* di Daniele Bergamini
In questi giorni l’India è uno degli argomenti più trattati dai mass media borghesi per via della vicenda dei due marò e per i numerosi episodi discriminatori ai danni del mondo femminile. Ciò che ci viene propinato dai media però è solo una visione superficiale del mondo indiano che cela le contraddizioni di classe e i motivi della sussistenza di una mentalità patriarcale nel paese.
La crescita economica a dir poco sorprendente di questo paese ha lasciato nella povertà numerosi proletari, mentre la borghesia espande i suoi affari anche nel mondo occidentale, forte dell’enorme riserva di manodopera a basso costo presente nel paese e delle risorse naturali relativamente abbondanti. I monopoli capitalistici indiani come l’Adyta e la Tata si occupano di numerosi settori economici del paese e ovviamente sono quotati in borsa. In questa fase di scontro interimperialistico tra l’imperialismo occidentale e i BRICS è importante capire le contraddizioni del secondo paese più popolato al mondo che tra l’altro grazie alla sua elevata natalità ospita una delle popolazioni più giovani al mondo. (1)
Le problematiche dei proletari indiani soprattutto a livello giovanile spesso sono poco trattate, tuttalpiù i media borghesi col proprio falso moralismo si limitano a una sterile denuncia del lavoro minorile, ancora molto praticato nel paese nonostante le mobilitazioni dei proletari.
Vecchie e nuove contraddizioni nel subcontinente indiano
La società indiana conosce le più disparate problematiche, alcune scomparse nell’occidente (ma che con la crisi potrebbero ricomparire) o comunque meno presenti nella nostra società.
Sopravvive ancora del tutto il sistema castale, retaggio del feudalesimo che però è congeniale agli interessi particolari della borghesia indiana che per gestire una delle classi operaie più numerose al mondo la deve dividere, e le caste oltre alla religione e talvolta all’etnia sono un fattore che genera divisioni aspre nella società indiana: il Partito Popolare indiano, di cui fa parte il primo ministro Narendra Modi è fortemente legato alla sua identità indù e discrimina le altre confessioni come l’Islam.
Le caste sono state adattate al capitalismo e a seconda della casta di cui un individuo fa parte ottiene più o meno tutele: i dalit noti come “intoccabili” hanno minore accesso al welfare e quindi minori garanzie rispetto ad altri lavoratori per istruzione e tutela del lavoro, in aggiunta ad antiche limitazioni nella vita privata, che finiscono col peggiorare la qualità della vita dei giovani proletari. I bramini sono la casta più elevata e con maggiori diritti e occupano gran parte dei posti più importanti nel governo e nell’amministrazione del paese, anche se non tutti i maggiori imprenditori sono bramini.
La lotta della giovane classe operaia indiana incontra molte difficoltà ma riesce in alcuni contesti del paese a raggiungere un livello avanzato e a incidere nelle contraddizioni di classe del paese. Ancora oggi la questione contadina è molto importante, nel settore agricolo è impiegato un terzo della forza lavoro, in buona parte con un’istruzione scarsa o nulla e le terre sono anche espropriate ai piccoli produttori perché sono prevalentemente situate sopra giacimenti minerari parecchio ambiti dai monopoli del settore estrattivo.
L’aspro contrasto col mondo contadino è alla base della guerriglia maoista delle tribù adivasi che viene repressa con operazioni paramilitari governative, che colpiscono spesso civili e saccheggiano i villaggi. (2)
In 20 anni dall’apertura completa dei mercati e dall’inizio del ciclo di privatizzazioni promosso da governi liberali è cresciuta la presenza di multinazionali occidentali (anche italiane) e giapponesi che hanno approfittato dei costi stracciati della manodopera per accrescere i loro profitti e la borghesia indiana ha notevolmente incrementato il proprio volume d’affari con le privatizzazioni.
Tuttavia la classe operaia indiana non è rimasta passiva e soprattutto negli ultimi anni è riuscita a ingaggiare mobilitazioni e scioperi in cui la partecipazione è molto estesa (3): persino nel settore pubblico, dove gli stipendi sono più alti, è stato costruito uno sciopero contro la privatizzazione della produzione di carbone che ha visto la partecipazione del 95% dei lavoratori di quel settore (4)
Lo scorso 2 settembre addirittura 150 milioni di persone hanno partecipato allo sciopero generale nazionale contro le nuove riforme del lavoro volute dal governo Modi, che se attuate renderebbe più facili i licenziamenti e le chiusure di aziende in fallimento. Sciopero che è stato sostenuto dalle forze internazionali di classe come la FSM con queste parole: “Negli ultimi anni l’India ha incontrato una grande crescita finanziaria. E’ membro del BRICS, possiede un arsenale nucleare e un programma spaziale. Ma questo boom finanziario non è un vantaggio per la maggioranza del miliardo di persone che vivono in India. I grattacieli sono costruiti accanto alle baraccopoli. L’estrema ricchezza si raccoglie accanto alle persone che muoiono di fame. Mentre i ricchi diventano più ricchi, i poveri sono ancora una volta le vittime. La crescita dell’economia capitalista è sempre basata sulla spirale dello sfruttamento della classe operaia. Oggi che l’India e le sue forze politiche borghesi sono orgogliosi della forza economica e militare della nazione indiana, la stragrande maggioranza della popolazione vive la contraddizione della pauperizzazione.” (5)
Il prezzo della lotta è alto a causa della repressione perpetrata dal governo che non lesina arresti, percosse e torture ai danni di chi protesta. Tutto questo è accompagnato da uno dei più elevati tassi di analfabetismo, più del 20 per cento della popolazione non sa leggere e scrivere, ed è difficoltoso per le famiglie indigenti mandare i figli a scuola, soprattutto nelle campagne dove hanno maggiore bisogno dell’aiuto dei figli per andare avanti.
