Il governo Renzi rappresenta senza dubbio la rinascita di un’ambizione italiana che sembrava essere destinata a finire relegata nel grigiore di qualche burocrate pallido e insipido, inesistente a livello internazionale. Il renzismo incardina in pieno la volontà di una parte della borghesia nazionale di una svolta da questa condizione, sia sul piano della politica interna, sia su quello della politica estera. La centralità dell’unità nazionale sempre ricercata, l’idea del grande partito che unifica le componenti politiche della tradizione costituzionale e che esprime una personalità autorevole, forte e carismatica, è proprio quello che piace ad una borghesia in crisi. Risollevare le sorti della nazione: è questa la grande illusione renziana che oggi si confronta anche sul livello internazionale. Dopo un semestre di presidenza europea non brillante Renzi deve aver compreso perfettamente che la politica internazionale passa per rapporti di forza e attivismo, specialmente per un paese come l’Italia che è stretto in un’alleanza imperialista come la Nato e nel contesto della UE, dove da sempre vede le sue ambizioni dietro quelle degli Usa e dei paesi più forti.
La crisi libica fornisce al governo Renzi il pretesto per questa riscossa interventista a livello internazionale che vorrebbe far pesare di più il nostro Paese nel contesto internazionale e ai tavoli delle alleanze in cui partecipa. Dopo il disastro della guerra del 2011 che ha portato alla destituzione di Gheddafi l’ENI ha visto seriamente compromesso il numero degli accordi commerciali con la Libia, precedentemente legata all’Italia per il commercio delle risorse energetiche. Una quota significativa del mercato energetico è stata infatti presa dai monopoli francesci e inglesi, a scapito proprio dell’ENI. In questi giorni le truppe dell’ISIS hanno intensificato gli attacchi proprio ai principali distretti petroliferi del paese (l’ultimo in ordine temporale è quello di Mabruk) e a porti e terminal di esportazione. Tutti i paesi imperialisti occidentali hanno a questo punto la necessità di normalizzare la situazione libica, e chi parte per primo e prova ad alzare la voce avrà – come nel caso della Francia nel 2011 – la parte più importante della torta. Così il governo Renzi scalpita per ottenere il mandato ONU e poter intervenire, magari guidando la missione internazionale.
Per capire la portata della discussione politica basta citare le parole di un’intervista rilasciata al Messaggero dal Ministro della Difesa Pinotti: “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste. Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente”. Dunque una missione di peso, quella che immagina il governo italiano, tale da assicurare gli interessi dell’ENI, principale azienda italiana in assoluto, e dare al contempo un’immagine dell’Italia forte ed autorevole a livello internazionale.
Inutile dire perché questa missione, se dovesse concretizzarsi, sarà a breve medio periodo un fallimento totale. Innanzitutto le truppe italiane saranno trascinate in un nido di vespe, come gli esempi dell’Iraq e dell’Afghanistan dimostrano. Non appena la guerra sarà dichiarata formalmente conclusa ed il nemico battuto, inizierà la vera e propria resistenza dei terroristi islamici, a quel punto sempre più appoggiati dalla popolazione locale. Non certo il peace-keeping come verrà definito eufemisticamente ma una guerra vera e propria in nome del petrolio, del gas e della volontà di garantire all’ENI maggiori margini di profitto dalla Libia.
Immaginiamo già la retorica con cui verrà presentato il tutto: l’intervento liberatorio da parte occidentale. Ad intervenire saranno gli stessi paesi, gli interessi alla base gli stessi interessi imperialistici, e la libertà della popolazione libica maschererà l’intervento imperialista e neocolonialista. Per smascherare tutto basterà porre una semplice domanda: qualcuno crede veramente che chi ha armato, sostenuto, foraggiato in ogni modo gruppi terroristici contro governi come quello libico o siriano, possa spacciarsi oggi come la soluzione ad un problema che ha creato? Chi ha tessuto per mesi le lodi dei tagliagola spacciandoli per ribelli, pensando di trarre vantaggio dalla destabilizzazione di interi paesi, con il fine evidente di impossessarsi del controllo delle risorse energetiche? L’imperialismo è il problema, mai la soluzione. Non cediamo alla retorica dell’unità nazionale, del Paese forte, della libertà come maschera degli interessi economici. Le responsabilità dei governi e dei partiti filo-imperialisti non possono essere taciute.