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Un “mi piace” non basta: i social network e l’impegno politico della gioventù

La pagina Facebook nazionale del Fronte della Gioventù Comunista supera i 10.000 “mi piace” a meno di quattro anni dalla sua creazione e dalla fondazione dell’organizzazione stessa. Un traguardo certamente simbolico, ma che segna una netta crescita della capacità della gioventù comunista di diffondere la propria azione di agitazione, propaganda, informazione e cultura, come riflesso della sua crescita organizzativa, maturazione politica e dell’aumento della presenza reale e del suo radicamento nei luoghi di studio e di lavoro in tutto il Paese. Cogliamo questa occasione per fare un ulteriore breve riflessione sui social network e sul ruolo che questi strumenti hanno nella vita della gioventù delle classi lavoratrici e nel quadro delle sue lotte.

La diffusone dell’uso dei social network tra i giovani, e in generale nella società, è un fenomeno ormai talmente evidente che le statistiche non stupiscono più nessuno. In Italia ci sono 28 milioni di utenti di social media1, di cui il 36% ha età inferiore ai 30 anni2. Un giovane su tre è costantemente connesso o si collega non appena riceve una notifica, mentre soltanto 37,1% dichiara di trascorrere sui social meno di un’ora al giorno. Facebook si conferma anche quest’anno il social network più usato, seguito da Google+, Twitter e Instagram in crescita. Secondo un recente sondaggio3, inoltre, il 91% dei giovani in Italia utilizza i social almeno una volta a settimana anche per cercare notizie ed informarsi, l’87% più volte a settimana e ben il 65% vi ricorre tutti i giorni. I social network rappresentano ormai il mezzo con il quale i giovani entrano in contatto con il mondo dell’informazione in assoluto superiore a tutti gli altri e in netta crescita, a scapito di TG, quotidiani e riviste.

I social, quindi, non sono più soltanto un mezzo per stabilire un contatto con altre persone, ma anche un tramite sempre più privilegiato dai giovani per informarsi, accedere a notizie di attualità, documentarsi e coltivare i propri interessi. Molti studi sono infatti concordi sul fatto che, sebbene aumenti il tempo trascorso sui social network (necessariamente sottratto allo sport, alle attività culturali, artistiche e aggregative), l’utilizzo che viene fatto di questi strumenti mostra comunque un interesse da parte dei giovani verso lo sport, la cultura, i temi d’attualità e la ricerca di un confronto e di una condivisione di questi interessi con i propri coetanei. Tutto questo avviene molto spesso a fronte dell’impossibilità di realizzare queste cose nella vita reale: l’accesso alla pratica dello sport, alle attività culturali, artistiche e ricreative, a tutto ciò che concorre al pieno sviluppo della persona, nella società capitalistica è sempre più asservito alle logiche del profitto privato e ostacolato da barriere di natura economica e di classe, in particolar modo nelle periferie popolari e nelle regioni più economicamente depresse del nostro Paese. Questa condizione e la prospettiva di futuro fatto di incertezza, precarietà, disoccupazione e assenza di diritti, spingono sempre di più noi giovani delle classi lavoratrici alla passività, alla rassegnazione e alla ricerca di un surrogato virtuale di tutto ciò che nella vita reale ci è impossibile realizzare. Complessivamente, ne risulta una sempre più forte tendenza alla creazione di una vera e propria vita virtuale, fatta di passioni e rapporti interpersonali altrettanto virtuali; un atteggiamento che è espressione di angosce e frustrazioni che sono innanzitutto di natura sociale e, soltanto di conseguenza, di natura psicologica.

