* di Graziano Gullotta,
intervento all’incontro promosso dal Partito Comunista a Torino in onore di Dante Di Nanni
Care compagne e cari compagni,
nell’iniziare il mio intervento vorrei portare, innanzitutto, il saluto del Fronte della Gioventù Comunista a questa iniziativa di riflessione sulla vita, sul ricordo e sulla lezione che ci ha lasciato Dante Di Nanni.
Non è necessario sottolineare il rispetto e il convolgimento che un’organizzazione giovanile e comunista come la nostra ha verso questa figura che spazia nell’immaginario collettivo tra l’eroe e il superuomo: ma cercando di andare oltre alle interpretazioni storiografiche borghesi, evitando di svolgere una ulteriore, anche se sicuramente meritata, ma sterile apologia dell’uomo; ragionando da comunisti, vogliamo chiederci: chi era davvero Dante Di Nanni?
In realtà non esiste molta documentazione storica sulla vita dell’operaio, del partigiano e del comunista Di Nanni. Figlio di immigrati pugliesi, sappiamo che lavorò nella fabbrica torinese Microtecnica, un’azienda specializzata in meccaniche di precisione, e che quindi, condizione mai trascurabile, la sua appartenenza di classe era quanto mai definita. Durante la seconda guerra mondiale si arruola in aeronautica, provando a stringere rapporti con l’organizzazione clandestina comunista già in questo periodo e poi nel momento fatidico dell’8 settembre 1943 quando per sfuggire ai nazisti si rifugiò, come moltissimi altri ragazzi dell’epoca, tra le montagne piemontesi.
Tuttavia, l’aspetto che maggiormente ha segnato l’immaginario sulla sua figura è inevitabilmente il racconto della sua morte all’interno dell’opera di Giovanni Pesce “Senza Tregua”: un gappista, un comunista ma in fondo un giovanissimo ragazzo che, trovatosi solo contro decine di nazisti organizzati, armati e asserragliati sotto la sua abitazione, resiste per lunghissimo tempo e contrattacca, fino al momento culminante del sacrificio finale che lo ha consegnato al mito. Ma la domanda ineludibile che sicuramente in molti prima di me si saranno posti è: cosa rappresenta Dante Di Nanni oggi? Cosa farebbe Dante Di Nanni nella realtà di Torino degli anni 2000? La risposta evidentemente non è affatto semplice e possiamo solo basarci su congetture e ragionamenti.
Partirei dalla constatazione necessaria che la Lotta di Liberazione fu fatta in grandissima parte da giovani. Erano ragazzi tra i 16 e i 20 anni, che animati essenzialmente da un desiderio di libertà dal mostro nazifascista, si lanciarono in un’avventura di cui molto poco erano consapevoli e della quale in tanti non avrebbero visto il “vittorioso” epilogo. Nel documentario prodotto dal Fronte della Gioventù Comunista per celebrare i 70 anni dalla liberazione dal nazifascismo, “Noi sempre lotterem”, emergono in maniera abbastanza evidente alcuni caratteri essenziali che spesso e volentieri vengono oscurati, mascherati e strumentalizzati dalla storiografia e dai media borghesi.
Uno di questi è per l’appunto la scelta di massa di migliaia di giovani che si arruolano nelle file delle formazioni armate resistenziali. Un altro aspetto fondamentale, forse il più fondamentale di tutti, l’aspetto senza il quale con tutta probabilità il moto resistenziale sarebbe stato represso sul nascere o comunque non avrebbe potuto sicuramente vincere, è l’aspetto organizzativo. La semplificazione strumentale borghese secondo cui la Lotta di Liberazione fu una ribellione spontanea atomizzata nella quale gli italiani presi uno ad uno si liberarono della “parentesi” fascista è evidentemente errata e volutamente fuorviante. Senza un’organizzazione ad alto livello, senza la spinta organizzativa data prima di tutti dal Partito Comunista e dalla sua consolidata attività clandestina, senza la stesura e la gestione di reti di Brigate e formazioni partigiane, di sap e di gap in tutto il nord e il centro Italia, e senza il supporto di moltissimi Garibaldini di Spagna, tutto sarebbe stato enormemente più difficile, se non per certi versi impossibile. Un moto spontaneo avrebbe portato ad un disastro inevitabile.
Un illuminante esempio della dialettica organizzativa che intercorreva tra le varie formazioni, a più livelli, è dato dall’esperienza dei GAP, che videro a Torino una delle ambientazioni centrali, con lo stesso Giovanni Pesce che viene definito dal partigiano Mario Fiorentini nel documentario come il più grande partigiano d’Europa. Con Giovanni Pesce a Torino anche Di Nanni come sappiamo fece parte del GAP del capoluogo piemontese. Comprendere bene cosa fossero i GAP, gruppi di azione patriottica, può darci quel tassello in più per costruire una risposta sensata alla domanda che ci siamo posti in partenza e che è al centro di questa iniziativa, ovvero l’attualità di Di Nanni.
