di Manuele Panella
Il 26 luglio del 1953, un piccolo esercito armato composto da 131 uomini guidati da Fidel Castro assaltava la Caserma Moncada di Cuba, in un tentativo insurrezionale contro il regime di Fulgencio Batista, dittatore cubano salito al potere per volere degli Stati Uniti d’America nel tentativo di tenere Cuba sotto il loro dominio militare ed economico. Tanto ci sarebbe da dire sulle premesse storiche che portarono Cuba a vivere sotto la schiavitù di un regime militare imposto dall’imperialismo e sulle vicende della rivoluzione cubana, ma in questo articolo ci soffermeremo su alcuni nodi chiave per la lettura del più importante evento storico del XX secolo latinoamericano, partendo proprio dall’identità di quello che venne chiamato Movimento 26 Luglio.
Cuba: un Paese in guerra per più di due secoli
La schiavitù e la travagliata lotta del popolo cubano contro l’imperialismo non si limita al periodo della rivoluzione contro il regime di Batista. La rivoluzione socialista cubana trova le sue radici nelle guerre d’indipendenza del XIX secolo contro le catene del colonialismo spagnolo: in occasione di entrambi i conflitti (il primo dal 1868 al 1878, il secondo dal 1895 al 1898) gli Stati Uniti d’America intervennero immediatamente al fianco dell’esercito spagnolo per la repressione del movimento rivoluzionario, fornendo armi e denaro alla Spagna e imprigionando e uccidendo gli esuli cubani. Un aiuto certamente non disinteressato. Nel 1805 il famoso Thomas Jefferson affermò: “il suo possesso [di Cuba ndr] è necessario per assicurare la difesa della Louisiana e della Florida in quanto è la chiave del Golfo del Messico. Per gli Stati Uniti la conquista sarebbe facile”. Nel 1823 John Quincy Adams, all’epoca Segretario di Stato statunitense e futuro presidente USA, affermò: “Cuba, privata con la forza del proprio legame naturalizzato con la Spagna ed incapace di sopravvivere per conto suo, dovrà necessariamente gravitare attorno all’Unione nordamericana e unicamente attorno ad essa”. Dunque, il piano era semplice: aiutare la Spagna ad impedire che a Cuba si instaurasse un governo del popolo libero dall’imperialismo delle altre grandi potenze e, così facendo, inserirsi nei rapporti tra Cuba e il colonialismo spagnolo in modo da prendere il controllo dell’isola per poi arrivare all’annessione. Cuba era necessaria agli USA per esigenze militari, oltre che per esigenze economiche. Il progressivo fallimento dell’esercito spagnolo nel reprimere gli indipendentisti cubani, guidati dal rivoluzionario José Martì, fu l’assist migliore per gli States per intervenire con l’aggressione diretta: il 9 marzo 1898 l’ambasciatore americano Woodford in servizio a Madrid inviò una lettera al presidente William McKinley scrivendo chiaramente che “la sconfitta della Spagna è certa (…) gli Spagnoli sanno che Cuba è persa (…) se gli Stati Uniti vogliono Cuba devono ottenerla conquistandola”. Nell’aprile dello stesso anno, una nave da guerra americana esplose in circostanze misteriose nei pressi della baia dell’Avana, a Cuba, e questo fu il pretesto con cui McKinley chiese al Congresso degli Stati Uniti di autorizzare l’invasione militare. Cuba fu conquistata in soli tre mesi e nel dicembre dello stesso anno gli USA e la Spagna firmarono un trattato di pace a Parigi senza nessuna rappresentanza cubana. A Cuba fu assegnato lo status di repubblica neocoloniale statunitense, con occupazione militare diretta fino al 1902, durante la quale gli USA obbligarono l’isola a inserire nella sua costituzione il cosiddetto emendamento Platt, che proibiva a Cuba di firmare qualsiasi accordo con un paese terzo o di contrarre debiti con altre nazioni, dava diritto agli Stati Uniti di interferire in qualsiasi momento negli affari interni di Cuba e obbligava l’isola ad affittare indefinitamente a Washington la base navale di Guantánamo. Nel 1901, il generale Wood, governatore militare di Cuba, scrisse una lettera al presidente McKinley affermando: “Di sicuro c’è poca o nessuna indipendenza per Cuba sotto l’emendamento Platt e l’unica cosa importante ora è cercare l’annessione”. Per decenni si susseguirono governi-fantoccio sull’isola manovrati dagli USA, con ben 4 interventi militari diretti di quest’ultimi per reprimere i movimenti popolari di liberazione (nel 1906, 1912, 1917 e 1933) finché, per mettere fine al caos nella gestione governativa dell’isola, il generale Fulgencio Batista (ex sergente nella rivoluzione del ’33, fallita proprio a causa del suo tradimento quando passò dalla parte degli USA), orchestrò un colpo di stato militare instaurando la sua dittatura con l’appoggio degli Stati Uniti. Il Movimento 26 Luglio, movimento rivoluzionario per la rivoluzione socialista a Cuba, guidato da Fidel Castro, Ernesto “Che” Guevara e altri valorosi combattenti, prende il nome proprio dall’assalto fallito alla caserma Moncada il 26 luglio del ’53, assalto con cui Castro e i suoi 131 seguaci avrebbero voluto conquistare una delle principali caserme dell’esercito cubano e, da lì, chiamare l’insurrezione in tutto il Paese.
