*di Lorenzo Soli
Un paio di settimane fa si è tenuto nella città felsinea un evento che ha riempito i titoli dei mass media nazionali, ovvero il raduno capeggiato dalla Lega Nord, a cui si sono uniti Forza Italia e Fratelli d’Italia, e le conseguenti proteste dei vari movimenti studenteschi, dei collettivi facenti capo alla vasta galassia dell’antagonismo, oltre a svariate organizzazioni politiche che hanno sfruttato l’occasione per darsi visibilità elettorale. Cogliamo l’occasione per analizzare alcune dinamiche e inquadrare correttamente il contesto che non è certamente solo locale.
La Lega, che fino a poco tempo fa diceva “mai più con Berlusconi”, ha occupato Piazza Maggiore con una dimostrazione volta a far leva sull’insoddisfazione di vasti strati della popolazione e ad inaugurare un periodo di collaborazione tra queste forze politiche. Non c’è bisogno di dire quale vergogna sia stato tutto ciò per una città medaglia d’oro della Resistenza: cori razzisti, saluti romani, inneggi al fascismo, sono stati la norma. Ma inquadrare l’evento in maniera più dettagliata è necessario se si vuole comprendere effettivamente le dinamiche intrinseche di questa situazione ed esporre in maniera critica i fatti di cronaca avvenuti e l’impostazione generale che i vari movimenti hanno assunto in questo caso specifico, ma che assumono più in generale in ogni ramo della loro attività e che sono parte integrante della situazione di confusione e disorganizzazione in seno alla gioventù e agli strati proletari.
Innanzitutto nessuna analisi può prescindere dalla comprensione dello scenario di crisi organica che l’Italia sta attraversando. Una situazione che è l’espressione diretta delle profonde contraddizioni dell’economia: distruzione di forze produttive e di posti di lavoro con una disoccupazione generale alle stelle (per non parlare di quella giovanile che in alcune regioni del Sud supera il 55%), proletarizzazione del ceto medio schiacciato dal continuo processo di concentrazione di risorse e capitali da parte dei grandi monopoli, assenza di diritti, sfruttamento indiscriminato con l’aumento degli orari di lavoro, abbassamento dei salari, precarietà generalizzata. Tutto ciò non poteva non avere riflessi nel campo politico, che si è tradotto in una generale sfiducia nei partiti che hanno rappresentato in questi anni il sistema di potere. Basti vedere i livelli di astensionismo raggiunti. Le classi dominanti molto semplicemente non riescono più con forza (e già da un po’ di tempo) a generare un consenso dinnanzi ai loro progetti, il che produce cambiamenti repentini dei consensi alle varie formazioni politiche e spingono vasti strati di lavoratori, in Italia e non solo, ad appoggiarsi a quelle che, dalla facile demagogia, incanalano il dissenso su vuoti lidi.
L’esempio di Tsipras in Grecia è già stato ampiamente trattato in questo senso e così vanno intesi i vari movimenti di opposizione che si sono sviluppati negli ultimi anni, come per esempio Podemos in Spagna. Dall’altro vi sono le formazioni reazionarie, che cavalcano l’onda dell’insoddisfazione di porzioni rilevanti della popolazione, come per esempio il ceto medio di cui abbiamo appena parlato, oppure quella cosiddetta “aristocrazia operaia” che intende mantenere la propria condizione privilegiata a fronte di una situazione assolutamente instabile dal punto di vista del mercato del lavoro e della crescente precarizzazione. L’avanzata di queste forze, oltre a quelle esplicitamente neofasciste, si inserisce in un ampio scacchiere che vede la “sinistra” complice in tutto e per tutto.
Perché una tale situazione? Uno dei nodi centrali e che qui preme far notare è certamente quello europeo. L’Unione Europea, costituita dopo un processo pluri-decennale di integrazione dei mercati delle nazioni del continente che nulla aveva a che fare con la pace tra i popoli e che aveva una precisa funzione anti-sovietica, ha rappresentato negli ultimi decenni lo strumento essenziale per l’implementazione delle misure che hanno significato solo il paradiso per il capitale monopolistico ed un inferno per le classi lavoratrici, con la distruzione sistematica, in un processo più che ventennale, di tutte le conquiste sociali ottenute dal movimento operaio e studentesco dal dopoguerra in poi. In questo contesto si è venuta a creare una situazione di conflitto interno alla borghesia stessa, che per il resto ha sempre dato un appoggio incondizionato al progetto europeista. Una parte di essa ha visto, in special modo dalla crisi economica, ridurre il proprio peso. Questo in quanto, storicamente, il capitalismo italiano è stato fondato su due macro-componenti: la grande borghesia che detiene il controllo delle industrie principali, dei canali di distribuzione delle merci, dei monopoli in poche parole, e un vasto sistema di piccole e medie imprese. Entrambi questi sistemi hanno avuto il sostegno dello Stato e si fondavano sul cambio monetario favorevole della lira, che incentivava l’esportazione. L’euro e i vincoli europei hanno definitivamente fatto tramontare quel modello, in luogo dell’internazionalizzazione del capitalismo italiano nello scenario della competizione globale con la formazione del blocco imperialistico europeo dove si va pienamente integrando la grande borghesia italiana.
