È già pronto il decreto legge che limiterà il diritto di sciopero e di assemblea per tutti i lavoratori dei musei, che vengono equiparati a servizi pubblici essenziali. Il casus belli è l’assemblea dei lavoratori del Colosseo (e di altri musei romani) che quest’oggi ha provocato disagi ai turisti, con conseguente presa di posizione del governo e delle istituzioni cittadine. Un coro unanime di condanna e sdegno «uno schiaffo all’Italia» e così via dicendo.
Peccato nessuno dica che l’assemblea era stata regolarmente annunciata e che i lavoratori di motivi per indirla ne avevano e come. Da diversi mesi non vengono pagati turni e straordinari per quei servizi di apertura oltre orario e nei festivi, tanto voluti dal governo. Nonostante il contratto sia scaduto ancora nessun tavolo è stato convocato al Ministero, nonostante la Corte Costituzionale abbia dichiarato illegittimo il conseguente blocco dei salari. Insomma i lavoratori non hanno chiesto un’assemblea per fare un giorno di vacanza a danno dei turisti, come sembra farci credere il governo, ma per precise richieste più che legittime. Se un lavoratore non viene pagato è legittimo che il sindacato indica un’assemblea e uno sciopero? Quale strumento si potrà più utilizzare per chiedere il rinnovo del contratto, che spetta di diritto ai lavoratori, di fronte ad istituzioni inadempienti, perché strozzate dai vincoli del bilancio? Chi uccide l’immagine della cultura e dell’arte in Italia, i lavoratori, o la UE che impone tagli e un governo che li esegue?
Chiaramente di tutta questa riflessione non c’è traccia, e il governo si appresta a risolvere la situazione limitando i diritti dei lavoratori dei musei con un semplice richiamo alla legge sui servizi pubblici essenziali. L’ennesima prova di come in questi anni ogni attacco a singole categorie di lavoratori, sia inserito in una pianificazione generale. Prima si dividono i lavoratori, poi all’occorrenza si applicano le situazioni più vantaggiose ottenute in determinate categorie anche alle altre. Riprova di come solo l’unità di classe e la consapevolezza che un attacco apparentemente diversificato è un attacco comune, potrà consentire una seria risposta da parte dei lavoratori.
Non appare un caso poi che il clamore mediatico avvenga proprio mentre una proposta bipartisan firmata niente di meno che da Ichino (PD) e Sacconi (AP), i due principali attori delle riforme sul lavoro degli ultimi anni. La proposta prevede che la proclamazione dello sciopero possa essere effettuata da parte di sindacati che hanno nel settore un grado di rappresentatività superiore al 50%. Se non si raggiunge questa soglia, è necessario un referendum preventivo obbligatorio tra i lavoratori, a condizione che le sigle che indicono il referendum abbiano nel settore oltre il 20% di rappresentatività, e che vi sia il voto favorevole del 30% dei lavoratori interessati. Nulla di più e meno di quanto il governo conservatore di Cameron si appresta a far votare in Gran Bretagna con l’opposizione dei sindacati e della nuova direzione del Partito Laburista. Una riforma che renderebbe praticamente impossibile la convocazione di scioperi nel settore dei trasporti, già fortemente limitata, e soggetta a continue precettazioni, come il caso recente di Roma conferma. I trasporti sono da sempre apripista nella legislazione antiscioperi, costituendo il centro di quei servizi essenziali che tendono poi a dilatarsi a dismisura, fino a comprendere anche i lavoratori dei musei.
Insomma ancora una volta dietro il clamore mediatico si cela un disegno articolato di un governo che sta eseguendo alla lettera le richieste padronali. L’obiettivo è restringere il diritto di sciopero, mettere in ginocchio i sindacati di lotta, in questa fase di reflusso del movimento operaio, minoritari. A chiudere il quadro la costatazione che a fare tutto questo è un governo di centrosinistra, a testimonianza di come oggi il Partito Democratico sia il principale nemico dei lavoratori.