* di Salvatore Vicario
Nel mese di Marzo si è concretizzata una importante operazione finanziaria che ha riguardato uno dei marchi più blasonati della grande industria italiana: Pirelli.
La multinazionale “italiana” fondata nel 1872 a Milano, è il quinto operatore nel settore dei pneumatici in termini di fatturato con una presenza industriale in 13 paesi del mondo con 19 stabilimenti e una presenza commerciale in oltre 160 paesi. E’ il primo tra i gruppi medi, specializzata in pneumatici di fascia alta per auto e veicoli industriali, presente fin dal 1907 nelle competizione sportive dove attualmente è fornitore esclusivo del campionato di Formula 1 per il triennio 2013-2015, del campionato di Superbike e Supersport. Inoltre è sponsor ufficiale della società calcistica di Milano, F.C. Internazionale. Il gruppo Pirelli nella classifica di settore segue i principali produttori mondiali come l’”americana” Goodyear (4°), la “francese” Michelin (3°), la “giapponese” Bridgestone (2°) e la tedesca Continental, attualmente leader mondiale, di cui la Pirelli tentò senza successo la grande scalata nell’86 a seguito della quale giunse alla guida del gruppo Pirelli Marco Tronchetti Provera che avviò una ristrutturazione industriale e finanziaria con la chiusura di alcuni stabilimenti e rami.
La storia di una delle più importanti aziende del capitalismo italiano
La storia di Pirelli è un esempio concreto dell’imperialismo (che molti erroneamente scindono dalla sua essenza economica), dei monopoli, della fusione tra capitale bancario e industriale e dell’internazionalizzazione dei capitali. Il gruppo monopolistico Pirelli già prima dell’arrivo dei cinesi era ben poco italiano (per come comunemente inteso) avendo solo 2 stabilimenti su 19 in Italia (Bollate e Settimo Torinese) che ha un peso esiguo nel gruppo, come si legge dal suo sito; il 100% della produzione Industrial ed il 78% (con stima dell’80% nel 2017) della produzione Consumer è effettuata nei paesi a più basso costo del lavoro in particolare in America Latina: 4 stabilimenti in Brasile, 1 in Argentina, 1 in Venezuela, 1 in Messico. Gli altri paesi a basso costo del lavoro dove sono presenti gli stabilimenti Pirelli sono: 2 in Russia, 1 in Romania, 1 in Turchia, 1 in Egitto, 1 in Cina. Oltre ai 2 stabilimenti italiani, in Europa ce ne sono altri 2 in Gran Bretagna ed 1 in Germania; infine 1 stabilimento si trova negli USA. Non è difficile intuire come dei 38.000 lavoratori direttamente dipendenti da Pirelli solo una minima parte, il 9.5%, si trovano nel nostro Paese. Nel pieno della crisi capitalista, dal 2009 al 2014, il Gruppo Pirelli ha incrementato il suo fatturato del 50% (quasi 6 miliardi di ricavi) grazie al mercato dei paesi emergenti. Infatti il mercato italiano assorbe poco più del 5% del fatturato, mentre nel 2009 valeva oltre il 10%: più di un terzo dei ricavi proviene dal Sudamerica, con USA e Asia che insieme compongono un altro terzo, realizzando tra il 2009 e il 2013 oltre 1.1 miliardi di utili netti. Come ogni gruppo monopolistico e multinazionale, Pirelli estende i suoi tentacoli su diversi rami (ricerca e sviluppo tecnologico, materie prime, produzione e distribuzione) e settori operando anche nel campo dell’abbigliamento e accessori (abiti, orologi, occhiali a marchio Pirelli) e delle fonti rinnovabili di energia e dei combustibili alternativi e filtri antiparticolato attraverso la Pirelli Prodotti e Servizi per l’Ambiente, con partecipazioni anche nel settore immobiliare. Con la famiglia Benetton (che con la famiglia Moratti