Il primo istinto degli strati della piccola e media borghesia è dunque quello del “sovranismo”, del “ritorno” impossibile ad una situazione precedente che assume caratteri pienamente nazionalistici. Ciò ha creato anche le condizioni per una sistematica penetrazione di forze neofasciste negli strati popolari, con una nuova vulgata che ha avuto effetti non trascurabili sul piano nazionale.
La Lega Nord, in tutto ciò, ha compiuto quel processo che l’ha portata a diventare partito nazionale mettendosi alla testa del sentimento antieuropeista in contrapposizione al PD, la più grande formazione europeista in Italia ed espressione più conseguente di Confindustria e della grande borghesia. Facendo la spola tra i movimenti apertamente neofascisti e le vecchie formazioni di centrodestra con cui era alleato, nella Lega convergono gli interessi, le frustrazioni, l’intolleranza e l’ignoranza di quegli italiani che sono cresciuti sotto il mito dell’imprenditoria, della famiglia borghese, della cristianità, della guerra ai nemici interni ed esterni dello Stato: i dirigenti del PD diventano quindi dei comunisti e l’Unione Europea una nuova URSS! Come paragonare il bianco al nero in buona sostanza, utilizzando una tecnica comunicativa volta ad ingannare le masse con l’obiettivo di inquadrarle attraverso questa simbologia nel proprio campo politico.
Eppure grazie anche ad un livello di disinformazione ai massimi livelli, un analfabetismo non solo politico decisamente allarmante, questo messaggio viene preso per vero da buona parte dell’opinione pubblica.
E qui si passa a considerare l’altro aspetto fondamentale di questo discorso, quello del fallimento e l’opportunismo di tutte le forze di “sinistra”. Un discorso sulla Lega e basta o, peggio ancora, su Salvini e basta, è un errore imperdonabile. Costui peraltro fino a due anni fa era un perfetto sconosciuto, è solo un politico che trae il proprio consenso pompato dai media. Salvini serve perché alla fine dei conti non rappresenta una opposizione reale per gli interessi che rappresenta (quelli del capitale italiano), ma un’opposizione mediatica per così dire “populista”, meno cosmopolita; e in secondo luogo per la sua azione di divisione dei lavoratori e di scatenamento di una guerra tra poveri che semplicemente facilita le condizioni del governo nella sua azione nefasta come espressione diretta dei dettami di UE, BCE e FMI, e che rendono velleitarie ogni tipo di pretesa indipendentista all’interno di questo meccanismo. Non è infatti un caso né una dimenticanza che dalla Lega non provenga mai una parola contro l’altro conglomerato imperialista di cui fa parte l’Italia, ossia l’alleanza militare atlantica, la NATO, che è pienamente conseguenziale all’UE stessa, così come non ha mai fatto mancare il suo supporto alle guerre imperialiste; il continuo tentativo inoltre di ottenere il sostegno degli organi repressivi è parte integrante del processo che vuol forgiare un “blocco sociale” in chiave reazionaria come base sociale dell’operazione di ricomposizione politica/elettorale del campo tradizionale del “centro-destra” attraverso l’”uomo nuovo” Salvini ponendosi come “alternativa” nella gestione del sistema di sfruttamento capitalistico.
Ecco perché per noi è importante ribadire sempre che solo la rottura con l’UE, la NATO e con i rapporti di produzione capitalistici in generale possono essere la soluzione per i popoli europei e del mondo, così da aprire la strada verso il socialismo. Ogni pretesa riformistica, di un’“altra Europa”, è semplicemente impossibile e lo si è visto chiaramente. I movimenti e i partiti della sinistra cosiddetta radical chic non hanno praticamente alcuna visione delle dinamiche che si sono e che si stanno susseguendo violentemente in questa congiuntura storica, oltre ad incarnare l’opportunismo più viscerale: si sta parlando in particolare di SEL e di Rifondazione Comunista, presenti in piazza e che mentre si oppongono a Salvini, nei comuni e nelle amministrazioni locali strizzano l’occhio e si accordano o fanno le liste con il PD che del problema è parte integrante.