I GAP erano una formazione in cui sicuramente si entrava per uno slancio morale, per un desiderio di rivalsa nei confronti di chi ti aveva tolto progressivamente tutto. Nei GAP si era pronti a rischiare la vita da un momento all’altro, seppur spesso servisse ragionare con estrema calma. La stessa vicenda di Dante Di Nanni soggettivizza una serie di caratteri che ricorrono non solo nella Lotta di Liberazione ma direi in tutta la storia delle lotte di classe otto-novecentesche: i GAP erano l’avanguardia nelle città, erano la punta della lancia contro il nemico di classe, per sopravvivere nei GAP serviva una miscela di coscienza e di incoscienza, non farsi spaventare dal rischio o dall’errore; ma erano anche una miscela tra organizzazione centralizzata e autonomia di azione dove ciascun gappista, nelle dovute condizioni, era di necessità autonomo in quanto doveva agire nei nuclei centrali di un sistema repressivo feroce che non permetteva comunicazioni agevoli tra le città e l’organizzazione centrale.
E quando questo sistema repressivo di classe viene smantellato? Cosa accade dopo il 25 aprile 1945? In tutta tranquillità possiamo affermare che gli ideali di liberazione dallo sfruttamento, da ogni sfruttamento, ma soprattutto da quello capitalistico che aveva generato il mostro reazionario fascista in Italia, sono stati ben presto traditi e dimenticati da quelle istituzioni che pur il Partito Comunista e gli altri movimenti della Resistenza avevano contribuito in maniera decisiva a creare.
E i giovani di oggi nell’Italia repubblicana in che condizioni si trovano?
Esistono nell’Italia repubblicana molti più elementi di continuità con il Ventennio che elementi di rottura e man mano che passano i decenni la classe operaia e in generale le classi subalterne se ne rendono conto sulla propria pelle. Nel corso di questi 70 anni di repubblica, infatti, i caratteri di continuità col ventennio fascista e di oppressione di classe, non solo non si sono allentati, ma progressivamente si sono rinnovati e oggi cominciano sul serio a fare paura: da Azzariti all’Italicum, dall’amnistia al jobs act, dalla resistenza tradita alla precarietà a vita. Quelle migliaia di giovani che impegnarono la vita per un futuro diverso e migliore, oggi sono diventati milioni di giovani disoccupati e senza speranza che si ritrovano a vivere in un nuovo sistema di sfruttamento e precarietà.
Cito un brevissimo dialogo tra Di Nanni e Pesce, tratto da “Senza Tregua”:
«Quando sarà finita con i fascisti e i tedeschi, saremo veramente liberi?»
«Saremo liberi di ricominciare a lottare per una vera libertà, che si ha quando ogni uomo ha e vale per quello che è.»
«Sarà difficile ma qualche volta penso che sarà ancora più difficile quando sarà finito. Vorrei vivere per vederlo.»
«È un grande partito il nostro» dice Ivaldi.
«Sì, ed è grande perché ci sono dei giovani come te.”
«Il partito conta molto sui giovani, non è vero?» chiede Di Nanni.
«Molto» risponde Ivaldi.
«Anche per dopo?» mormora quasi tra sé Di Nanni.
«Certamente anche per dopo, quando la guerra sarà finita e ci vorrà tanta forza per rimettere tutto in piedi.»
«Sì, per oggi e per dopo.»
Io penso, cari compagni lasciatemelo dire, che l’eroismo di Dante Di Nanni stia non tanto nella modalità della morte, ma nella coerenza, portata fino alle estreme conseguenze, di una scelta di vita, una strada intrapresa senza alcuna certezza di riuscita, uno slancio morale che lascia perdere ogni tipo di indifferenza a ciò che ci circonda e che ha prodotto tramite egli e tutti gli altri partigiani una via razionale di lotta per la liberazione del Paese.
Oggi ci troviamo nella condizione in cui l’indifferenza e la cultura del disimpegno fanno sì che sia molto difficile per un giovane proletario la scelta di una vita di lotta per la giustizia sociale. Siamo in fondo in una situazione spaventosamente simile a quella in cui si trovarono quei ragazzi. Per questo sono convinto che Dante oggi sarebbe un po’ Marco, un po’ Ivan, un po’ Simon, un po’ Agnese, un po’ Luca, giovanissimi compagni di oggi, così come loro cercano giorno dopo giorno di essere un po’ come Dante.
Perchè questa in sintesi è la lezione della vicenda dei GAP a Torino e in tutta Italia: la capacità di lottare in pochi, separati, braccati dal nemico di classe, ma uniti da un’unica ambizione, uno stesso obiettivo, una sola ragione di vita: CONQUISTARE INSIEME UN MONDO MIGLIORE, UN MONDO DI UOMINI LIBERI, UN MONDO SOCIALISTA.