Il Movimento 26 Luglio e la necessità della guerriglia
Una volta fatte le dovute premesse storiche, necessarie per capire la condizione di Cuba all’epoca della rivoluzione, è importante trattare i passaggi che portarono Fidel Castro e gli altri comandanti del Movimento 26 Luglio a scegliere la lotta armata diretta e azioni di guerriglia di un certo profilo come mezzi per rovesciare la dittatura di Batista. Non fu, questa, una scelta priva di aspri dibattiti e di rotture all’interno dello stesso Movimento. Una premessa importante: i rivoluzionari cubani erano coscienti del fatto che le catene dell’imperialismo sotto cui Cuba si trovava erano generate dalle condizioni di sviluppo del capitalismo delle grandi potenze che li dominavano; erano coscienti della natura di lotta di classe della guerriglia rivoluzionaria da essi combattuta. In Due, tre, molti Vietnam Che Guevara dice chiaramente: “Nell’America latina si lotta con le armi alla mano in Guatemala, Venezuela, Bolivia e già spuntano i primi segnali in Brasile. Ci sono altri focolai di resistenza che appaiono e poi si estinguono. Ma quasi tutti i paesi di questo continente sono ormai maturi per una lotta che, per risultare vittoriosa, non può fare a meno di instaurare un governo di tipo socialista”; nella prefazione del libro Il partito marxista-leninista sempre il Che scrive: “l’Esercito ribelle era ormai ideologicamente proletario e pensava in funzione della classe operaia”. La situazione di Cuba, nello specifico, era particolarmente difficile: un Paese in guerra per più di due secoli, sotto una dittatura militare, sfruttata militarmente ed economicamente da una potenza come quella degli Stati Uniti d’America, logorata dalla miseria, dall’analfabetismo, dalla malnutrizione e dalle epidemie. Era impossibile portare avanti una lotta di partito nel senso tradizionale, e il Movimento non poté fare a meno di agire in clandestinità e scegliere la lotta armata diretta per spingere il popolo all’insurrezione e alla liberazione. Nel pieno del processo rivoluzionario, il Movimento 26 luglio era diviso in due tronconi, la fazione detta della “Sierra” (tradotto: della montagna) e quella detta dello “Llano” (tradotto: della pianura). Questi nominativi rispecchiavano le diverse visioni delle due fazioni su come condurre la lotta armata: la prima, alla quale aderivano Castro e il Che, affermava la necessità della lotta armata diretta tramite la guerriglia, sfruttando strategicamente le montagne, cosa che il Movimento fece per tutti gli anni della sua lotta; la seconda sosteneva la necessità di promuovere azioni di lotta armata diffuse in tutto il Paese; entrambe le posizioni vedevano nello sciopero generale di tutti i lavoratori l’insurrezione definitiva contro la dittatura. La posizione della pianura si era motivata nel corso del tempo con la convinzione che il Movimento potesse giungere a un livello di forza e organizzazione tale da fronteggiare le armate regolari del regime. In effetti, fino al 1958 il Movimento vide una escalation clamorosa del suo radicamento e della sua capacità offensiva e di organizzazione. Questo e altri fattori determinarono la chiamata di uno sciopero generale il 9 aprile 1958: fu una disfatta. Nel libro La vittoria strategica Fidel Castro scrive: “Il fallimento dello sciopero generale del 9 aprile costituì un duro colpo per il Movimento clandestino nel piano, che durante le settimane successive si vide obbligato a riorganizzare le sue forze. Dalla Sierra Maestra io spiegai, attraverso Radio Rebelde, le lezioni del fallimento e proclamai il mio ottimismo sulle prospettive della lotta contro la tirannia: ‘Si è persa una battaglia, ma non abbiamo perso la guerra’ (…) Devo segnalare che dentro il Movimento 26 di Luglio, la sua direzione nella clandestinità, non aveva mai considerato lo sviluppo di una forza militare capace di sconfiggere le Forze Armate di Cuba. Era naturale, in quella tappa, che non pochi dei nostri quadri non vedessero nel piccolo esercito una forza capace di vincere l’Esercito di Batista. Lo credevano capace di generare un movimento rivoluzionario nel seno dell’esercito professionista che, unito