* di Federica Savino, Responsabile Commissione Donne FGC
Gli anni sessanta e settanta sono stati anni importanti di rivendicazioni lavorative, culturali e sociali. Le lotte studentesche unite a quelle della classe operaia sono state promotrici, in quel periodo, di importanti riforme che hanno modificato in meglio il nostro ordinamento, lo hanno svecchiato da retaggi cattolici, fascisti ed antifemminili. È stato il periodo delle grandi lotte della classe operaia nelle piazze e nelle fabbriche, del cosi detto “autunno caldo” che portarono alla promulgazione delle legge 300 del Maggio del 1970, meglio conosciuto come Statuto dei Lavoratori. Il 1970 è anche l’anno dell’emanazione della legge sul divorzio, uno dei cavalli di battaglia delle tante associazioni femministe che hanno caratterizzato quegli anni. Una legge che è stata acclamata con la vittoria del referendum abrogativo del 1974. La legge 151 del Maggio del 1975 ha introdotto importanti modifiche nel nostro codice civile riformando il diritto di famiglia, riconoscendo giuridicamente la parità tra i coniugi nel matrimonio e nella potestà sui figli. Si perfezionò con l’abolizione del delitto d’onore che è avvenuta però solo nel 1981.
Ma nonostante ciò la nostra società non ha ancora assimilato la parità tra donna e uomo: prova ne sono le violenze domestiche che affliggono molte donne e i femminicidi che non si arrestano, a testimonianza di una cultura diffusa di inferiorità e subordinazione della donna nella società, all’interno delle mura domestiche o in un rapporto di coppia; non possiamo certo dire di aver raggiunto una parità tra uomo e donna sui luoghi di lavoro solo perché qualche donna in più possiede incarichi dirigenziali ed istituzionali. Figlia degli anni settanta è anche la legge 180 del 1978, meglio conosciuta come legge Basaglia, la quale non è stata semplicemente una legge per chiudere i manicomi ma ha voluto essere un cambiamento prospettico della concezione della malattia mentale e degli “istituti totali”. Una legge che sta cercando ancora il suo pieno compimento, che è stata per molto tempo violata dal mantenimento dei “manicomi criminali” ( Ospedali Psichiatrici Giudiziari ) che hanno visto il tramonto, almeno su carta, al 31 Marzo di quest’anno.
Altre ancora furono le iniziative legislative di carattere progressista: infatti a supporto della donna, dell’infanzia e della maternità nel 1975 vengono istituiti i consultori familiari con la legge 405. Importante traguardo di questa lunga stagione di riforme, fu l’emanazione delle legge 194, la celeberrima legge sull’aborto, di cui oggi ne ricorre l’anniversario: fu promulgata infatti il 22 Maggio del 1978. Ma le contestazioni a questa legge da allora non sono mai cessate!
Molte sono state le contraddizione insiste in quei movimenti di protesta protagonisti di quegli anni, che non vogliamo in questa sede indagare, ma la forza della classe operaia unita alle rivendicazioni studentesche e delle associazioni, in particolare dei collettivi delle femministe di quel periodo, hanno portato lo stato borghese a scendere a compromessi ed ad emanare leggi di portata (quasi) rivoluzionaria. Non si può però pensare che questo sia stato sufficiente, queste leggi vanno tutt’oggi difese e rivendicate.
Numerosi sono gli attacchi che vengono da molte parti della società civile, per esempio, nei confronti delle legge sull’aborto; i movimento per la vita e il variegato mondo dell’associazionismo cattolico anche a distanza di anni rivendicano una sua cancellazione. Non molti giorni fa si è svolta a Roma ( precisamente domenica 10 Maggio ) un’ennesima manifestazione pro vita del mondo degli antiabortisti, che oltre a sfoggiare cartelli contro la 194, si sono muniti di slogan offensivi e di macabri feti di plastica distribuiti come gadget. Oltre a queste manifestazioni di dissenso contro la legge, con conseguenze ben peggiori, ne viene costantemente messa in discussione la piena applicazione con il proliferare dei medici obiettori di coscienza nei nostri ospedali e consultori familiari, considerando che questi sono stati istituti per essere un sostegno alla maternità ma anche per essere un luogo di sostegno alla donna per meglio accompagnarla e supportarla nelle sue scelte.
Nonostante l’articolo 9 della 194 preveda che i medici possano dichiararsi obiettori per la sola pratica dell’’aborto, questi la invocano anche per la prescrizione degli anticoncezionali. Addirittura non mancano altre professionalità che si appellano all’obiezione di coscienza: come i farmacisti che si rifiutano di vendere dispositivi anticoncezionali più comunemente usati e quelli di emergenza.
Come si può quindi credere che i consultori familiari possano svolgere completamente e sufficientemente la propria funzione medica e sociale se chi li presenzia è obiettore di coscienza e quindi chiaramente portato ad influenzare le scelte della donna? Come possono questi luoghi essere un punto di riferimento per le giovani adolescenti che hanno bisogno di informazioni e sostegno, quando non vengono neppure prescritti farmaci contraccettivi, perché secondo qualcuno violano la libertà del medico di proclamarsi obiettore?
Si avvilisce così completamente la funzione di prevenzione che dovrebbero svolgere i consultori familiari che diventano semplicemente il ricettacolo dell’associazionismo cattolico che si prodiga, non per la donna e per una sua piena e consapevole scelta, ma in nome di un dogma religioso che viene così imposto una presunta difesa alla vita. La possibilità per un medico di proclamarsi obiettore di coscienza è una grossa crepa in questa legge, un compromesso con il vaticano che sta sempre di più minando le base del nostro Servizio Sanitario Nazionale ( istituito con la legge 833 del 23 dicembre del 1978 ), che rischia di annullare una legge seppur vigente. Sempre di più sono i casi in cui i numeri troppo elevati di medici obiettori impediscono alla donna di accedere all’Interruzione Volontaria di Gravidanza, costringendo così inevitabilmente sempre più donne ad andare alla ricerca da una regione all’altra di una struttura pubblica che possa erogare un servizio che dovrebbe essere accessibile e gratuito. Ma quando se ne hanno le possibilità economiche si ricorre anche a cliniche private, strutture in cui spesso operano quegli stessi medici che si dichiarano obiettori di coscienza in un ospedale pubblico, contribuendo ad ingrassare le tasche della sanità privata.
Quando però la donna non ha la possibilità economiche per accedere all’aborto, il rischio sarà quello che ricorra all’aborto clandestino, che invece la 194 avrebbe dovuto debellare.
L’obiezione di coscienza svilisce la legge sull’aborto e come Fronte della Gioventù Comunista non possiamo che opporci! Nei prossimi giorni saremo impegnati con una compagna in difesa della legge 194 e contro l’obiezione di coscienza.
Il nostro impegno non può che essere costante nel difendere queste leggi, ma sappiamo anche che se vogliamo conquistare tutele e diritti maggiori abbiamo bisogno di organizzarci per portare avanti le nostre lotte: che sono le lotte di tutti i lavoratori e delle loro famiglie, delle classi popolari schiacciate sempre di più sotto il peso della crisi, e che di pari passo devono andare per ottenere finalmente l’effettiva emancipazione della donna, in una società più libera e giusta.