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Se la lotta di classe la vincono le borghesie

* di Francesco Meschino

Viviamo in un sistema in cui il destino di miliardi di persone viene deciso e gestito in ragione dell’avidità e dell’ingordigia di un pugno di uomini,le elite economiche globali,che sfruttano le loro enormi ricchezze per piegare le istituzioni “democratiche” al proprio volere,a spese della stragrande maggioranza. La polarizzazione delle ricchezze e l’esplosione delle disuguaglianze sociali sono diventati ormai fenomeni costanti in tutti i paesi,da quelli sviluppati a quelli in via di sviluppo. Si tratta di un fenomeno dalle dimensioni mastodontiche,una colossale rapina condotta ai danni delle classi lavoratrici. I dati che andremo ad analizzare aiuteranno a comprendere meglio la situazione.

Secondo il recente rapporto di ricerca dall’eloquente titolo “Working for the Few” (1),diffuso da Oxfam,gli 85 miliardari più ricchi del pianeta posseggono l’equivalente della ricchezza detenuta da metà della popolazione mondiale,mentre 805 milioni di persone ancora soffrono la fame. Circa metà della ricchezza globale si concentra nelle mani dell’1% della popolazione. Il reddito dell’1% dei più ricchi del mondo corrisponde a circa 110.000 miliardi di dollari,ovvero 65 volte quanto posseduto dalla metà della popolazione più povera,ed ha aumentato la propria quota in 24 dei 26 paesi con dati analizzabili tra 1980 e 2012. Inoltre 7 persone su 10 vivono in paesi che,negli ultimi 30 anni,hanno visto aumentare le proprie disuguaglianze interne. Oltretutto,in 29 dei 30 paesi analizzati,a partire dal 1970 la tassazione per i più ricchi è diminuita: non solo guadagnano di più,ma pagano anche meno tasse. Le grandi aziende e i ricchi poi nascondono al fisco in una rete di paradisi offshore migliaia di miliardi di dollari (si stima circa 21.000 miliardi). In India,a fronte di un sistema di prelievo fiscale fortemente iniquo e regressivo,negli ultimi dieci anni il numero di miliardari è aumentato di dieci volte. Negli Stati Uniti,dopo la crisi del 2008,l’1% più ricco ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione,mentre il 90% della popolazione si impoveriva. In Europa le devastanti politiche di austerità sono state interamente pagate dalle classi lavoratrici,e il conto a quanto pare non è stato ancora saldato,mentre le banche,i mercati finanziari e i ricchi speculatori hanno beneficiato dei salvataggi statali. Persino in Africa sub-sahariana,a fronte di 358 milioni di persone in stato di povertà estrema,16 miliardari vivono e prosperano nel lusso più sfrenato. Secondo l’OCSE inoltre nei trentaquattro paesi membri le disuguaglianze non smettono di espandersi,tanto che dal 2007 al 2011,il 40% più povero della popolazione ha perso il 40% del reddito,mentre l’1% più ricco ne ha guadagnato il 51% (2). Assistiamo in definitiva ad una gigantesca e globale redistribuzione del reddito a favore delle classi più agiate,a scapito di quelle più povere,e il divario tra i due estremi tende ad essere sempre più ampio. Il ceto medio,un tempo propulsore della crescita economica,si sta disgregando e polverizzando,e tende ad un generale impoverimento.