Il governo indiano pur mantenendo un’istruzione pubblica delegata agli stati che compongono la federazione spende solo il 3,2% del PIL (l’Italia spende poco più del 4%) mentre un paese socialista come Cuba sfiora il 15%: osservando questi dati si capisce come mai l’India soffre tassi elevati di analfabetismo. La scarsa spesa in rapporto al PIL, nonostante esso sia elevato indica gli scarsi sforzi del governo soprattutto per una popolazione così grande e giovane mentre molti imprenditori e membri delle caste più elevate mandano i figli a studiare nelle più costose università occidentali.
Un’altra contraddizione lampante è la disoccupazione giovanile che arriva al 10,7%, sicuramente molto inferiore a quella italiana ma ovviamente sempre in rapporto a un proletariato molto più numeroso e una diversa fase di sviluppo capitalistico.
Questi dati dimostrano che i proletari nel mondo capitalista hanno gli stessi problemi per quanto si possano manifestare con intensità e modalità differenti.
I capitalisti indiani nel mercato europeo.
L’aumento dell’esportazione di capitali da parte dei monopoli indiani è un fenomeno recente, in relazione alla crescita economica elevata che pone l’India in competizione con gli imperialismi occidentali.
In Europa gli investimenti indiani sono cresciuti moltissimo negli ultimi anni e riguardano in larga parte software, prodotti finanziari e industria farmaceutica ma anche in parte minore il settore metallurgico. (6) I maggiori gruppi monopolistici indiani investono soprattutto in Inghilterra, dove la TATA (uno dei più grandi monopoli indiani) ha acquistato addirittura il marchio Jaguar, famoso per le macchine sportive, e alcune aziende del settore siderurgico.
Anche in Europa i capitalisti indiani devono affrontare il problema della lotta di classe, in quanto gli scioperi si verificano anche nelle aziende indiane che sfruttano i lavoratori in eguale misura rispetto ai monopoli e multinazionali occidentali.
In Italia la presenza economica indiana è meno nota di quella americana, giapponese, sudcoreana o cinese ma è comunque una realtà in crescita: ad esempio nel 2013 la TATA ha acquistato azioni della Piaggio Aero, la divisione aeronautica dell’azienda produttrice di ciclomotori e altre aziende si sono inserite in vari settori del paese.
Le borghesie dei paesi emergenti investono in Europa perché sono interessate a una manodopera specializzata e a marchi di prestigio o comunque molto noti nei nostri paesi, ed anche perché altre aziende producendo in madrepatria possono vendere in occidente a prezzi stracciati le loro merci, riuscendo a reggere la concorrenza con i monopoli occidentali. L’immissione di merci a basso costo è tipica dell’imperialismo e serve per conquistare mercati nuovi insieme all’esportazione di capitali.
In Europa dove la disoccupazione è elevata, soprattutto quella giovanile che è molto maggiore alla disoccupazione classica si ha un esercito industriale di riserva maggiore rispetto a quello dei paesi emergenti, e anche se il costo della manodopera europea è maggiore, l’erosione dei diritti sociali avvallata dalle borghesie occidentali oltre che a aumentare i profitti delle aziende locali è un fattore che incoraggia gli investimenti esteri.
La risposta che va data allo sfruttamento è quella della lotta di classe, indipendentemente dalla provenienza del padrone bisogna lottare perché i mezzi di produzione e il potere siano nelle mani della classe operaia!
NOTE
1 Repubblica: rapporto sullo stato della popolazione nel mondo 2014: http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2014/11/18/news/aidos-100853043/
2 Resistenze: La sinistra in India, la rivoluzione Naxalita: http://www.resistenze.org/sito/te/po/ia/poia8l17-003875.html
3 Lettera 43 Maxi-sciopero in India, 100 mln in piazza (febbraio 2013): http://www.lettera43.it/cronaca/maxi-sciopero-in-india-100-mln-in-piazza_4367584553.htm
4 Resistenze: In India, mezzo milione di minatori sono scesi in sciopero contro la privatizzazione del carbone (gennaio 2015): http://www.resistenze.org/sito/te/po/ia/poiafa18-015650.html
5 Comunicato della Federazione Sindacale Mondiale (WFTU nella sigla inglese): http://www.wftucentral.org/wftu-support-to-the-national-general-strike-in-india-on-september-2nd-2015/
6 La voce.info:Strategie europee delle multinazionali di Cina e India http://www.lavoce.info/archives/19776/multinazionali-cinesi-indiane-dati-ide/