un oppio potentissimo, che genera sogni stupendi, al cui risveglio però i conti con la realtà si trasformano generalmente in disillusione che può avere un carattere positivo, di avanzamento ulteriore, oppure tradursi in una generale passività, accettazione della situazione come immodificabile, e passivo adeguarsi a qualsiasi cambiamento peggiorativo.

Syriza escludendo in campagna elettorale e nel suo programma la possibilità di uscita dall’euro e dalla UE si è di fatto resa prigioniera delle contraddizioni del sistema europeo. Si è rinchiusa in una gabbia in cui c’è solo una via d’uscita che si rifiuta di voler pensare di percorrere. Ha accettato di non essere giocatore principale ma di rimettersi al ruolo che le istituzioni europee e internazionali accettando come campo di battaglia quello del sistema europeo e del sistema di mercato, in cui i principali giocatori sono anche arbitri indiscussi. Ma ciò che è peggio è che avendo alimentato l’illusione della riformabilità del sistema dall’interno, della possibilità di raggiungere una “rivoluzione” senza rottura, non ha preparato le masse popolari che in essa hanno posto la fiducia a portare il ragionamento fino alle estreme conseguenze, che oggi iniziano ad apparire sempre più necessarie anche agli occhi degli osservatori meno attenti. In definitiva il governo greco è a un bivio che non ha deciso e che gli è imposto: accettare o rompere. Se accetterà non potrà fare altro che dare un tocco di colore alle politiche già portate avanti precedentemente dai governi del PASOK e di Nuova Democrazia. Le illusioni non possono cancellare le contraddizioni di fondo.

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