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FERRERO, ALBA E LA LOTTA DI CLASSE

* di Graziano Gullotta

Un simbolo dell’epopea del sindacalismo di classe italiano, Giuseppe Di Vittorio, in una delle sue frasi più memorabili esortava i lavoratori a “non togliersi il cappello davanti al padrone”. Questa frase racchiudeva più che un semplice comportamento di etichetta, era la metafora dell’emancipazione della classe operaia: il lavoratore che, da suddito dei padroni e delle loro istituzioni borghesi, iniziava ad assumere una coscienza di classe e diventava meno schiavo e più protagonista della propria libertà.

Per rendere omaggio a Michele Ferrero, inventore della famosa crema spalmabile e di altri prodotti dolciari entrati nell’immaginario collettivo dell’Italia del dopoguerra e storico padrone dell’azienda dolciaria omonima, il sindaco di Alba, sede centrale dell’azienda, ha indetto il lutto cittadino per il giorno dei funerali, mercoledì 18 febbraio. Tutte le scuole di ogni ordine e grado sono rimaste chiuse. L’amministrazione comunale ha deciso la chiusura al traffico del centro storico e la sospensione delle attività commerciali oltre alla chiusura degli uffici comunali per la durata dei funerali. Da domenica 15, inoltre, le bandiere istituzionali del Municipio sono a mezz’asta.

Il rapporto tra l’azienda Ferrero e la città di Alba è sicuramente particolare: luogo della fondazione nel 1946 da parte del padre Pietro, è tutt’oggi una delle principali sedi produttive oltre che essere sede legale ed amministrativa  Con un fatturato di oltre 8 miliardi di euro (dati 2013) e circa 34.000 dipendenti in 20 stabilimenti distribuiti tra Europa, Nord e Sud America, il gruppo Ferrero è la quarta industria dolciaria al mondo e copre l’8% del mercato del cioccolato (Nestlè terza al 12%). [1]

Un’azienda “che non ha mai fatto un’ora di cassa integrazione e nella quale non è mai stata indetta un’ora di sciopero” [2]. Quest’ultima osservazione rende bene l’idea dell’aria che si respira nella cittadina albese, capitale delle Langhe: una città-feudo nella quale istituzioni democratiche, coscienza collettiva e padronato sono fortemente interlacciati in un legame nel quale, in tutta evidenza, il ruolo dominante è esercitato da chi possiede forti argomenti economici: Michele Ferrero era l’uomo più ricco d’Italia con un patrimonio stimato in 23,4 miliardi di dollari [3].

La pesantezza e la relativa importanza dell’azienda multinazionale è resa ancora maggiormente se si pensa che la città di Alba conta poco meno di 32.000 abitanti: buona parte delle famiglie ha almeno un reddito che proviene dall’azienda cittadina multinazionale.

Ritornando alla frase citata in precedenza, concludere che la presenza di un livello medio-alto di salari e occupazione, un trattamento attento ad alcune esigenze dei dipendenti fuori dall’orario di lavoro e una tenue, per non dire inesistente, conflittualità sindacale, voglia significare un’assenza di lotta di classe o una “sospensione”, per così dire, della stessa, è alquanto fuorviante dalla realtà.

“Ogni dipendente del Gruppo Ferrero Spa è passato a produrre dai 379mila euro di fatturato dell’esercizio 2008-2009 ai 441mila euro di cinque anni dopo (+16%). Il valore aggiunto netto per dipendente è aumentato da 85mila euro a 102mila euro (+ 20%).” [4]

Pare estremamente improbabile che gli operai impiegati nei tre turni delle varie linee di produzione percepiscano un salario paragonabile a quello che rendono mediamente, appunto 102mila euro, o che negli ultimi 5 anni abbiano avuto incrementi salariali dell’ordine del 20%.

Nel 2011 i profitti della Ferrero SpA erano di 856 milioni di euro [5]. Inoltre la Ferrero S.p.A è posseduta interamente dalla Ferrero International SA con sede in Lussemburgo, Paese con imposizione fiscale bassa e prossima allo zero [6]  che dai primi anni ’90 è diventata la meta preferita dalle grandi multinazionali di ogni settore.

La lotta di classe esiste, quindi, con tutta evidenza anche in quella che a prima vista sembra un’oasi felice nell’inferno della crisi come la Ferrero, nonostante ci si limiti ad una prima analisi che gratti via lo “sporco” ideologico, costruito per poter sfruttare i lavoratori senza pericoli per la “pace sociale” tanto cara ai padroni di ogni epoca. Questa lotta di classe, che si manifesta in un pluslavoro non retribuito ai dipendenti che va a finire nei conti del padronato, non può dipendere dal carattere del padrone: nessun padrone “buono” potrà eliminare il conflitto tra produzione sociale e accumulazione privata intrinseco di ogni impresa nella società capitalistica. E non potrà farlo semplicemente perché questo conflitto di interessi deriva dalle leggi oggettive del tipo di economia della società in cui viviamo.

Abbiamo evidenziato come il conflitto capitale-lavoro esista anche in Ferrero, sotto forma di lotta attiva da parte del padronato a danno dei lavoratori. Sarebbe però ingenuo pensare che non esistano, nella situazione attuale, aspetti positivi (che superficialmente o meglio nella contingenza sembrano tali) che concernono appunto la relativamente alta soglia di occupazione per gli albesi, le quote salariali alte, e altre forme di filantropia [7].

Questi aspetti positivi si fondano però non sulla lotta sindacale o politica dei cittadini per un diritto al lavoro che sia garantito in maniera irreversibile, ma in ultima istanza su delle concessioni (ad ogni momento reversibili) del padronato.

Tale condizione fa sì che il livello di coscienza di classe in fabbrica e in tutta la città sia bassissimo. Questo fattore costituisce uno dei problemi strutturali più importanti in ottica futura, poiché è inevitabile che le leggi della concorrenza su scala mondiale e la riduzione progressiva del saggio di profitto costringano ad assottigliare sempre più la quota salari ed il livello di occupazione per mantenere i prezzi del prodotto in competizione con le altre industrie multinazionali del settore.

Aver avuto la possibilità di costruire una propria vita con un reddito stabile è una grossa fortuna, che oggigiorno è sempre più difficile da godere. Lasciare l’ultima parola al padrone riguardo alla stabilità del proprio lavoro, del proprio reddito e della propria vita, è un’umiliazione quotidiana che ci lascia in balia degli eventi dell’imprevedibile economia globalizzata.

L’alternativa esiste, ed è costruire una coscienza di classe, un’idea diffusa di solidarietà tra i lavoratori, che rovesci il tavolo del rapporto diretto tra singolo operaio e padrone “buono”, affermando il diritto ad una occupazione stabile e giustamente retribuita, senza dover per questo togliersi il cappello, o chiudere gli uffici e le scuole pubbliche, davanti al capitalista di turno.

 

 

 

 

 

 

NOTE:

1- http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-02-15/un-processo-dolce-globalizzazione-081250.shtml

2- http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-02-15/ad-alba-sogno-olivetti-141041.shtml

3- http://www.tgcom24.mediaset.it/economia/e-michele-ferrero-l-uomo-piu-ricco-d-italia-gates-slim-e-buffett-in-testa-alla-top-100_2077625201402a.shtml

4- http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-02-19/quella-fortezza-capitalismo-italiano-063916.shtml

5- https://en.wikipedia.org/wiki/Ferrero_SpA

6- http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-11-27/lussemburgo-paradiso-holding-ecco-come-si-e-formato-tesoro-azioni-290-miliardi-euro-160656.shtml

7- http://www.fondazioneferrero.it/

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