rappresentano i principali partner di Tronchetti Provera) entra nel 2001 nel settore della telefonia creando con le banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, la società finanziaria Olimpia SpA che possedeva il 18% del pacchetto azionario di Telecom Italia fino al 2007 attraverso una struttura piramidale tramite la quale Marco Tronchetti Provera controllava Telecom Italia possedendo solamente lo 0.11% del capitale votante. La società finanziaria Olimpia, controllata da Pirelli con il 58%(1), acquistò il 23.3% di Olivetti posseduta dalla Bell SpA, società del Lussemburgo che aveva il 51.02% di Telecom Italia. In seguito a questa acquisizione avvenne la fusione tra Olivetti e Telecom Italia e poi tra TIM e Telecom Italia. Nel 2007 Pirelli & C. (che allora deteneva l’80% dopo l’uscita prima della Holding Hopa e delle banche dopo lo scandalo di Bancopoli nel 2006) cede alla società a maggioranza spagnola Telco (2) la Telecom Italia per 4.1 miliardi di euro, molto meno di quanto l’aveva acquistata. Nel frattempo, tra il 2000 e il 2005, il gruppo Pirelli cede alcune società, tra cui la Pirelli Cavi, alla banca americana Goldman Sachs, cambiando il nome in Prysmian, leader mondiale nella produzione di cavi per applicazioni nel settore dell’energia, delle telecomunicazioni e di fibre ottiche. Con sede in Italia, la società è presente in oltre 50 paesi con 91 stabilimenti (di cui 9 in Italia) e 19.000 dipendenti. In tutto questo l’unico ad averci guadagnato è Tronchetti Provera e le sue società finanziarie.
Attualmente il gruppo è composto da 8 imprese in Italia e 4 all’estero (Svizzera, Brasile, Lussemburgo, Gran Bretagna) e partecipa a 4 imprese collegate tra cui Eurostazioni SpA (di cui possiede il 32.7% al pari della Holding Sintonia del gruppo Benetton e della Holding Vianini del Gruppo Caltagirone) società finanziaria proprietaria di minoranza di Grandi Stazioni SpA che gestisce le principali stazioni ferroviarie italiane; un’altra importante società partecipata dal gruppo Pirelli con il 29.2% delle azioni è Prelios (3), che in seguito a una joint venture con Morgan Stanley è divenuta protagonista di importanti acquisizioni di società immobiliari e di servizi a livello internazionale. In seguito alla decisione di focalizzarsi sulle attività industriali nel settore degli pneumatici, il gruppo Pirelli scorpora la Pirelli Real Estate (nuova denominazione di Milano Centrale) dal proprio gruppo divenendo Prelios SpA che opera nel settore immobiliare e finanziario in diversi paesi e a cui partecipano oltre il gruppo Pirelli anche Unicredit, Banca Popolare di Milano, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Generali, Mediobanca ecc… Nel periodo in cui Tronchetti Provera controllava la Telecom Italia, la Prelios acquistò diverse proprietà immobiliari dell’ex società telefonica pubblica per poi affittarle alla stessa.
Il Gruppo Pirelli & C. è di proprietà al 26.2% della Holding Cam Finanziaria operante anche nel settore della distribuzione di prodotti petroliferi e dell’immobiliare, di proprietà al 42.65% del Gruppo Partecipazioni Industriali di proprietà di Marco Tronchetti Provera al 54.9% (4), Unicredit, Intesa Sanpaolo e il fondo privato Clessidra che conformano la Lauro61. Gli altri principali azionisti del Gruppo Pirelli & C. sono la Malacalza Investimenti (7%), Edizione (4.6% – Gruppo Benetton), Mediobanca (4.1%) e investitori istituzionali esteri (43.6% di cui il 40% nord-america, 23% Regno Unito, 5% Asia) investitori istituzionali italiani (2.6%) e investitori Retail (11.9%).
