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Per il 70esimo anniversario dell’assassinio di Eugenio Curiel

di Pierpaolo Mosaico

Lo scorso 24 febbraio è stato il 70esimo anniversario dell’assassinio di Eugenio Curiel, scienziato e grande dirigente comunista, ucciso a Milano per mano fascista a soli 33 anni, due mesi prima della Liberazione. Pertanto, vogliamo rendere omaggio a questa figura molto importante all’interno della storia del movimento operaio italiano; tra le fondamentali per comprendere la reale portata e il programma della Resistenza, oltre che i successivi sviluppi; caduta nel dimenticatoio per chi oggi dice di richiamarsi agli ideali dei partigiani, quando non svuotata del suo contenuto rivoluzionario. Eugenio Curiel nacque a Trieste nel 1912, da una famiglia benestante di religione ebraica. Si laureò nel 1933 in fisica e matematica a Padova, con il massimo dei voti e con una tesi sulle disintegrazioni nucleari. Appassionatosi successivamente agli studi di filosofia, tramite Hegel, conobbe Marx e si avvicinò agli ideali comunisti fino ad entrare nel Partito Comunista d’Italia nel 1935, costituendo insieme ad altri la prima cellula comunista nella città universitaria.

Nel 1936, prese contatti con il Centro Estero del PCd’I, raggiungendo Parigi al fine di tornare a Padova con nuove direttive per organizzare la militanza antifascista. Tornato in Italia, però, le disposizioni del partito, che erano indicate ad un lavoro legale di penetrazione all’interno delle organizzazioni di massa fasciste, non creano troppo entusiasmo ai compagni di cellula che, al contrario, prevedevano di passare all’azione clandestina. Questa linea si dimostrerà poi utilissima per analizzare le reali forze da organizzare per abbattere il fascismo, cercandole stando all’interno di quel processo storico al fine di diventare avanguardia della classe operaia che sotto il regime mussoliniano viveva inevitabili contraddizioni da dover sfruttare per la loro emancipazione. Seguendo, quindi, le direttive del partito, il gruppo si inserì nei Guf e Curiel divenne responsabile della sezione sindacale del “Bò”, giornale dell’università di Padova. Qui, fece un lavoro molto importante per stare a contatto e tessere legami con i lavoratori, spostando la discussione delle questioni da trattare dalla redazione alle fabbriche, con protagonisti direttamente gli operai.

Nel 1938, dopo la promulgazione delle “leggi razziali fasciste”, venne espulso dall’università, dove tra l’altro insegnava, e si trasferì a Milano. Dalla nuova sede iniziò a dedicarsi interamente alla militanze clandestina e venne arrestato varie volte. Il 23 giugno 1939, venne arrestato dalla polizia dell’Ovra e, dopo aver scontato qualche mese nel carcere di San Vittore, gli vennero imputati 5 anni di confino a Ventotene. All’interno del carcere mise in piedi una sorta di università popolare per i reclusi, dalla quale provengono gli appunti delle lezioni che servirono a formare i futuri quadri della Resistenza.

Un mese dopo l’arresto di Mussolini, avvenuto il 25 luglio 1943, Curiel venne liberato e tornò a Milano dove collaborò coi giornali clandestini “L’Unitá” e “La nostra lotta”, diventando il “partigiano Giorgio” e fondando il “Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà”, organizzazione antifascista composta da giovani operai e studenti che all’inizio del ’45 contava già 15mila aderenti. Morì assassinato in piazza Baracca, mentre si recava ad una riunione, da una squadraccia fascista che, dopo averlo riconosciuto, lo crivellò di colpi fin dentro il portone nel quale si era rifugiato rialzandosi dalla prima scarica. Si narra che sulla macchia di sangue rimasta una donna anziana vi posò dei garofani.

Come si può intendere dalla sua biografia, Eugenio Curiel fu anche uomo teorico, incarnando alla perfezione quell’indissolubile legame tra teoria e prassi proprio del marxismo. Elaborò la concezione della “democrazia progressiva” che doveva “garantire le condizioni politiche e sociali migliori all’opera della ricostruzione, senza assegnare per questo un confine precostituito tra problemi della ricostruzione e problemi dell’edificazione della società socialista… dobbiamo lottare perché la democrazia progressiva si realizzi superando i limiti e gli ostacoli che le vorranno frapporre le forze reazionarie, dobbiamo lottare perché la rottura si operi nelle condizioni a noi più favorevoli, quindi in condizioni tali che la rottura venga ad essere la meno costosa possibile per la classe operaia e per tutta la nazione”. Purtroppo, alla sua figura è toccata l’amara sorte che intelligentemente comprese Lenin per quanto riguarda i rivoluzionari e noi non gli renderemmo un giusto omaggio se svuotassimo la sostanza del suo pensiero politico.

La concezione della “democrazia progressiva”, che probabilmente è ricordata più per il carattere riformista che assunse al V Congresso del PCI, intesa in tutt’altro modo da Togliatti e dal gruppo dirigente dell’epoca, prevedeva l’utilizzo dei Comitati di Liberazione Nazionale, che allora erano la massima espressione organizzativa delle forze popolari contro il nazifascismo, come centro del potere della classe operaia che via via avrebbe dovuto rompere la macchina dello stato borghese, sostituendolo con quello proletario. È importante sottolineare come i CLN, nell’Italia settentrionale, in alcune occasioni diressero delle vere e propri esperienze di governo popolare, grazie all’imponente lavoro politico che fece il PCI nella Resistenza per fondere la lotta contro il nazifascismo alla lotta per l’emancipazione sociale. L’Italia visse un periodo di dualismo di potere dal 1943 al 1947, cioè un periodo nel quale accanto al potere legalmente costituito della borghesia vi era un contro-potere operaio e popolare che poteva contare di un’avanguardia rivoluzionaria armata tra le fila del PCI di 2.500.000 uomini. Contestualizzandola, quindi, l’idea della “democrazia progressiva” era per Curiel il modo migliore per edificare la società socialista, utilizzando le istituzioni proletarie sorte dalla guerra di liberazione per limitare fino ad eliminare il potere di quelle forze reazionarie che immaginavano un Italia simile a quella anteguerra, sostituendolo con quello proletario. Quando parlava di “rottura” parlava chiaro, la intendeva verso una nuova società, un nuovo modo di produzione, e in antitesi ad un compromesso illimitato con la borghesia. Altro che “via italiana al socialismo”! L’esempio dell’impegno militante di Eugenio Curiel, segnato da una imponente statura politica e morale conosciuta spesso nella storia del comunismo, insieme ai suoi scritti, è fondamentale per chi oggi ha deciso di intraprendere il cammino della costruzione della gioventù comunista. Come allora, la gioventù può e deve essere la “fiamma più viva” all’interno del processo di organizzazione della classe lavoratrice e di emancipazione sociale affinché faccia da legame con le vecchie generazioni per l’abbattimento della società corrente, generatrice di precarietà e sfruttamento, nell’edificazione, pietra dopo pietra, di quella socialista.

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