Alessandro Mustillo*
…È necessario poi, come dicevo prima che la gioventù comunista, oltre alle campagne politiche specifiche sappia trasmettere un’idea complessiva di alternativa, sia embrione di quella società differente che vogliamo costruire. In un certo senso, compagni, nonostante la nostra insufficienza noi dobbiamo sentirci responsabili della condizione di vita della gioventù. La nostra organizzazione, come insieme di tutti i suoi militanti, non può essere estranea a quanto le giovani generazioni della classe operaia e delle masse popolari sentono quotidianamente sulla propria pelle, alle abitudini, alle loro aspirazioni. Come diceva Gramsci «gli elementi rivoluzionari rappresentano la classe nel suo complesso a patto che rimangano con la massa, ne dividano gli errori e le illusioni.» Questo chiaramente non vuol dire rinunciare al proprio ruolo di avanguardia, anzi, proprio esercitare correttamente quel ruolo, senza meccaniche divisioni, senza ritirarsi in eremi. Essere avanguardia vuol dire indicare una strada a partire da una condizione effettiva, reale, non adagiandosi su di essa, ma condividendone i presupposti e le condizioni di partenza. Stare a contatto con le masse significa questo, e in questo senso se ne condividono errori e illusioni.
La nostra organizzazione è giovane, oltre che per l’età dei suoi aderenti, anche per gli appena tre anni dalla sua fondazione e la condizione che la maggioranza dei nostri militanti e quadri non ha precedenti esperienze politiche, trova la sua formazione nella gioventù comunista. In questo senso la nostra organizzazione parte realmente dalle contraddizioni oggi presenti nella gioventù, e conquista il suo ruolo di avanguardia proprio a partire dal superamento continuo di queste contraddizioni e dalla volontà di dare ad esse una prospettiva rivoluzionaria.
Delineare una strategia generale per la gioventù vuol dire quindi interrogarsi anche su questioni spinose, che però riguardano da vicino i giovani dei quartieri popolari delle nostre città e su cui non possiamo fare finta di niente. Uno di questi temi è certamente la droga. Noi tutti abbiamo visto in questi anni aumentare il consumo di droga, il ritorno dell’eroina nei quartieri di periferia, l’aumento della cocaina e anche l’utilizzo massiccio di droghe sintetiche. Penso che sia venuto il momento di dire con chiarezza cosa pensiamo sulla questione. La droga è uno strumento potentissimo nelle mani del capitale. E noi comunisti siamo contro la droga. Non c’è movimento rivoluzionario sconfitto in questi ultimi decenni, in cui la droga non abbia inciso come fattore preponderante nella vittoria del nemico di classe. Chi può dimenticare il ruolo dell’eroina alla fine degli anni ’70 in Italia? O come negli Stati Uniti i movimenti di rivolta popolare dei neri siano stati spenti con la droga? E poiché non siamo estranei ai vari fatti di cronaca di questi giorni, non siamo estranei alla condizione della gioventù che ben conosciamo, dobbiamo avere il coraggio di combattere la droga. E questo sia chiaro, vale anche per quei fenomeni, come l’alcolismo, che hanno esiti del tutto simili.
Chiaramente apriremo polemiche, lo sappiamo e non ci interessa. Lo abbiamo già fatto con un semplice articolo qualche anno fa su SenzaTregua che alcuni di voi recentemente hanno condiviso su facebook nuovamente. La polemica si aprirà in particolare con la sinistra radicale e con la cultura individualista e libertaria che viene propugnata da tempo in questi ambienti. La questione della libertà individuale dimentica di cogliere il dato sociale, ossia il ruolo storico che la droga ha in questo momento. Quanti sostengono come elemento principale la libertà e l’autodeterminazione individuale dimenticano cosa è davvero la droga per una generazione priva di aspettative e di futuro. Dimenticano di considerare che ogni forma di libertà e autonomia individuale nella società capitalistica è condizionata e indissolubilmente legata alla condizione di classe. Sia chiaro che non accetteremo nessun discorso di equiparazione con i fascisti, di quelli che verranno fatti, perché anche sul tema della droga è la sinistra radicale che ha fatto revisionismo non certo noi. Engels a fine ottocento scriveva sulla condizione della classe operaia in Inghilterra e sul ruolo dell’acquavite, andate a rileggerlo. La Banda Bassotti in una canzone, che riguarda proprio la condizione proletaria, canta “chi ti vuole addormentato l’ero non ti farà mancare”. Il PCI e la FGCI, fino a quando essa ha avuto connotati di classe, hanno sempre lottato contro la droga. Quanti lasciano la lotta alla droga ai fascisti – e dimenticano di dire che poi gli stessi fascisti sono sempre coinvolti nel traffico e nello spaccio di droga nei quartieri popolari – fanno l’ennesimo servizio alle forze reazionarie e al capitale. Quindi anche in questo caso nessun timore per le critiche di una certa sinistra radicale borghese.
