La legge di stabilità, che ha sostituito nel 2009 quella finanziaria, insieme alla legge di bilancio costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica. Tra le innumerevoli voci che nella legge devono essere specificate, in quest’occasione affronteremo quella che riguarda “l’importo massimo previsto per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego”.
In quest’ottica, tra le novità introdotte dall’ultima legge di stabilità adottata dal governo Renzi, c’è il blocco delle assunzioni e l’annullamento delle graduatorie per gli idonei ai concorsi statali. Entrambe le misure sono “figlie” dell’abolizione (ancora non realizzata….) delle Province che ha generato un esercito di 20.000 dipendenti da ricollocare nelle amministrazioni.
Sono tante le storie di ragazzi e ragazze, che pensavano di aver preso al balzo quel treno che passa una sola volta nella vita. Pur se non vincitori, erano stati dichiarati “idonei” e prima poi quel posto tanto agognato e sudato lo avrebbero avuto comunque. Ma non sarà così: la speranza e l’attesa si sono dissolte, e forse per sempre, poiché le graduatorie non scorreranno più e scadranno nel 2016. Le cifre sono incerte: una stima attendibile (in realtà la previsione migliore…) parla di circa 84.040 persone presenti in 9225 graduatorie diverse. L’elenco è lunghissimo: ci sono i vincitori e idonei per 300 posti per la ricostruzione in Abruzzo, al concorso del Comune di Napoli e quelli dell’Iacp, e poi gli amministrativi B1-Inps, gli operatori dei centri di formazione di Roma e quelli Giunta della Regione Campania, della Difesa, dell’Interno, gli allievi marescialli carabinieri e chi ha partecipato al concorso per 650 allievi agenti di polizia nel 2014. Quello che colpisce è la mancanza di “ratio” di questa disposizione: prevedendo un’ulteriore proroga, dando così la possibilità agli idonei di subentrare “naturalmente” alle cessazioni del personale dipendente, avrebbe reso inutile bandire concorsi dal 2017 facendo risparmiare allo Stato milioni di euro. Ma forse, in fondo, una ragione implicita esiste. Non è un caso, infatti, che la proroga sia stata prevista solo per i contratti a termine: lo sfruttamento dei lavoratori attraverso la loro mercificazione, attuata con l’abbattimento del costo del lavoro e conseguenti meno tutele, è praticata in primis dallo Stato, da quello stesso Stato che dovrebbe tutelate i prestatori. Niente aspettative dunque da parte di questo sistema, maschera degli interessi del grande capitale monopolistico. La cosiddetta integrazione europea, in nome della quale sono attuate le riforme del mercato del lavoro, altro non è che l’espressione della volontà dei monopoli europei di distruggere i diritti dei lavoratori.
Ma non è tutto: anche per i dipendenti è arrivata una doccia gelata. Il blocco dei contratti iniziato nel 2010, continuerà anche nel 2015. Il ministro Madia, interrogata in proposito, ha rivelato che la misura in proposito è motivata dall’insufficienza dei fondi necessari e con la necessità, in una situazione di perdurante difficoltà economica, di utilizzare le poche risorse disponibili per interventi a favore “di chi ha più bisogno”. Il riferimento è ai famosi 80 euro, sui quali dovrebbe fondarsi la rinascita dell’economia italiana. In effetti, i dati Istat, secondo cui una famiglia su quattro vive nella soglia della povertà, confermano tale aspettativa. Secondo i calcoli dei sindacati, nei quattro anni di mancati aumenti salariali, i lavoratori pubblici hanno dovuto scontare una perdita di potere d’acquisto pari a circa 3.600 euro lordi, ai quali si aggiungeranno 600 euro per il 2014 e ora altri 600 euro per il 2015, portando la contabilità delle perdite a 4.800 euro.
Una trattazione a parte merita poi il comparto delle forze armate. La legge di stabilità ha implicitamente confermato i tagli che erano stati già previsti dal piano Cottarelli (commissario per la spending rewiew) nel 2014. Le forze di sicurezza e difesa saranno colpite con una sforbiciata di personale che dovrebbe assestarsi intorno alle ventimila unità, da realizzare nel corso del prossimo decennio, cui si aggiungono settemilacinquecento dipendenti civili. Per i dipendenti di entrambe le categorie, poi, è stata prevista la mobilità verso altre amministrazioni dello Stato, il che porterà, come è accaduto per le Province, a ulteriori blocchi delle assunzioni nel comparto pubblico. In totale, le forze armate (Esercito, Marina e Aeronautica) scenderanno a una consistenza numerica di 150mila unità. Un dato che merita di essere sottolineato, infine, è la spesa per i F-35: gli importi necessari per il loro acquisto sarà coperto con i tagli al settore della difesa (1 miliardo di euro nei prossimi tre anni), ovvero attraverso il blocco delle assunzioni, tagli al welfare e alla contrattazione decentrata, (s) vendita delle caserme e degli immobili a uso residenziale (1,5 miliardi di dismissioni), eliminazione dell’indennità di trasferimento in patria per il personale in servizio all’estero. La continua mistificazione di questa vicenda rientra appieno nella strategia, ormai famosa, della “guerra tra poveri”: far accanire categorie di lavoratori permette al grande capitale di operare indisturbato, nonché di evitare quella lotta di classe che è, storicamente, l’unico mezzo per il rovesciamento e abbattimento del sistema capitalistico.
I fenomeni sopra esaminati, e i danni a essi collegati, non riguarderanno soltanto il comparto statale: la proroga del blocco del turn over, la sospensione delle contrattazioni, avranno pesanti ripercussioni anche sul settore privato, sancendo la fine dei contratti nazionali. L’ennesimo attacco al comparto statale, ormai diventato un pozzo dove attingere in mancanza di riserve, si configura come un continuum di quello attuato al lavoro privato, entrambi diretti a un solo scopo: smantellamento dei diritti e precarizzazione del mercato del lavoro. Dietro alla cosiddetta flessibilità, parola d’ordine della politica europea, si nasconde la strategia del grande capitale diretta alla riduzione del costo del lavoro e alla svalutazione dei salari. Le scelte che ci sono propugnate, disoccupazione o lavoro precario, non offrono molte alternative: abbassamento della retribuzione ed estrema precarizzazione sono il prezzo da pagare per milioni di lavoratori.