al 26 di Luglio e sotto la sua direzione, avrebbe fatto cadere Batista aprendo le porte ad una rivoluzione. Noi lottavamo per creare le condizioni per una vera rivoluzione, con la partecipazione, inoltre, dei militari onesti disposti ad incorporarvisi. In qualsiasi circostanza eravamo partitari di creare una forte avanguardia armata”. Il fallimento dello sciopero generale fu dunque la dimostrazione che, nonostante l’obiettivo finale ricercato fosse sempre quello dello sciopero insurrezionale, non vi erano le condizioni per uno scontro diretto attuato in modo sconsiderato, bypassando la necessità di una guerriglia ragionata in modo opportuno. Nei suoi Ricordi della guerra rivoluzionaria il Che scrive: “Si sarebbe seguita la “linea della Sierra”, ossia della lotta armata diretta, estendendola ad altre regioni e dominando in questo modo il paese, per questa via si metteva fine a certe ingenue illusioni di pretesi scioperi generali insurrezionali, mentre la situazione non era maturata abbastanza perché si potesse verificare un’esplosione di questo tipo, e senza che il lavoro precedente avesse assunto le caratteristiche di una preparazione conveniente a un’impresa di tale entità. (…) La pianura assumeva una posizione apparentemente più rivoluzionaria, cioè quella della lotta armata in tutte le città, che sarebbe sboccata in uno sciopero generale che avrebbe rovesciato Batista e permesso la presa del potere in poco tempo. Ma questa posizione era più rivoluzionaria soltanto in apparenza, perché ancora in quell’epoca non si era completato lo sviluppo politico dei compagni del llano (trad. “della pianura” ndr) e i loro concetti di sciopero generale erano troppo angusti”. Non si finisca però nell’errore di pensare che il Movimento fosse staccato dal resto delle masse cubane nel corso della sua guerra condotta sulla Sierra: per i rivoluzionari cubani era prioritario il radicamento di classe fra gli operai. A tal proposito riportiamo un altro passo da La vittoria strategica di Fidel Castro: “(…) mentre si consolidava la nostra guerriglia sulle montagne, avvenne un dinamico processo di riorganizzazione dell’apparato clandestino del Movimento 26 di luglio nelle città e di rafforzamento della sua azione, grazie allo stimolo dell’attività di Frank País, che era, a Santiago di Cuba, il responsabile nazionale dell’azione del Movimento in quel periodo e, di fatto, come suo dirigente clandestino dopo gli arresti di Faustino Pérez e Armando Hart, in marzo e aprile, rispettivamente. In quel lavoro di Frank furono notevoli i suoi risultati nel riorientamento dei gruppi d’azione del Movimento, nell’organizzazione della lotta nel settore operaio e nella strutturazione della resistenza civica. Una delle priorità dell’attività di Frank durante le ultime settimane della sua vita fu l’impulso dato alla sezione operaia del Movimento, che, nel nostro concetto rivoluzionario, quando avvenne l’attacco alla Moncada, doveva essere la stoccata finale contro la tirannia, dopo il sollevamento e la distribuzione di armi nella città di Santiago di Cuba”. In seguito al fallimento dello sciopero del 9 aprile del ‘58, il 3 giugno dello stesso anno fu sciolta la direzione politica della fazione del “Llano” e, da quel momento, il Movimento 26 Luglio avrebbe assunto in tutta pienezza i caratteri di un’organizzazione marxista-leninista: unità ideologica, unità organizzativa, unità nella linea strategica. Fu questa correzione di rotta che portò il Movimento alla vittoria finale, con il rovesciamento della dittatura di Batista, la messa in fuga del dittatore e la presa del potere da parte dei rivoluzionari il 1 gennaio 1959. Nel luglio del 1961 il Movimento 26 luglio si integrò con il Partito Socialista Popolare e con la Direzione Rivoluzionaria 13 Marzo nell’ORI (Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate), che nel ’62 si mutò nel PURSC (Partito Unitario Rivoluzionario Socialista Cubano), il quale a sua volta, nel ’65 divenne il PCC (Partito Comunista Cubano), organismo del potere delle masse popolari cubane il cui compito è guidare la vita politica ed economica dell’isola nella costruzione del socialismo.