La riflessione che dobbiamo fare sulla droga ha la sua base nella funzione sociale della droga. Non è un discorso “salutista” che lasciamo ai medici, né un discorso “moralista” che lasciamo ai preti e ai buoni borghesi, né tantomeno una questione di “repressione” che è la risposta, peraltro parziale, iniqua, insufficiente e classista dello Stato e che di certo non sosteniamo.
La gioventù italiana ha davanti a sé un futuro di disoccupazione. Tutti gli indicatori sociali parlando di una ulteriore polarizzazione economica della società che si rispecchia nella condizione dei giovani. La mancanza di investimenti per il futuro, sullo sport, sulla cultura si sente in particolar modo nelle periferie delle città e nelle aree del mezzogiorno. È una questione di classe, quella che preclude alla maggioranza della gioventù italiana un presente ed un futuro. Quanti ragazzi abbandonano le attività sportive perché non hanno risorse economiche sufficienti? Quanti presidi culturali chiudono nei quartieri periferici perché il patto di stabilità impone i tagli voluti da Bruxelles? In che modo una scuola dequalificata e priva di risorse può ancora dare risposte ai giovani? Ecco dove si misura la funzione sociale della droga, per una gioventù che diviene incapace anche di pensare al proprio divertimento se non attraverso questo vicolo cieco imposto dal capitale. Alcuni studi e inchieste hanno dimostrato poi in questi anni un aumento del consumo di alcune droghe, come la cocaina, come reazione dei lavoratori a ritmi di lavoro sempre più insopportabili che vengono imposti. Mi ricordo una bella inchiesta di Loris Campetti sul Manifesto su questo tema, che se non sbaglio citai anche nel vecchio articolo di SenzaTregua. In questo caso la droga diventa addirittura elemento funzionale all’incremento della produttività e quindi all’estrazione di plusvalore, in ultima istanza un alleato diretto del capitale nello sfruttamento del lavoratore.
Per i giovani poi la droga è il prodotto ultimo della logica capitalistica dell’alienazione e dell’individualismo, in questo senso è nemica stessa di ogni possibilità di presa di coscienza, di volontà di cambiamento reale. È l’ultimo rifugio che viene imposto a chi non ha la capacità non solo di sognare ma di voler costruire un’alternativa allo stato di cose presente. La realtà fa schifo e la droga è l’unica evasione, spacciata a prezzi sempre più bassi nei nostri quartieri. Sarà un caso che il consumo e lo spaccio sono aumentati dopo la crisi economica e che i prezzi sono diventati molto più abbordabili? Non credo, perché sono situazioni già viste. Tutto questo discorso vale ovviamente anche per l’abuso di alcol, che ha effetti paragonabili.
Allora come dicevo prima ci sono due ordini di ragionamenti da fare. Il primo attiene a quella proposta complessiva per la gioventù che dobbiamo dare, il secondo a cosa significa essere militanti comunisti. Sentirsi responsabili di quanto accade ai giovani vuol dire agire di conseguenza e prospettare idee e meccanismi per un cambiamento effettivo. Poiché per noi la soluzione non sta nella criminalizzazione del consumo e poiché conosciamo le ragioni di classe che spingono migliaia di giovani al consumo di droga, la questione di pone in termini di alternativa. Quella proposta complessiva che noi articoliamo è fatta di cultura, di sport popolare, di lavoro in campo musicale, artistico, ricreativo. Anche questo è compito della gioventù comunista, compito che fino ad oggi, per ragioni più impellenti abbiamo in parte sottovalutato.