L’embargo alla Russia e l’espansione cinese
Veniamo adesso alla storia più recente: il Gruppo Pirelli, sostenuto dai due principali gruppi bancari privati italiani, Intesa e Unicredit, negli ultimi due anni ha avviato un processo di ristrutturazione, e già lo scorso anno fu il colosso petrolchimico russo Rosneft Oil Company (5) ad avviare l’operazione per l’ingresso nel gruppo con l’acquisto del 13% di Pirelli attraverso l’acquisizione del 50% della Holding Comfin/Lauro61. Come abbiamo visto in precedenza in Russia ci sono attualmente 2 stabilimenti del “Gruppo della Bicocca” che ha puntato fortemente su questo mercato ritenuto promettente, rafforzandosi con la Rosneft che favorisce lo sviluppo delle tecnologie e la produzione di gomma sintetica attraverso la società Synthos con sede in Polonia e la cui produzione avverrà nel polo petrolchimico di Nakhodka nell’estremo oriente della Russia, ed infine l’apertura entro il 2015 di 60 centri specializzati Pirelli (200 entro il 2019) all’interno delle stazioni Rosneft attraverso la catena di negozi Koleso. L’accordo tra i russi e Tronchetti Provera prevedeva una newco posseduta al 50% dai russi e il restante diviso tra Tronchetti Provera (80%) e Unicredit e Intesa Sanpaolo (20%), con Rosneft (con due suoi uomini entrati nel CdA) che sarebbe divenuto il principale azionista con il 13%, Tronchetti Provera con il 10% e Unicredit e Intesa Sanpaolo con l’1.5%. Operazione che è valsa miliardi di valorizzazione del capitale finanziario investito dalle banche e società finanziarie coinvolte.
Ma l’irruzione della guerra in Ucraina, il conseguente embargo alla Russia e la contemporanea caduta dei prezzi del petrolio hanno reso questo mercato meno attrattivo e soprattutto ha indebolito la russa Rosneft favorendo la recente ascesa del gruppo statale cinese ChemChina, operante nel settore della chimica, che con un fatturato di 70 miliardi di euro, 140.000 dipendenti e 24 centri di ricerca, è circa 5 volte la Pirelli. In vista del closing, l’operazione comporterà il passaggio ai cinesi del 50.1% della Pirelli attraverso la Holding Comfin, con la costituzione della Bidco una nuova società detenuta al 100% da due società italiane controllata indirettamente da ChemChina e partecipata da Camfin, con Tronchetti Provera che rimarrà alla guida del gruppo fino al 2021 nella qualità di Amministratore Delegato, rientrando nella società come azionista di minoranza. Così come l’operazione con i russi, anche l’operazione con i cinesi vede il coinvolgimento delle principali banche e istituti finanziari a livello internazionale. L’operazione tramite la quale i cinesi di China National Chemical Corporation faranno il loro ingresso nel gruppo Pirelli avverrà infatti tramite un mega prestito iniziale di 8 miliardi di dollari da parte del colosso finanziario statunitense Jp Morgan con Unicredit e Intesa Sanpaolo pronte a farsi carico della metà del finanziamento. Ad assistere la multinazionale cinese, oltre la Jp Morgan, c’è anche la banca d’affari statunitense Rotshschild e la ChemChina Finance, i russi di Rosneft si sono affidati al fondo privato russo Ligerion, Pirelli si è affidata all’americana Lazard e Nuove Partecipazioni (la holding posseduta da Tronchetti Provera, Moratti, vedi nota 1) alle italiane Mediobanca (di cui Tronchetti Provera è vicepresidente) e Banca Leonardo (banca d’affari privata in mano tra gli altri a Exor della famiglia Agnelli e Edizione della famiglia Benetton).