Conclusione: l’anima leninista della rivoluzione cubana e gli insegnamenti alle nuove generazioni di comunista
L’impresa della rivoluzione cubana è, ad oggi, vittima di stereotipi, di idealizzazioni, di deviazioni romantiche nella sua lettura storica che ne offuscano il vero significato e la vera portata, oltre ad offuscare i veri insegnamenti che le nuove generazioni di rivoluzionari dovrebbero trarre da quella esperienza. Gli strumenti mediatici della borghesia internazionale sono stati abilissimi nel mitizzare la figura del Che con lo scopo di nascondere il più possibile l’identità politica sua e della rivoluzione per cui ha combattuto. Che Guevara è visto come un rivoluzionario slegato dalla dottrina tradizionale della lotta di classe marxista-leninista; in taluni casi è rivendicato addirittura da certe correnti dell’anarchismo. Nulla di più falso, nulla di più abominevole. L’insegnamento più importante dell’esperienza cubana, il quale incute orrore e terrore presso i poteri capitalistici, è uno: il marxismo-leninismo è un metodo, non un libretto delle istruzioni; la dottrina del Partito è un metodo di organizzazione e di creazione delle avanguardie nell’unità ideologica, politica, strategica, organizzativa, adattandosi però alle condizioni reali del contesto in cui ci si muove. Nel 1965 il Che scrive un articolo sotto forma di lettera in cui spiega l’idea di Partito, articolo pubblicato sul settimanale uruguayano “Marcha” a Montevideo il 12 marzo di quell’anno e in “Verde Olivo” a Cuba il mese dopo; ne riportiamo dei passi emblematici: “(…) Il partito è un’organizzazione d’avanguardia. I lavoratori migliori vengono proposti dai loro compagni per farne parte. E’ minoritario, ma dotato di grande prestigio per la qualità dei suoi quadri. La nostra aspirazione è che il partito sia di massa, quando però le masse avranno raggiunto il livello di sviluppo dell’avanguardia, vale a dire quando saranno state educate per il comunismo. E verso questa formazione va indirizzato il lavoro. Il partito è l’esempio vivente; i suoi quadri devono essere modelli di laboriosità e sacrificio; con la loro azione devono portare le masse al compimento degli obiettivi rivoluzionari e ciò implica anni di dura lotta contro le difficoltà della costruzione, i nemici di classe, le piaghe del passato, l’imperialismo. (…) Vorrei spiegare ora il ruolo che svolge la personalità umana, l’uomo come individuo dirigente delle masse che fanno la storia. E’ la nostra esperienza diretta, non una ricetta. Fidel ha dato alla rivoluzione l’impulso nei primi anni e il tono sempre; ma oggi esiste un buon gruppo di rivoluzionari che si sviluppa all’unisono con il nostro massimo dirigente una gran massa che segue i suoi capi perché ha fiducia in loro; e ha fiducia perché questi dirigenti hanno saputo interpretare le loro aspirazioni. (…) Così marciamo. Alla testa dell’immensa colonna, non ci vergogniamo e non esitiamo a dirlo, c’è Fidel; poi i migliori quadri del partito e subito dopo così vicino che si avverte la sua forza enorme viene il popolo nel suo insieme: una solida struttura di personalità che avanzano verso un fine comune; individui che hanno preso coscienza di ciò che è necessario fare; uomini che lottano per uscire dal regno della necessità ed entrare in quello della libertà”. L’esperienza del fallimento dello sciopero generale del ’58 e della divisione dell’organizzazione convinsero ulteriormente il Che e gli altri rivoluzionari cubani della necessità del partito unico e del pericolo costituito dal frazionismo, dalle divisioni politiche e dalle contraddizioni non risolte in seno al movimento, che nel caso del Movimento 26 Luglio si manifestavano nell’esistenza della corrente del Llano; una divisione nociva, descritta in questo modo dal Che, nella prefazione al libro Il partito marxista-leninista: “(…) L’Esercito ribelle era ormai ideologicamente proletario e pensava in funzione della classe operaia. Il Llano