Le Borse brindano alla riapertura per la vittoria di Tsipras in Grecia e già questo è un segnale del significato reale dei risultati delle elezioni elleniche. Il governo Tsipras che ha sottoscritto il memorandum con la Troika esce interamente confermato nella sua composizione, senza che sia al momento necessario ricorrere ad alleanze con altri partiti al di fuori dei nazionalisti di ANEL. La continuazione del governo è la migliore assicurazione per il capitale europeo del fatto che la Grecia manterrà gli impegni assunti. Non è necessario fare analisi accurate su voti e percentuali dal momento che si tratta di una fotocopia dello scorso voto, con la differenza di un’affluenza più bassa che fa perdere a tutti i partiti una parte dei voti, in modo particolare ai due principali partiti. Si rafforza il sostanziale bipartitismo che proprio Syriza aveva rotto, ma che di fatto aveva portato ad una sostituzione del Pasok con la sinistra radicale greca.
Tsipras ha fatto una mossa abile: convocare elezioni anticipate prima che il popolo greco potesse realmente provare sulla propria pelle l’effetto del memorandum approvato nei mesi scorsi. È un dato di fatto: il peso del trasformismo di Syriza non è ancora stato ancora ealmente pagato in termini reali dal popolo greco. Si percepisce un cambio, se vogliamo anche l’umiliazione, una disaffezione, che l’aumento dell’astensionismo configura, ma non una reale presa di coscienza. E’ ancora possibile illudersi su una “fase 2” del governo, oppure finire per ritenere che non esiste una valida alternativa al governo si Syriza e alla sua prospettiva. Un risultato quindi che finisce per certificare una condizione apparentemente stabile, con poche differenze con le elezioni di pochi mesi fa. Se è vero come diceva Engels che le elezioni sono «la misura della maturità della classe operaia» la situazione greca certifica senza dubbio una condizione di arretratezza nella coscienza delle masse popolari. Una condizione che non è certamente solo greca.
Ma è bene rovesciare l’ottica di questo ragionamento. Il problema è porsi l’obiettivo di una forza politica che lavori autenticamente per l’emancipazione delle classi subalterne. Allora si comprenderà che oggi Syriza vince perché accetta di fare quello che in Italia fa Renzi, in Francia Hollande. Accetta di prendere il posto della socialdemocrazia, nel migliore dei casi, o di una qualsiasi forza che lega la sua azione di governo ai limiti imposti dalla UE. L’arretratezza della coscienza popolare consegna a Tsipras le chiavi della vittoria, al pari di quanto accede in Italia con il PD. Ma ad un prezzo enorme. Perché un partito della sinistra radicale europea accetta di divenire forza di gestione dell’esistente, quindi del potere del capitale. Accetta di essere una forza che si limita a certificare una condizione di arretratezza e non a svolgere un lavoro di trasformazione e cambiamento. Tanto più è una forza di sinistra radicale a compiere questa funzione, tanto più duro è modificare realmente quello stato di arretratezza. In definitiva si sta da una parte o dall’altra della barricata, e chi sta in mezzo finisce per divenire la barricata. Una forza come Syriza ha da tempo accettato l’idea che non esistono condizioni rivoluzionarie. Si è quindi fatta portatrice di quella visione gradualista, che da sempre è la teoria più utile al mantenimento del potere del capitale e alla subalternità politica delle masse. Il gradualismo viene sconfitto nei fatti, ma lascia un terreno colmo di illusioni e successive disillusioni.
In questo senso, anche se può apparire paradossale, il Partito Comunista di Grecia era costretto a giocare a queste elezioni una battaglia di resistenza e non di attacco. Nei confronti di Tsipras, del voto utile certamente, ma anche e soprattutto verso un’operazione, quella della costruzione di “Unità Popolare” che dicendo di attaccare Syriza, in realtà presentandosi come opposizione di sinistra finiva proprio per danneggiare il KKE [1]. Ha vinto in questa battaglia il radicamento nei settori popolari, nella classe operaia, tra la gioventù che rendono il KKE un partito differente, che ha superato anche questa difficoltà. Come ha scritto Koutsoumpas «da domani, ci deve essere un KKE forte ovunque, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nei quartieri popolari, nei luoghi in cui batte realmente il cuore della nostra lotta e del nostro popolo messo a dura prova.»
Oggi il KKE è l’unica opposizione a sinistra del governo Tsipras. Questo dovrebbe spingere a comprendere quanti in questi mesi hanno tentennato o proposto strane varianti ad appoggiare chiaramente il KKE e le sue organizzazioni di massa. Se è possibile conquistare un futuro diverso per la Grecia, sconfiggere la Troika e il potere del capitale, questa opzione non può fare a meno del KKE. Per quanto esistano difficoltà sul dato elettorale, nessuno può negare il grande radicamento di quel partito, né assoggettarne la funzione a logiche di carattere elettoralistico. La forza del KKE si è misurata in questi mesi nell’opposizione nei luoghi di lavoro, nelle mobilitazioni del PAME, nel lavoro tra i giovani. Questa è la vera forza del KKE, questo rapporto di organicità, seppure in una condizione di oggettiva minoranza oggi, che consente di superare anche quei momenti in cui ogni altro partito continentale sarebbe scomparso nel nulla, falcidiato dal peso dei media e da elementi transitori. Questo elemento costituisce non solo la base per ogni forma di difesa ma la premessa per il contrattacco. Il KKE ha lottato nella società greca e così continuerà anche in questi mesi, in cui i risultati della politica di Tsipras cominceranno ad arrivare diretti sulle spalle di un popolo già messo a dura prova da questi anni di gestione disastrosa, seguendo quegli stessi diktat a cui oggi la sinistra radicale greca di Tsipras da attuazione.
Certo è che per raggiungere quella maturità e quella coscienza nelle masse popolari non basta la lotta strenua che conduce il KKE, serve un contributo reale da parte dei partiti comunisti europei nei rispettivi paesi. Perché un serio avanzamento dei rapporti di forza in Grecia non è separabile e pensabile, senza una condizione di sviluppo della lotta politica dei Partiti Comunisti in tutto il continente. Questo livello di coscienza non è un feticcio, o uno schema astratto e mentale. E’ la consapevolezza che solo un rovesciamento dei rapporti di produzione, unito alla completa presa del potere politico nelle mani della classe operaia e la liberazione dall’imperialismo, Senza di questo è inutile pensare che possa accadere un cambiamento reale dei rapporti di forza. E per raggiungerlo è necessario che la classe operaia greca e di tutto il continente europeo veda crescere questa realtà, la valuti come proposta politica concreta, attuale e realizzabile. Compito che spetta anche a noi.
[1] avevamo avuto modo di parlarne qui con questa breve analisi: https://www.senzatregua.it/?p=2340