Le acquisizioni e partecipazioni in quote di minoranza delle società cinesi in Italia aumentano sempre di più: oltre a Pirelli, infatti si possono citare Enel, Eni, Ansaldo, Telecom, Krizia, Ferragamo ecc… Questo processo fa parte della necessità cinese di esportare capitale e espandere i suoi monopoli nel mercato internazionale diversificando gli investimenti: ciò spinge da un lato i grossi flussi d’investimenti nei paesi africani e sud-americani in cambio di materie prime e risorse mentre in particolare nei paesi europei i capitali cinesi si dirigono nelle acquisizioni e partecipazioni nei gruppi finanziari (dai 304 milioni nel 2013 ai 3.96 miliardi nel 2014), nei gruppi immobiliari e nei know how nell’industria con lo scopo di acquisire nuove conoscenze, macchinari e tecnologie. Non a caso l’accordo parasociale in Pirelli prevede per adesso il mantenimento della “testa” e del “know how” in Italia e l’integrazione del segmento Industrial tyre di Pirelli in alcune attività strategiche di ChemChina e Fengshen Tires Stock Limited Company (una controllata di ChemChina) con l’obiettivo di raddoppiare i volumi industriali passando dalla produzione degli attuali 6 milioni di pneumatici ai 12 milioni per l’espansione in particolare nei mercati asiatici.
Il sistema segue regole già svelate
Operazioni di questo tipo sono il fenomeno più ricorrente e caratterizzante di questa fase, dell’imperialismo fase superiore del capitalismo, la cui essenza economica è costituita da monopoli e multinazionali con la concentrazione e accentramento della produzione e del capitale in monopoli sempre più giganteschi nelle mani di un pugno di capitalisti. Lo sviluppo del capitalismo, nonostante i tentativi di distorsione degli opportunisti, conferma totalmente l’analisi leninista dell’imperialismo appena citata. Non si tratta più solo del conflitto tra piccolo e grande capitale (abbiamo affrontato l’argomento in questo articolo incentrato sulle dinamiche della piccola/grande distribuzione https://www.senzatregua.it/?p=1803) ma soprattutto di acquisizioni, partecipazioni, assorbimenti e fusioni a livelli sempre più alti nei confronti di altre importanti imprese e gruppi finanziari monopolistici e multinazionali, grandi e medio-grandi. Il capitale monopolistico estende oggi i suoi tentacoli in ogni ramo e settore dell’economia di ogni paese capitalista con il sorgere di nuovi monopoli con base anche nei paesi cosiddetti emergenti che divengono attori su scala internazionale ampliando i rapporti di interdipendenza e dipendenza tra le varie potenze e paesi capitalistici integrati nel sistema imperialista internazionale sulla base del loro diversificato sviluppo economico, militare e politico. Questo ovviamente non fa altro che accrescere la concorrenza tra monopoli e le contraddizioni nel sistema imperialistico per la conquista dei mercati, per la nuova spartizione delle zone d’influenza unica reale causa delle guerre. A dirigere i monopoli e le politiche dei propri Stati è la ricerca del massimo profitto: essi si muovono diretti solo ed esclusivamente da questo principio. Come vediamo in questo caso, inoltre, gli interessi dei monopoli statali si intrecciano molto facilmente con quelli privati anche appartenenti a “campi opposti” (stando ai semplicistici schematismi opportunisti); i capitalisti muovono il capitale a livello mondiale per accrescere i propri profitti, per accaparrarsi mercati, per rafforzare i propri monopoli.
Raggiunge livelli sempre più elevati anche la commistione tra capitale industriale e bancario, che forma il capitale finanziario detenuto dall’oligarchia finanziaria che esercita il suo dominio in ogni ambito della vita all’interno dei paesi e a livello internazionale nel campo economico/sociale, politico e militare, come possiamo ben vedere concretamente in questa operazione dove il capitale finanziario proveniente da diversi paesi si intreccia, si valorizza e accumula in sempre meno mani attraverso queste operazioni di speculazione e prestiti nel settore dell’industria. E’ in questo settore dove più si eleva il livello di concentrazione della produzione e dominio dei monopoli e più le grandi banche ricoprono un ruolo fondamentale nel concedere crediti considerevoli che permette ai gruppi finanziari, assicurativi, fondi d’investimento e pensioni ecc…, ossia al capitale finanziario concentrato, di ottenere grandi profitti dai loro investimenti.