All’interno di questa situazione, nel pieno di una profonda crisi del sistema capitalistico che rende più evidente che mai la sua incapacità di offrirci nient’altro che un futuro di sfruttamento, guerre e povertà, Internet 2.0 e i social network si sono rivelati un potentissimo strumento nelle mani della classe dominante per conservare e rafforzare la propria egemonia culturale ed ideologica e, in definitiva, per evitare che la crisi di consenso sfociasse in forme di lotta organizzata. Ciascuno di noi, specialmente i più giovani, isolato e messo di fronte alla complessità del mondo e dei processi che avvengono attorno a noi e determinano la nostra condizione, si sente smarrito ed impotente. L’insoddisfazione, l’angoscia e la rabbia sociale cercano necessariamente uno sfogo, che viene facilmente incanalato e diretto attraverso i social network grazie alla loro principale caratteristica: il fatto che l’utente non abbia più il ruolo tecnicamente passivo di lettore, telespettatore, ascoltatore – come accadeva nei mass media “tradizionali” – ma che al contrario sia chiamato a creare dei contenuti e ad esprimersi, produce non solo l’illusione della possibilità di informarsi e di formare la propria coscienza liberamente, ma anche quella di partecipare attivamente ai processi sociali in atto. Al contrario, come abbiamo già analizzato in un precedente articolo, a queste forme di partecipazione soltanto apparente corrisponde molto spesso, nella vita reale, il rifiuto di ogni presa di posizione, di ogni coinvolgimento in un’azione collettiva e organizzata. L’individualismo e la passività ne risultano ulteriormente accentuati, e quanto più si massificano questi fenomeni, tanto più si diffonde la visione unica della classe dominante e si rafforza la sua capacità di costruire la coscienza collettiva conseguentemente ai propri interessi.

Allo stesso modo, si diffonde il fenomeno della cosiddetta “cybermilitanza”: molti giovani, magari proprio attraverso i social network, si avvicinano alle idee di lotta del movimento operaio e comunista, ma restano imbrigliati nelle dinamiche proprie di questi strumenti e finiscono per costruire un proprio ruolo “militante” sulla base prevalentemente o esclusivamente dei contenuti creati e condivisi sui social. Sono sempre pronti a dare sostegno virtuale alle lotte e cimentarsi in discussioni politiche anche molto accese, ricavandone appagamento ma senza porsi minimamente lo scopo di maturare una capacità reale di incidere sulla condizione degli studenti della propria scuola, degli operai nella propria fabbrica, dei lavoratori nel proprio luogo di lavoro, dei giovani nel proprio quartiere. Questo fenomeno costituisce anch’esso, al pari di quelli analizzati finora, una forma di depotenziamento dello spirito combattivo della gioventù proletaria, un modo per evitare che le idee di lotta della nostra classe prendano vita nella solida realtà delle nostre azioni quotidiane, nella concretezza del nostro agire coscienti e organizzati per la trasformazione rivoluzionaria della società.

Detto ciò, non siamo certamente dell’opinione che i social network siano soltanto dannosi o inutili. Al contrario, riteniamo indispensabile in questa fase per la gioventù comunista farne un uso propriamente militante, e cioè a sostegno della lotta reale che costruiamo nelle scuole, nelle università, nei quartieri popolari e nei luoghi di lavoro. Sfruttare i social come strumenti di agitazione e propaganda ci consente di arrivare ad una vastissima quantità di studenti e giovani lavoratori, di mostrare loro che esiste una parte della gioventù che, nel mondo reale, lotta per un futuro migliore. Ci aiuta ad intercettare quella larga parte dei giovani proletari che ancora non riescono ad essere coinvolti direttamente dalla nostra azione. Ci consente di diffondere una diversa visione del mondo, una diversa chiave di lettura della realtà che ci circonda, conseguente agli interessi della nostra classe sociale e non a quelli dei padroni. Ci consente di rompere l’isolamento, combattere l’individualismo e la rassegnazione mostrando alla gioventù che uniti ed organizzati possiamo davvero costruire le basi per conquistare il nostro avvenire. Ci aiuta a dimostrargli che con l’entusiasmo e l’organizzazione, attraverso la musica, l’arte e lo sport, possiamo costruire un’alternativa reale al degrado e all’isolamento in cui il sistema capitalistico getta la gioventù proletaria.

Ai 10.000, in gran parte giovani, che su Facebook seguono e sostengono la nostra attività quotidiana, rivolgiamo il nostro appassionato appello a fare il passo decisivo, a rompere la propria passività e unirsi a noi, prestando tutto il proprio impegno, tutta la propria intelligenza e tutto il proprio entusiasmo ad organizzare la lotta rivoluzionaria per un futuro migliore. Un “mi piace” non basta: le idee e le lotte non vivono senza organizzazione.

Note
___________________________________
1_Ovvero la grande famiglia di tutte le piattaforme e strumenti informatici che, dai blog ai social network, permettono pubblicazione, condivisione e accesso a contenuti e informazioni.

2_Fonte dati: “Digital in 2016”, studio a cura di We are Social. http://www.slideshare.net/wearesocialsg/digital-in-2016

3_Fonte dati: “Giovani e informazione 2015” a cura dell’istituto GfK Eurisko

 

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