Per esempio c’è la questione dell’immigrazione: la presa di posizione di questi gruppi ma anche di altre formazioni come vari collettivi, si fonda su una visione umanitaria/assistenzialista nell’accoglienza illimitata dei “migranti”, che vede nella globalizzazione un processo positivo di integrazione culturale senza indagare sulle cause reali del problema. Gli slogan pervenutici del tipo “Bologna è meticcia” oppure “Siamo tutti profughi” sono simbolici in questo senso, e paradossalmente facilitano il lavoro alla Lega perchè intimoriscono il lavoratore medio italiano che nei quartieri degradati di periferia o nella sua pulita casa di paese trova più immediato il collegamente tra lo straniero (e dal colore della pelle diverso dal suo) e la sua insicurezza sociale, fatta di precarietà, disoccupazione e un senso di povertà sempre più reale.
L’immigrazione, come già più volte sottolineato, è la conseguenza dell’imperialismo ed essa, come parte integrante del sistema capitalistico in sé, occorre anche per facilitare l’abbattimento dei diritti sociali innescando una competizione al ribasso tra i lavoratori. Non si può parlare di migranti, ma di immigrati (come avevamo già trattato in questo articolo), che vengono per via delle guerre provocate dalle competizioni imperialistiche, dal saccheggio delle risorse da parte delle multinazionali, dalla desertificazione in aumento, dalla cronica situazione di povertà, e che costituiscono un immenso bacino di manodopera di riserva dai costi irrisori, pronta all’occorrenza. L’internazionalismo proletario è una cosa ben diversa. Dare il proprio sostegno agli immigrati significa organizzarli insieme al proletariato autoctono per affermare che il nemico non è chi è più sfruttato ma i padroni di ogni risma che campano e speculano sulle sciagure del proletariato; che fintanto l’esistenza dell’imperialismo nessuna risoluzione del problema sarà mai possibile.
Ma ciò che è successo l’8 novembre, ciò che si è potuto notare, con buona pace di chi ha gridato alla vittoria, è la constatazione di una sconfitta generale e su più fronti.
La mancanza di una strategia unitaria e di una linea politica coerente ha portato innanzitutto alla creazione di più cortei in varie zone cittadine, sintomo già questo di una situazione di frammentarietà. La mancanza di obiettivi specifici che andassero oltre lo scontro di piazza fine a se stesso e che poi è andato a ritorcersi sul piano mediatico è un altro esempio. Oppure non lo scontro di piazza ma una marcia “pacifica” contro il razzismo della Lega, sostenute da quelle forze e da quei partiti opportunisti che sono parte integrante del problema.
Noi non siamo pacifisti, non condanniamo l’”uso della violenza” in sé per un giusto obiettivo e non ci accodiamo quindi alle visioni che criminalizzano anche il minimo scontro di piazza. Ma anche in questo caso esse si inquadrano nel generale processo che innalza il livello della repressione, di divieti e ostacoli per ogni forma di protesta e manifestazione: la questione è come sempre quella di creare una situazione in cui la propria azione non si fermi semplicemente all’evento del giorno così come del resto succede quando si contesta la riforma di turno, o il disegno di legge che si discute in Parlamento, ma essa diventi azione cosciente di classe che influisce sulle condizioni generali della lotta e diventi dunque storica, accumulando forze e capacità di consenso sociale e organizzazione.
Per questo è necessario mettere da parte il buonismo e l’antifascismo di facciata, così come del resto il ribellismo a sé stante, che si esaurisce in breve tempo senza aver concluso alcunché.
Il proletariato, nel suo processo di sviluppo storico, ha bisogno delle sue strutture, che permettano la conduzione e il buon esito della lotta, dunque il Partito comunista, elemento inscindibile dalla prospettiva del cambiamento in senso socialista della società e che noi stiamo contribuendo a ricostruire a partire dalla gioventù, che più di tutti soffre questa situazione oggettivamente disastrosa, anche dal punto di vista politico-ideologico. Il radicamento di classe, l’eliminazione del minoratismo, la rottura con le forze opportuniste e revisioniste, sono elementi necessari per ogni qualsivoglia vittoria. L’assenza di questi elementi sul piano politico, sociale, culturale, ha portato alla disillusione dei lavoratori, alla crescita della reazione nei quartieri e negli strati del giovane proletariato, con i padroni che impongono il loro volere e che si apprestano a dare il colpo di grazia ai pochi diritti ormai rimasti come quello di sciopero, che, in nome della modernità e della sicurezza nazionale, già viene negato.