Ad esempio nell’operazione dell’ingresso della russa Rosneft dello scorso anno, gli istituti di credito privati italiani, Intesa Sanpaolo e Unicredit, entrati con 120 milioni in Lauro/Camfin hanno visto valorizzate le loro quote di circa 200 milioni. Nell’attuale operazione di cessione, di valore superiore alla precedente, alla ChimChina gli azionisti italiani della Camfin, Nuove Partecipazioni, Intesa Sanpaolo e Unicredit, Tronchetti Provera, Moratti ecc… incrementeranno notevolmente i propri profitti privati. Tronchetti Provera, ad esempio, otterrà 277 milioni di euro che reinvestirà nella società come azionista di minoranza ottenendo in futuro maggiori profitti. I capitali di queste società è bene notare che nella stragrande maggioranza dei casi risiedono nei cosiddetti “paradisi fiscali” o comunque in paesi terzi vedi il caso FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Per esempio l’operazione dello scorso anno d’ingresso della Rosneft in Pirelli come socio maggioritario, prima dell’arrivo di ChimChina, si è realizzata tramite il fondo d’investimenti Long-term Investment Luxembourg Llc che incorpora la Neftegarant, il fondo pensioni privato russo della Rosneft.
Colonia o stato imperialista?
Il classico commentario che attornia queste operazioni nei salotti televisivi e politici dedicati alla diffusione del pensiero al “popolino” mira a confondere le acque, a distrarre coloro che vivono del proprio lavoro, attraverso messaggi quali “siamo una colonia” (americana o cinese a seconda del vento), “ci stanno svendendo”, “è colpa dello Stato e della politica se le nostre aziende vanno via” tutto finalizzato a diffondere un messaggio interclassista e di un falso “sentimento nazionalista” piccolo borghese, giustificatorio e assolutorio nei confronti dei capitalisti italiani, in modo che a prevalere nelle masse popolari sia un sentimento accomodato agli interessi delle classi dominanti. Come il caso Pirelli dimostra in modo palese la concentrazione della produzione e dei capitali internazionalizzati è una legge assoluta del sistema attuale in cui i capitalisti italiani non sono vittime ma pienamente integrati e per accrescere i propri profitti sanno bene che dovranno “internazionalizzarsi” sempre di più. Spesso ci si dimentica infatti che mentre ci sono operazioni di acquisizione delle aziende italiane, comprese le più importanti, da parte di società straniere, allo stesso tempo i capitalisti italiani acquistano all’estero (ad esempio l’acquisto dell’americana Chrysler da parte di FIAT e dell’International Game Technologies da parte di Gtech che è divenuta leader mondiale nel settore dei giochi), esportano capitali, aprono filiali e nuovi stabilimenti (ad esempio la recente apertura di due nuovi stabilimenti in Cina della multinazionale italiana Magneti Marelli del gruppo FCA già presente in 18 paesi), delocalizzano la produzione. Questo ovviamente non avviene per tutti allo stesso livello ma il principio di base è che i borghesi sanno come fare i soldi e la loro unica patria è quella dove possono realizzare il massimo profitto. Secondo il rapporto Kpmg nel 2014 in Italia si sono concluse 522 operazioni di fusioni e acquisizioni per un controvalore di 39 miliardi di euro (26% in più rispetto al 2013), di questi il 41% (pari a 16 miliardi) si riferisce ad acquisizione estere su aziende italiane, in particolare si evidenziano le acquisizioni della Rottapharm da parte della svedese Meda AB (per 2.3 miliardi di euro), il passaggio di Indesit agli americani di Whirpool (per 1.1 miliardi) e gli investimenti cinesi per complessivi quasi 4.8 miliardi, tra cui il 35% di CDP Reti a State Grid Corporations of China (2.1 miliardi) e l’ingresso della People’s Bank of China in Eni (1.3 miliardi) e Enel (784 milioni). Di contro le operazioni italiane su estero hanno avuto un controvalore di 12.6 miliardi (pari al 32% del totale). Dal 2009 al 2013 le acquisizioni italiane all’estero sono state 241 (in particolare con operazioni di taglia media-piccola) mentre dall’estero all’Italia sono state 362. Da segnalare, infine, che tra le principali 10 operazioni di questo genere nel 2014, 7 hanno riguardato acquisizioni estere in Italia; questo non ha nulla a che vedere