Sostenere e contribuite a costruire in ogni luogo d’Italia una palestra popolare, una squadra di calcio, un gruppo sportivo; incoraggiare le attività che rendono la cultura, dal cinema, alla musica accessibili a tutti nei quartieri popolari; fare avanzare i progetti musicali alternativi che insieme a compagni che lavorano come artisti militanti stiamo costruendo: ecco, credo che tutto questo sia dare una risposta immediata ed effettiva alla questione della droga e del disagio sociale della gioventù. È chiaro che questa risposta sarà parziale ed insufficiente, ma sarà tanto più forte quanto sapremo legarla con un discorso complessivo di rovesciamento del sistema capitalistico e di lotta per il socialismo. Cosa è in fondo quel sistema che noi chiamiamo socialismo se non un modello di società in cui l’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo porta con sé la possibilità di tutti di vivere una vita dignitosa, di studiare di accedere liberamente alla cultura, allo sport senza ostacoli economici? In questo senso noi costruiamo piccoli embrioni della società che vogliamo realizzare. E penso che le esperienze del campeggio con i compagni della Palestra Popolare di Palermo, con Kento, siano state molto importanti. Questo è il lavoro che noi dobbiamo fare da oggi in avanti, per conquistare alla nostra causa la gioventù proletaria e per dare ad essa una via alternativa.
C’è poi il discorso interno. A proposito di embrioni della nuova società, l’organizzazione è il primo embrione di essa. Fare la rivoluzione, diceva qualcuno in questo senso, vuol dire farla prima di tutto dentro noi stessi. Questa frase di Che Guevara non è certo schematizzabile idealisticamente come fanno in molti senza comprenderne la vera valenza. Vuol dire che per poter fare la rivoluzione bisogna essere prima di tutto rivoluzionari, che alcune delle premesse della nuova società che si va a costruire devono essere presenti nel reparto d’avanguardia che punta a creare un esercito per realizzarle. Inutile quindi dire che l’assunzione di droghe, l’alcolismo diventano fattori incompatibili per una reale militanza rivoluzionaria. Come può un gruppo di ragazzi e ragazze agire come avanguardia se prima di tutto non diviene esempio per i propri compagni di scuola, di università, di lavoro, per i giovani che guardano a noi?
Quanto alla marijuana non voglio eludere la questione, e anche qui è ora che maturiamo una certa consapevolezza, che già in altre organizzazioni con cui intratteniamo fraterni rapporti politici è da tempo maturata. E’ chiaro che gli effetti della marijuana sono diversi da quelli della cocaina o da quelli dell’ecstasy, nessuno lo mette in dubbio. Il ragionamento da fare per i militanti però ha un carattere differente. Non voglio che la questione della marijuana si riduca ad una disputa scientifica sugli effetti, ossia che si scada in un ambito strettamente scientifico. Quindi nessuna questione sull’uso terapeutico, che non ricade in questa discussione e che come ogni sostanza, anche la più velenosa al mondo, se utile è utile e non è di questa verità banale che stiamo a discutere, e su cui, se scientificamente dimostrato, al pari di qualsiasi sostanza, siamo ovviamente d’accordo. Per il resto non voglio dispute su principi attivi e cose simili.
La scienza che interessa ai comunisti è prima di tutto quella sociale. Quanti compagni abbiamo visto abbandonare la militanza perché abusano quotidianamente di cannabis? Se volete inizio l’elenco, e sono sicuro che qualcuno lo conoscete anche voi. Arriva un momento in cui l’assuefazione è tale, il bisogno di procurarsi l’erba primario su tutto, per cui si finisce per non fare più nulla. Possiamo dire allora che anche la marijuana ha un effetto sociale? Possiamo dire che farsi le canne dalla mattina alla sera non giova alla militanza politica? Possiamo dire che quei compagni che non pagano le quote organizzative ma poi spendono ogni settimana venti, trenta euro per comprarsi l’erba non sono dei buoni compagni? Vogliamo dire che il clichè del comunista “fattone” “accannato” “zecca” è deleterio per la capacità dei giovani comunisti di presentarsi come avanguardia nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro? Che l’idea del comunista con i rasta, con la canna in bocca, e la maglietta di Che Guevara, di cui per giunta si ignora il pensiero e le azioni, appartiene ad una visione borghese della contrapposizione tra giovani di sinistra e un fantomatico “sistema” di cui sono pienamente parte, ad una questione tipicamente da scuole agiate in cui una parte della gioventù piccolo borghese gioca a fare la rivoluzione quando ha sedici anni? Chiaramente tutto questo vale anche per l’abuso di alcol sia chiaro. Perché si tratta della stessa questione. Non è farsi una canna il gesto rivoluzionario, ma intraprendere una vita di militanza nella lotta rivoluzionaria.
