Si sono svolte recentemente le elezioni del comparto pubblico, che hanno visto una evidente avanzata dei sindacati di base, espressione più avanzata nelle condizioni attuali del sindacalismo conflittuale in Italia. I dati che affluiscono in questi giorni vedono una vittoria della CGIL, che si profila come abbastanza netta, distanziando sia la CISL che la UIL, ma interessanti sono i risultati dell’USB e, specialmente per il comparto scuola, dei Cobas. Nelle elezioni del pubblico impiego non va dimenticato che i sindacati conflittuali sono fortemente penalizzati a monte, dal meccanismo legale che non concede loro parità di possibilità di intervento nei luoghi di lavoro, convocazione di assemblee, garantendo privilegi alle organizzazioni confederali. L’incremento di voti ai sindacati di base ha dunque un valore ancora maggiore proprio in considerazione delle difficoltà che in molti casi essi incontrano sui posti di lavoro.
La vittoria della CGIL era abbastanza scontata, e rappresenta un segnale da leggere in tutta la sua valenza sia per le considerazioni negative, sia per quelle positive. Indubbiamente in questo momento segna un risultato negativo per il governo, che ha nella CGIL un’opposizione alle riforme del lavoro e della pubblica amministrazione. Dunque è senza dubbio possibile dire che nel complesso i lavoratori hanno bocciato la politica del governo con queste elezioni. Tuttavia è evidente che la CGIL, pur essendo il più grande sindacato italiano ed il più radicato, è da tempo attestato su posizioni concertative e riformistiche, è corresponsabile delle stesse politiche che oggi critica, mantiene comunque un rapporto di carattere organico ad un’idea di centro-sinistra compatibile con le politiche della UE e con questo modello di sistema. Da questo punto di vista il risultato dei sindacati confederali segna un punto dell’arretratezza complessiva dei lavoratori oggi, che continuano a riporre una parte considerevole della loro fiducia nelle strutture sindacali corresponsabili della condizione attuale del lavoro in Italia.
Ovviamente tutto questo ragionamento è estremamente complesso per elezioni che hanno anche un forte carattere “aziendale” legato cioè alle capacità e alla fiducia dei lavoratori candidati. Per comprendere meglio la situazione generale ad esempio sarebbero necessari alcuni dati, come il tasso di astensione alle elezioni, che segnala il grado di sfiducia generale nei sindacati, oggi molto presente. Ma la natura stessa di queste elezioni rende difficile quadri generali particolareggiati, al di fuori di una serie di casi. Il settore pubblico poi è tradizionalmente un settore complesso per il suo ruolo nelle lotte, anche se negli ultimi anni settori come la scuola hanno dimostrato una capacità di mobilitazione importante, e le politiche del governo di attacco al lavoro pubblico, rendono questo settore non secondario per il ruolo che potrà esprimere nelle lotte di questi anni.
Al netto di tutte queste considerazioni, la crescita dei sindacati di base – immediatamente apprezzabile dai dati – è un segnale estremamente positivo nella direzione del radicamento di sindacati non allineati con le politiche del governo. Nella scuola i Cobas aumentano di un quarto la loro forza, con la presentazione di liste in 1.000 istituti e l’elezione di circa 700 rappresentanti sindacali nelle scuole, e raggiungendo nelle scuole dove erano presenti liste dei Cobas la media del 23% dei consensi. Buoni i risultati dell’USB nell’università e soprattutto nella ricerca con forti affermazioni all’Istituto Superiore di Sanità e all’ISTAT. Importanti risultati in tutte le amministrazioni pubbliche, quelli dell’USB, nei ministeri e negli enti pubblici (INAIL, INPS, ACI). Particolarmente rilevante il risultato nel Comune di Firenze, in casa Renzi, dove l’USB che in questi anni si è opposto ai piani del comune, ottiene il 28% dei consensi e diventando il secondo sindacato, posizione che conquista anche tra i lavoratori della Presidenza del Consiglio.
La condizione sindacale italiana è tanto, forse ancora più difficile, di quella politica, per la condizione ed il radicamento delle forze rivoluzionarie tra i lavoratori salariati. Di fronte alla parcellizzazione sindacale, e allo strapotere della linea riformista e concertativa nei sindacati confederali, alla presenza di forme di opposizione di vario carattere interne alla CGIL, all’aumento del radicamento dei sindacati di base, che tuttavia restano in molti casi ancorati ad una visione del sindacato non del tutto legata ad una logica di classe, ma spesso a teorie movimentiste, che finiscono per essere inconcludenti, è necessario puntare dritti nella direzione della creazione di un fronte unito dei lavoratori, che leghi le più avanzate punte del sindacato – ovunque esse siano – nella costruzione di una comune piattaforma di rivendicazioni sul lavoro, in grado di far avanzare seriamente la lotta di classe in Italia. Esperienze in questa direzione si stanno creando sia a livello nazionale (il progetto del FUL, che sta raccogliendo consensi e inizia ad organizzare i lavoratori in questo senso) che in alcune realtà locali (ad esempio Livorno), anche in modo spontaneo, a conferma di quanto l’unità dei lavoratori, a partire dai settori più avanzati e coscienti della condizione attuale, sia una necessità storica imprescindibile in questo momento, senza la quale non è possibile far avanzare concretamente le lotte.
I risultati del sindacalismo di base, con il rafforzamento di elementi di sindacalismo di lotta nei luoghi di lavoro, sono da questo punto di vista un importante tappa in questa direzione.