L’Italia non fa eccezione. Secondo i dati resi noti dall’OCSE (3) l’1% più benestante del nostro paese detiene il 14.3% della ricchezza,ovvero il triplo rispetto al 40% della popolazione più povera. La ricchezza nazionale è poi distribuita in modo fortemente iniquo,scaglionata marcatamente verso l’alto,a ricalcare una vera e propria struttura piramidale: il 20% più ricco detiene il 61.6% della ricchezza,il 20% immediatamente più in basso ne possiede il 20.9%,il restante 60% deve spartirsi il 17.4% rimanente (di cui appena lo 0.4% va nelle mani del 20% più povero). Ovviamente la povertà colpisce maggiormente i lavoratori precari,e in effetti una delle cause dell’esplosione delle disuguaglianze è proprio la progressiva diffusione della flessibilità nel mercato del lavoro. A completare il quadro vi sono poi le informazioni fornite dal Censis (4). Come da dinamica globale,la forbice tra ricchi e poveri tende ad aumentare con il tempo: mediamente il patrimonio di un dirigente è pari a 5.6 volte quello di un operaio,mentre vent’anni fa era di tre volte. E come è facile intuire il conto della crisi viene pagato principalmente dalle classi lavoratrici: rispetto a dodici anni fa,i redditi degli operai sono diminuiti del 17.9%,quelli degli impiegati del 12%,quelli degli imprenditori del 3.7%,quelli dei dirigenti sono aumentati dell’1.5%. La disuguaglianza poi è distribuita geograficamente,in quanto il rischio di finire in povertà per i residenti del Sud è il triplo rispetto agli abitanti del Nord,il doppio rispetto a quelli del Centro.

Le condizioni delle classi lavoratrici globali vengono poi messe in luce dal World Employment and Social Outlook del 2015 (5),diffuso dall’ILO (International Labour Organization). Colpisce un aspetto della dinamica occupazionale,ovvero che i tre quarti dei lavoratori hanno contratti temporanei o a breve termine,oppure lavorano senza contratto,in particolare nei circuiti informali. Tuttavia,specificatamente tra i lavoratori dipendenti,meno della metà (il 42%) ha un contratto a tempo indeterminato. In tutti i paesi con dati disponibili,che secondo l’organizzazione coprono la stragrande maggioranza della manodopera mondiale,tra 2009 e 2013,i posti a tempo parziale sono aumentati più di quelli a tempo pieno. Sul mercato del lavoro si assiste dunque ad una progressiva e generalizzata diffusione della flessibilità e dell’insicurezza. Si evidenzia poi come in Europa,a partire dal 2008,la riduzione della protezione del lavoro (ovvero dei diritti dei lavoratori) sia stata particolarmente marcata. Dalle parole di Guy Rider,direttore generale dell’ILO: « Lo spostamento che osserviamo del rapporto di lavoro tradizionale verso forme atipiche di occupazione è, in molti casi, associato ad un aumento delle disuguaglianze e della povertà in diversi paesi » . A livello globale,la crescita dell’occupazione ha subito uno stallo a partire dal 2011,rimanendo ferma all’1.4% annuo. In Europa e nei paesi avanzati la crescita dell’occupazione è rimasta ferma,a partire dal 2008,allo 0.1% annuo,rispetto allo 0.9% del periodo 2000-2007. Dunque la bassa crescita occupazionale combinata ad una diminuzione dei salari,tendenza generalizzata a livello globale ormai da lungo tempo,ha comportato perdite salariali pari a 1.218 miliardi di dollari in tutto il mondo. In Europa e nelle economie avanzate in particolare,nel 2013,la massa salariale aggregata ha perso 485 miliardi di dollari.

In definitiva,alla base della gigantesca esplosione delle disuguaglianze sociali,anche secondo l’ILO,vi è la crescita lenta dell’occupazione,la diffusione della precarietà e la progressiva destrutturazione dei diritti dei lavoratori (dunque meno tutele e meno stabilità),la diminuzione o nei casi migliori lo stallo dei salari. Resta da capire che cosa vi sia all’origine di tali fenomeni. La liberalizzazione del mercato del lavoro e l’attacco frontale ai diritti dei lavoratori,cosi come la crescita delle disuguaglianze,iniziano ben prima dello scoppio della grande crisi del 2008,in quanto dopo tale evento assistiamo al massimo ad un rafforzamento di tale tendenza. Il punto di origine va cercato almeno una quarantina di anni fa,quando,di fronte a saggi di profitto via via declinanti i processi di accumulazione si incepparono. La via che il capitale scelse per tentare di recuperare,per tentare di aumentare la produttività,tosto che investire massicciamente nel capitale costante (dunque innovazioni e sviluppo tecnologico in macchinari e processi produttivi),fu l’assalto alle condizioni lavorative,l’aumento dello sfruttamento,la diminuzione dei salari e delle tutele: processi tutt’ora in corso. Non che la prima strada non sia stata intrapresa,ma la svalorizzazione della forza lavoro era e continua ad essere la più veloce e la più facile,la prima cui si ci rivolge in tempi di magra,anche se non risulta poi risolutiva (in effetti,diminuendo i salari diminuisce la domanda,e maggiore precarietà corrisponde generalmente a minore produttività). L’attacco non si esaurisce solo a diritti,tutele e salari,ma comprende anche tutte le protezioni per cosi dire “indirette”,ovvero sanità,pensioni,l’insieme di servizi e prestazioni sociali che vanno a formare il welfare state finanziato dalla spesa pubblica,oggetto ormai da tempo di pesantissimi tagli e restrizioni (basti pensare alle devastanti politiche di austerity e al pareggio di bilancio attuati in Europa). Il tutto si inserisce nel più grande contesto di deregolamentazione di ogni settore economico,sviluppo del commercio globale e dell’esportazione di capitale,crescita ipertrofica e completamente slegata da ogni base reale della finanza.

