All’indomani delle elezioni parlamentari in Grecia, sono tanti gli spunti di riflessione che emergono dall’analisi di questa vicenda di estrema attualità politica. Aspetti primari e secondari che si ripercuotono imprescindibilmente sulle riflessioni teoriche e sulle azioni pratiche che ci attendono da qui ai prossimi mesi o anni. Uno dei dati principali che risaltano ad una attenta analisi è il fatto che i comunisti di Grecia (KKE) sostanzialmente reggano ad una situazione di attacco prolungato da parte dell’opportunismo di governo delle nuove forze socialdemocratiche che oggettivamente si pongono l’orizzonte della gestione del capitale in crisi e non del suo abbattimento e superamento. Il KKE regge, quindi, tra i lavoratori e tra gli studenti che già si identificavano in quella scelta politica. Perché? Naturalmente è una domanda molto semplice che richiede una risposta ed una attenzione di elevata complessità. (vedi articolo del 21 settembre www.senzatregua.it/?p=2412). Semplificando potremmo però dire che il KKE regge a livello elettorale e di immaginario proprio perché non fa del livello elettorale il suo piano principale di lotta, riducendo il tutto ad un gioco di percentuali all’interno dello stesso sistema. Le continue lotte, gli scioperi dei lavoratori sotto le insegne del PAME, le avanzate studentesche, sono di certo i pilastri di questo risultato.
Cosa può insegnarci questa vicenda riguardo al complesso processo di ricostruzione della proposta comunista in Italia? A che punto è la costruzione, o la ricostruzione, di questi “pilastri”? È evidente che nel panorama comunista italiano, se da qualche anno, grazie alle iniziative costanti del FGC, tra gli studenti si iniziano ad avere risultati dignitosi, a livello di radicamento e diffusione della teoria e della pratica di lotta nelle fabbriche (soprattutto) e in generale nei luoghi di lavoro si trovano difficoltà che paiono insormontabili. Nel dibattito pubblicistico che riguarda i temi del lavoro, del movimento operaio e del declino del movimento comunista nei due decenni a cavallo del 2000, viene evidenziata spesso la radice del problema nella perdita di coscienza di classe nel proletariato italiano. Non solo per quanto riguarda evidentemente l’aspetto della “coscienza per sè”, ovvero della consapevolezza del proprio ruolo nella società e della conseguente organizzazione in Partito di classe. Ma anche riferendosi alla “coscienza in sè”, ovvero alla oggettiva, anche se incompresa, posizione di comunanza di interessi e di opposizione alla classe borghese padronale: tutta la retorica sulla fine della fabbrica come luogo di produzione centrale del nostro tempo, nella quale gli operai in massa sviluppavano una coscienza di classe, una coscienza politica.
Ricostruire la coscienza di classe, soprattutto lì dove la classe operaia vive, nelle fabbriche, è ancora oggi un ingrediente fondamentale per dare una speranza di riscossa alle masse popolari, dare uno spazio di crescita teorica e pratica ai quadri di partito, attingere direttamente nella propria classe di riferimento per la formazione di nuovi quadri e per la crescita generale dell’organizzazione. Rimanere legati alla realtà quotidiana, riuscire a spiegarla con mezzi teorici e sviluppare la teoria attraverso la militanza, sono doti che un quadro comunista deve imparare a possedere appieno. Per questo motivo è fondamentale partire dall’esperienza diretta, dalle relazioni con i colleghi di lavoro, dall’analisi della realtà della singola situazione e, in primo luogo, dalla costruzione di legami di fiducia personale tra i lavoratori.
L’esperienza lavorativa personale mi porta a sostenere la tesi secondo la quale per sviluppare una coscienza di classe occorra partire dagli elementi di consapevolezza presenti, anche se pochi e circoscritti a una porzione delle maestranze. Questi piccoli elementi di consapevolezza vanno ricercati, analizzati e verificati come campi di lotta nell’ottica di un avanzamento dell’organizzazione sotto forma di nuovi iscritti, simpatizzanti o nella diffusione di certe idee tra gli operai della fabbrica. L’elemento di consapevolezza che emerge in maniera preponderante dalle discussioni è l’estrema precarietà della situazione lavorativa: contratti che vanno da pochi giorni ad un mese; lavoratori dipendenti da 7-8 anni con contratti a scadenza mensile; l’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di finanziamento; il dover convivere con una condizione spietata di incertezza alla quale apparentemente non si può sfuggire. La coscienza di subire un’ingiustizia sotto l’aspetto del contratto di lavoro è un sentimento diffuso e omogeneo: deve essere questo un sentimento su cui lavorare. L’interesse immediato, ovvero l’aspetto economico, il salario, declinato nelle sue caratteristiche di quantità e qualità, è quindi ancora una volta il grimaldello con il quale scardinare l’apatia di massa, il senso di essere vittima predestinata, l’individualismo ridotto a solitudine estrema, il rigetto ad ogni tipo di autorganizzazione di classe.
Quando si parla di tipo di contratto o di quantità di salario l’attenzione degli operai è estrema, la sensazione di subire un’ingiustizia è chiara e si nota anche una certa predisposizione “sedata” alla rivolta. La distanza dalla partecipazione diretta politica o sindacale sembra spiegabile più con la necessità di mantenere il posto di lavoro e mettersi al riparo da eventuali ritorsioni rispetto ad altri fattori esterni come il cosiddetto clima di antipolitica e la perdita di fiducia nelle organizzazioni di sinistra, peraltro a ragione visto il degrado degli ultimi decenni. Questo ci insegna che la lotta ideale deve partire dalla lotta materiale e non viceversa.
L’umiliazione continua, la rassegnazione al veder amputata la propria vita a partire dal potersi permettere di progettare una vita familiare, la possibilità di avere dei figli da poter mantenere, la possibilità economica stessa di garantir loro, ad esempio, un’istruzione superiore, sono i racconti frequenti a cui ho assistito personalmente. È innegabile che questa sia la realtà dalla quale un’organizzazione comunista, rappresentanza dell’avanguardia della classe operaia, deve partire: e la gioventù comunista, con la sua tendenza naturale ad essere avanguardia, deve dare più di tutti in questo lavoro.
*l’autore è un giovane operaio iscritto al FGC