però con concetti quali quello della “colonia” ma è determinato dall’esportazione di capitali, dalla disuguaglianza e squilibrio nello sviluppo capitalistico a livello internazionale e nazionale, con l’Italia che occupa una posizione intermedia nella scala degli stati imperialisti. I principali monopoli italiani sono molto attivi nelle acquisizioni all’estero: tra questi si evidenziano su tutti Enel, Eni, Campari, Fiat, Luxottica, Gtech, Recordati (con l’acquisizione tra gli altri della russa Zao Akvion), Brembo, Amplifon ecc… D’altronde i dati sui patrimoni dei grandi capitalisti italiani dimostrano come essi abbiano incrementato negli ultimi anni la loro accumulazione di ricchezza come non mai e sempre di più si amplia la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
In tutto questo lo Stato è in stretto legame con le multinazionali e in una situazione di interdipendenza si servono di esso come strumento per realizzare le loro mire di dominio ed espansione, sia sul piano nazionale che internazionale. Lo Stato nazionale integrato nell’alleanza imperialista europea, continua a svolgere il suo ruolo come strumento dei monopoli internazionali più forti, in virtù della libera circolazione di merci, capitali e servizi eretta a principio fondante del sistema giuridico europeo. L’oligarchia finanziaria concentra nelle proprie mani un reale potere economico e politico, determina le politiche e i governi, la ricerca e lo sviluppo, la politica estera e militare. Tronchetti Provera ha così liquidato la questione: “Ho avvisato qualche giorno fa il Presidente Renzi e la reazione è stata positiva”. Il capitalista italiano Tronchetti Provera, grande sostenitore del governo Renzi, guadagnerà molto da questo cambio di proprietà, la multinazionale Pirelli si rafforzerà rispetto alla concorrenza nel mercato internazionale; il futuro dei lavoratori italiani negli stabilimenti di Bollate e Settimo Torinese è incerto ma non per la nazionalità del nuovo padrone ma per la bramosità di profitti dei monopoli capitalistici che aprono e chiudono stabilimenti in ogni parte del mondo a seconda delle necessità congiunturali al loro profitto abbassando sempre di più il prezzo della forza lavoro.
Conclusioni
Come detto precedentemente, i monopoli determinano le politiche così come lo sviluppo, la ricerca, il potenziale produttivo ecc… inserito nel quadro internazionale della divisione del lavoro. Il potenziale produttivo di un paese è perciò limitato dalle leggi del profitto capitalista che guidano i monopoli e multinazionali in relazione con il mercato capitalistico mondiale. Questo influisce sull’utilizzo limitato del potenziale produttivo nazionale, dal manifatturiero all’agricoltura alle risorse naturali, per il nostro paese (ma è un discorso che a vari livelli vale per tutti i paesi) in particolare con l’assimilazione nell’UE (che ricordiamo è una costruzione funzionale ai grandi monopoli). Nel settore dell’agricoltura troviamo gli esempi più facilmente visibile come gli agrumi che rimangono sui nostri alberi mentre si importa dall’estero. E’ fondamentale comprendere questi passaggi esplicitati recentemente da Renzi davanti alla platea di Piazza Affari composta dai maggiori banchieri e imprenditori italiani, tra cui Tronchetti Provera: “[…] abbiate il coraggio di aprire le vostre imprese, magari scendere da un 100%”, “è necessario un cambio di mentalità […] il paese può ottenere molto dalla globalizzazione […] per anni si è detto che era solo un problema e gli investitori esteri andavano respinti. Abbiamo invece bisogno di sostenere il capitale straniero”. Gli fanno eco il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo Gianmaria GrosPietro e Carlo Pesenti di Italcementi secondo cui ciò è già una realtà in movimento (6). Le parole di Renzi segnano dal punto di vista politico in modo manifesto il cambio di passo, la necessità di adeguarsi all’evoluzione dello scenario internazionale che segue le spinte e gli interessi della grande borghesia transnazionale italiana, da cui derivano tutte le varie riforme strutturali e sovrastrutturali del capitalismo italiano, dalle riforme del sistema industriale lavorativo/produttivo e formazione a quello statale/istituzionale.
