Di Enrico Bilardo
Nelle ultime ore si sono avvicendati vari scambi di battute tra il presidente del consiglio, Matteo Renzi e il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi. L’oggetto della questione, tra due parti che sono solite concordare e collaborare attivamente per la distruzione dei diritti dei lavoratori e per il potenziamento del potere del grande capitale, è stato la possibilità della formazione di un sindacato unico, che riunisse il mondo del lavoro eliminando le varie sigle al momento presenti. Renzi, forte dell'”insolito” appoggio dell’ad della FIAT, Sergio Marchionne, ha affermato la necessità della creazione di una sola organizzazione sindacale , che vada oltre le sigle e che riunisca tutto il mondo del lavoro. La proposta di Renzi nasce dall’annosa questione della non applicazione dell’art 39 della Costituzione e le annesse problematiche, ma tocca apparentemente anche un punto caro ai comunisti da sempre, quello dell’unità della classe lavoratrice in ottica sindacale. Qualche riflessione è bene quindi farla.
Appare subito chiaro come il premier non abbia interesse alla creazione di un’associazione che riunisca tutti i lavoratori all’interno di una logica conflittuale propositiva e non di retroguardia, ma voglia semplicemente eliminare la possibilità che ci sia qualche formazione che vada oltre il modus operandi della CGIL e dei principali sindacati concertativi, ormai caratterizzati da un carrierismo imperante e da una conflittualità sporadica e apparente che spesso ha come massima aspirazione la limitazione dei danni.
Il sindacato appare così svuotato di ogni sua funzione, catalizza gli sforzi, la rabbia dei lavoratori e la sfoga in singole e inefficaci occasioni che si riducono a mere illusioni. Il premier vuole che in mezzo a tale situazione generale non vi possano essere eccezioni, cercando di eliminare il problema, uniformando tutto il mondo sindacale con dinamiche che puzzano di corporativismo. Squinzi invece, insieme alla Camusso, si è detto contrario a una prospettiva simile temendo, probabilmente, che la conseguenza imprevista della proposta renziana, creando un polo unitario dei lavoratori, se riempito di contenuti e rinnovato nelle dinamiche di proposizione e di conflitto, potesse rappresentare una minaccia seria per i grandi industriali.
Non si è, però, limitato a ciò, affermando che continuando a lavorare in una certa maniera i sindacati decadranno, riducendosi a tesserare solo pensionati. Giustamente il leader di Confindustria non può che auspicare che ogni componente conflittuale sparisca, cosicché il sindacato diventi un soggetto di interlocuzione attraverso cui potersi aprire a una contrattazione di tipo nazionale (da lui ben voluta) che ricorda, in maniera inquietante, quella introdotta nel 1927. Dunque i propositi di Squinzi sembrerebbero lontani da quelli di Renzi solo nella forma e non nella sostanza, dando luogo al solito gioco delle parti in cui, a patire i frutti di tale apparente contrasto, sono solo i lavoratori. Differentemente da ciò che pensano Renzi, Squinzi e la Camusso, (probabilmente interessata a difendere la propria specificità, che le consente di mantenere certe dinamiche di carrierismo e di catalizzare il disagio sociale sfogandolo in un nulla di fatto) ad oggi appare estremamente necessaria la formazione di un sindacato o di un polo unitario dei lavoratori ( ben diverso da quello di Renzi) che si faccia davvero interprete e promotore delle istanze di questi ultimi. Serve un referente della classe lavoratrice che agisca in maniera davvero conflittuale e propositiva, senza limitarsi alla contrattazione a ribasso con il governo di turno che ha portato, negli ultimi vent’anni, allo smantellamento più totale dello stato sociale, delle tutele ai lavoratori e alla perdita di moltissime tra le conquiste ottenute nel dopoguerra. Una forza sindacale di questo tipo non può che ripartire dalla matrice di classe. Una connotazione che è oggi largamente presente nelle masse lavoratrici e appare sempre più accentuata, come recentemente riportato da un sondaggio pubblicato da Repubblica, che con un sondaggio ha palesato un impoverimento complessivo della popolazione non indifferente. In un periodo di crisi così profonda, con la polarizzazione del capitale, l’estinzione della classe media e la proletarizzazione delle masse, i lavoratori non possono fare a meno di un sindacato che, rappresentandoli tutti, porti avanti logiche di conquista dei diritti e non di mantenimento delle perdite; un sindacato che si faccia carico del disagio sociale, portato all’estremo da riforme come il jobs act, che ha aumentato la tendenza alla precarizzazione e alla privatizzazione, riportando in auge una certa cultura della lotta sindacale e certe parole d’ordine che, ora più che mai, appaiono fondamentali per mantenere la dignità e i diritti della classe lavoratrice e per cercare di conseguire quella giustizia sociale ormai sempre più denigrata e ignorata.
Ecco perché dunque i comunisti sostengono la necessità della creazione di una organizzazione sindacale di classe, che rompa con il collaborazionismo ed il collateralismo dei sindacati concertativi e rilanci l’organizzazione del conflitto sul terreno della lotta di classe. È di questa organizzazione che oggi i lavoratori hanno bisogno, non delle proposte di Renzi, Squinzi e Camusso.