Fortunatamente i progetti di liberalizzazione faranno perdere alla cannabis quel fattore di “proibito” che tanto confonde e fa credere di fare qualcosa di “rivoluzionario” nel fumarsi una canna. Anche su questo voglio spendere due parole. Ovviamente noi siamo contro la criminalizzazione che i governi, ed in particolare la legge Fini-Giovanardi, hanno fatto in questi anni. Lo siamo perché abbiamo visto i risultati pessimi di questa legge, perché il sistema borghese sa rispondere solo con la criminalizzazione.
Qui si tratta di uscire dalla dicotomia borghese repressione/liberalizzazione, con un livello che oserei definire di cultura proletaria che con le opzioni borghesi non ha nulla a che fare, e che punta a proiettare su un livello superiore la consapevolezza ed il rifiuto della droga. Anche la questione della liberalizzazione poi merita qualche parola. Da un po’ di tempo una direttiva del FMI ha richiesto agli Stati di far emergere pezzi di economia sommersa al fine di garantire il gettito fiscale per gli Stati. Si tratta di misure consigliate in particolare a paesi con alto livello di debito pubblico. Vi stupisce che la questione della liberalizzazione delle droghe leggere spunti oggi? Rientra nel discorso che riguarda anche la prostituzione e altre fonti di possibile tassazione dell’economia sommersa. I vincoli morali del capitalismo si allentano e una serie di attività che prima erano proibite perché ritenute immorali oggi non lo sono più. E questa è la riprova che il nostro discorso sulla droga non ha nulla a che fare con il moralismo borghese, o retaggi religiosi, e non ne è certamente una sua riedizione postuma.
Ripeto la questione non è il binomio borghese tra liberalizzazione e repressione e quindi noi non siamo certo per la repressione – cosa che chiedono a gran voce i fascisti – che finisce per riempire le carceri di ragazzini e di proletari. Però vorrei dire che quanti sostengono a sinistra la misura della liberalizzazione “per togliere alle mafie il traffico della droga” saranno contenti di sapere che i proventi della tassazione della cannabis saranno usati dagli Stati per ripianare gli interessi del debito pubblico. In sostanza dalle mafie alle banche, cioè dalla padella alla brace. Liberiamo del feticcio di caricare la liberalizzazione della marijuana di elementi di valore sotto il profilo dell’utilizzo dei profitti che non esistono.
Un ultima questione. La lotta contro la droga non è e non sarai mai la lotta contro il “drogato” ed in questo mi riallaccio anche al discorso gramsciano con cui ho iniziato questa riflessione. Non lo è innanzitutto perché il nostro ragionamento parte da fattori sociali, di classe, e non individuali. E’ in questo che c’è differenza con fascisti e moralisti, perché noi sappiamo bene che è dovere dei comunisti evitare ai giovani delle masse popolari di finire nella morsa della droga. In questo senso stare nelle contraddizioni, condividere con la classe operaia i propri errori, le sconfitte e le debolezze, come scriveva Gramsci, vuol dire in questo caso operare in quelle realtà giovanili, che sono i nostri gruppi di amici, i nostri compagni di scuola, di università, in cui c’è la droga. Sia ben chiaro, non abbassare le proprie idee al livello, inevitabilmente arretrato che è largamente diffuso, non adeguarsi, non seguire. La capacità di un giovane militante comunista sta proprio non nell’estraniarsi ma nel modificare il contesto, non nell’isolarsi ma nel lavorare per migliorare la condizione della gioventù, nel porsi come esempio di dedizione, di condotta ideale. Elevare sé stessi per elevare le masse. Vuol dire non allontanare i compagni che per sbaglio cadono preda della droga, ma avviare con loro una discussione, far evolvere quella consapevolezza e quella cultura autonoma di cui l’avanguardia del proletariato non può fare a meno. E significa non aver paura di stare nelle contraddizioni che oggi sono presenti nella nostra classe di riferimento, ma di operare a partire da esse per modificare lo stato di cose presente.
Sono sicuro, anche visti i recenti fatti di cronaca, che confermano quanto da tempo sosteniamo, che aprire una discussione serrata sul tema della droga sia oggi non solo importante ma indispensabile. Sono altrettanto sicuro che questa discussione serva anche a sinistra nelle aree a noi vicine, e che con questa discussione la stragrande maggioranza di quei compagni che hanno esperienze di lotta vere, che hanno un’estrazione proletaria capiranno quello che stiamo dicendo….
* Segretario Nazionale del FGC (estratto dalla relazione introduttiva al CC del FGC tenuto a Roccella Jonica il 3 agosto 2015)