era ancora piccolo – borghese, tra i suoi dirigenti c’erano alcuni che più tardi tradirono, ed era molto condizionato dall’ambiente in cui operava”. Sempre sulla necessità dell’unità politica e ideologica del Partito e dell’allontanamento di qualunque forma di frazionismo giustificato con la cosiddetta “libertà di critica”, il Che si esprime in un certo modo negli Scritti scelti: “A causa della violenza e dell’intransigenza con cui viene difeso ciascun punto di vista, noialtri non possiamo schierarci per l’uno o per l’altro modo in cui si manifestano le divergenze, neppure quando, a volte, ci troviamo d’accordo con alcune posizioni di una o altra parte, o in misura maggiore con una delle due. Nel momento della lotta, il modo in cui si manifestano le attuali divergenze, rappresenta un fattore di debolezza, ma allo stadio in cui esse sono arrivate, cercare di risolverle a parole è un’illusione. La storia via via le cancellerà o ne fornirà l’esatta soluzione”. Infine, sarebbe opportuno spendere due parole per rispondere a quanti affermano che le imprese del Che viaggiando per il terzo mondo, per la creazione di organismi di lotta internazionali, siano la prova del suo rifiuto della forma del partito unico d’avanguardia. Bisogna fare particolare attenzione nel leggere quest’ultima fase della lotta rivoluzionaria di Che Guevara: egli si allontana da Cuba dopo il 1964, anno in cui era già avanzato il revisionismo ad opera di Nikita Chruscev all’interno del Partito Comunista di Unione Sovietica che, essendo ancora un punto di riferimento per tutti gli altri Partiti Comunisti del mondo, finì per influenzarne la linea e le scelte politiche della maggior parte di questi, spingendoli ad abbandonare la linea rivoluzionaria e a scegliere quella del compromesso con le forze capitalistiche. Nel tentativo di lottare contro questa condizione (che spinse il Che anche a criticare aspramente l’operato riformista del PCI italiano di quegli anni), il Che si adoperò nella creazione di organismi di lotta sovranazionali per riaprire il dibattito fra le forze rivoluzionarie di tutto il mondo a proposito della necessità della lotta armata e della rottura totale con l’economica capitalistica e con l’imperialismo da essa generato. Era questo l’obiettivo di organismi internazionali da lui promossi, come la Olas (Organisacion latinoamericana de solidaridad) e la Tricontinentale. Ogni forma di strumentalizzazione di questa esperienza di lotta dell’ultimo Che, strumentalizzazione atta a rifiutare la necessità del Partito, non può non essere considerata uno strumento ideologico dell’opportunismo e del riformismo per frenare la lotta di emancipazione delle masse popolari.
Oggi, in Italia, la gioventù comunista si organizza anche sulla base degli insegnamenti del Movimento 26 Luglio e di quell’impresa immane che fu la rivoluzione socialista cubana. Le forze giovani che in questo Paese tutti i giorni lottano in ogni scuola e in ogni luogo di lavoro fanno della memoria della nostra tradizione uno dei tesori più preziosi per forgiare l’entusiasmo e la convinzione nella rivoluzione, impedendo a qualunque deviazione romantica o falsità storica di far dimenticare qual è lo strumento materiale necessario alla nostra liberazione: il Partito Comunista, vertice inaccessibile al campo nemico, organizzazione solida e unita dei lavoratori, degli studenti, dei contadini, delle masse popolari. Pochi giorni fa, in occasione del decimo congresso della UJC (la gioventù comunista cubana), il Fronte della Gioventù Comunista, tramite il suo segretario nazionale, ha inviato ai suoi compagni cubani un messaggio di cui qui rinnoviamo la conclusione e la promessa: “La gioventù comunista italiana sarà sempre al vostro fianco nelle battaglie per la difesa del socialismo e per la lotta contro l’imperialismo a partire dal rinnovo del nostro impegno per la fine del bloqueo illegale imposto dagli Stati Uniti. Con Cuba socialista sempre!”