Ciò che bisogna mettere al centro non sono pertanto le concezioni piccolo-borghesi, dalla “difesa del capitale nazionale” al “pubblico/privato”, ma propriamente il ruolo della classe operaia e la coscienza di esser un’unica classe con interessi comuni a livello internazionale; con i passaggi di proprietà come nel caso Pirelli la classe operaia non perde nulla perché nulla possiede non detenendo i mezzi di produzione, così come il popolo italiano non perde nulla perché già nulla riceve dai monopoli capitalistici senza alcuna differenza sostanziale se di proprietà dei capitalisti italiani, tedeschi, americani, russi o cinesi… da una parte c’è il profitto dei capitalisti monopolisti, dell’oligarchia finanziaria, dall’altra c’è lo sfruttamento della classe operaia che produce la ricchezza di cui si appropria una ristretta cerchia di capitalisti che opera parassitariamente in queste operazioni finanziarie. Bisogna partire da questo quadro reale e concreto affinché la classe operaia assuma il necessario protagonismo in questi scenari. Nell’agenda della lotta di classe bisogna porre pertanto la questione immediata dell’espropriazione e nazionalizzazione sotto il controllo operaio legata alla questione del rovesciamento del potere dei monopoli, la socializzazione dei mezzi di produzione e la pianificazione economica con il potere operaio e popolare, solo in questo modo la classe operaia e il popolo sarà padrone del proprio futuro e della ricchezza che produce. Le soluzioni si trovano andando avanti e non cercando di portare indietro le lancette della storia e sono dettate propriamente dall’alto grado di socializzazione della produzione e dallo sviluppo capitalistico che si pone in antitesi con gli interessi degli operai e il progresso dell’umanità stessa.
Note:
1) altri azionisti: Edizione Holding dei Benetton -16%, Holding Hopa di Rovati – 16%, Banca Intesa – 5%, Unicredit – 5%
2) composta all’epoca dalla spagnola Telefonica al 42.3%, Assicurazione Generali al 28.1%, Mediobanca al 10.6%, Intesa Sanpaolo al 10.6%, e Sintonia una sub holding di Edizione Holding dei Benetton all’8.4% – attualmente la multinazionale spagnola Telefonica possiede il 70% di Telco
3) società immobiliare che nasce dalla fusione tra IACI e Vitruvio (società immobiliare del gruppo Pirelli) sotto il nome di Milano Centrale
4) altri: Malacalza 30.9% Moratti 6.5%, Sanpaolo Fiduciaria 2.9% ecc…
5) di proprietà statale russa opera a livello estrattivo in Kazakhstan, Algeria, Venezuela, Brasile, USA, Canada, UAE, Norvegia, Vietnam e Abcasia e a livello di raffinazione opera anche in Germania, Cina e Italia dove è socio al 21% nella Saras dei Moratti
6) Corriere della Sera, 5 Maggio 2015
Fonti
Sito Pirelli
Wikipedia
Sole24ore
Rapporto Kmpg Italia 2000-2013
Rapporto Kmpg Italia 2014: tabella direzione acquisizioni e principali operazioni