La società è composta da gruppi distinti,classi,ognuna con i propri interessi,che risultano essere contrapposti e inconciliabili. Proprio tali contrapposizioni determinano la costante presenza del conflitto,ciò che definiamo generalmente “lotta di classe”. E tale lotta non ha ovviamente carattere univoco,in quanto non sono solo i lavoratori,gli sfruttati,gli oppressi,a condurla per tentare di migliorare la propria condizione. Negli ultimi decenni sono state sopratutto le borghesie,coloro che detengono terre,risorse,mezzi di produzione e capitali,a sferrare devastanti offensive per fortificare la propria posizione,per acquisire ancora più ricchezza e potere. Tutto questo sia attraverso metodi indiretti,ovvero con le pressioni sui governi che si spacciano beffardamente per “democratici” per l’approvazione di leggi per loro favorevoli (normale che chi possiede grandi risorse riesca facilmente a piegare le pubbliche istituzioni ai propri interessi),senza disdegnare la violenza diretta e la repressione armata,dirottando poi la rabbia degli oppressi verso altri gruppi di sfruttati. Ciò è stato possibile grazie all’arretramento delle posizione delle classi lavoratrici,seguito al disgregamento dei partiti comunisti che hanno abbracciato l’opportunismo e abbandato un qualsiasi progetto rivoluzionario; ma anche l’abbandono del basilare antagonismo di classe da parte dei sindacati,ormai arroccati su inutili posizioni concertative. Quindi,mentre i lavoratori sono ormai incapaci di prendere l’iniziativa,deboli,disarmati e privi di qualsiasi difesa reale,la lotta di classe la stanno vincendo le borghesie. Il primo passo per il ribaltamento di questa situazione,tutt’ora possibile e fattibile,sarebbe la ripresa della lotta dei lavoratori quanto meno per difendere ciò che è ancora difendibile,per limitare danni prodotti dall’assalto del capitale e per il miglioramento immediato delle proprie condizioni all’interno della struttura economica vigente. Un primo passo non sufficiente ma quanto mai necessario per la ricostituzione di una vera coscienza di classe,per lo sviluppo di una rinnovata consapevolezza di dover condurre una battaglia generale e sistematica nella prospettiva di un rovesciamento degli attuali rapporti di forza,non di una loro ristrutturazione,e di un superamento dell’attuale insostenibile sistema,non di una sua impossibile riforma. Percorso che dovrà essere necessariamente guidato e sostenuto dal Partito comunista, avanguardia di classe, che anche come gioventù comunista vogliamo contribuire a costruire.

______________

Note:

1) http://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2014/01/bp-working-for-few-political-capture-economic-inequality-200114-embargo-en.pdf

2) Il Manifesto, 22-05-’15

3) http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/21/disuguaglianze-ocse-italia-l1-piu-benestante-ha-143-della-ricchezza/1704768/

4) http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=120955

5) http://www.ilo.org/rome/risorse-informative/per-la-stampa/comunicati-stampa/WCMS_368981/lang–it/index.htm

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