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Un passato da onorare, un futuro da conquistare

*di Alessandro Fiorucci

Ormai più di settant’anni sono passati da quel 25 Aprile del ’45. E con lo scorrere del tempo quella storia è stata vilipesa, deformata o riposta in soffitta. Questa è la nostra storia, e non è per pura retorica o per culto della memoria che ci sentiamo in dovere di parlarne.

Anzitutto quella storia è stata stravolta da un lato dipingendola come solo “moto spontaneo” e dall’altro come lotta di un’élite di irreprensibili militanti. Svuotando di significato l’intima connessione tra partiti e masse lavoratrici si nega di fatto l’apporto decisivo di queste ultime. I due elementi procedettero di pari passo e la “Resistenza armata non sorse spontaneamente, né per incanto”. “checché ne dicano i poeti, i retori, i visionari della “spontaneità” ci vollero dei mesi. Ci volle altresì la partecipazione alla resistenza della gioventù che oltre allo slancio generoso e all’ardimento, che la caratterizzava…” , come scrive Pietro Secchia nella sua “La Resistenza accusa”.

Negli anni il ruolo dei comunisti all’interno della guerra di liberazione è stato via via ridimensionato, stravolgendo con qualsiasi mezzo le vicende storiche. A questo proposito sempre le parole di Pietro Secchia pronunciate nel ’54 risultano interessanti: “Vogliamo non siano falsate le condizioni effettive in cui si è sviluppata la Resistenza in Italia come fatto politico, militare e sociale, vogliamo si sappia – e nessuna mistificazione potrà mutare la realtà storica – quali furono le forze motrici della Resistenza e quali invece forze che, pur partecipando ai Comitati di Liberazione Nazionale, facevano da remora e praticamente agirono per limitare la guerra di Liberazione nazionale e per impedire o fare fallire l’insurrezione nazionale..” Basta solamente sfogliare un libro di storia di qualsiasi scuola superiore per cogliere questo elemento: il revisionismo storico anche sotto quest’aspetto è una realtà evidente, che fornendo una versione errata dei fatti, ha come conseguenza diretta (e obiettivo) quella di legittimare questo sistema, spegnere ogni volontà di riscatto sociale. Quello che non viene raccontato sono invece le persecuzioni anti-partigiane nel dopoguerra, i processi politici diretti proprio da quei tanti magistrati fascisti che non furono sostituiti a guerra conclusa. E allora va detto chiaramente che l’Italia di oggi non è frutto della Resistenza, e che proprio quest’ultima è stata tradita nei suoi ideali intrinsecamente rivoluzionari; i partigiani non aspiravano certo alla sola cacciata dei tedeschi, né tantomeno a un semplice ritorno alle condizioni preesistenti. Se ci affacciamo alla finestra oggi non troveremo plotoni di nazifascisti per le strade e ufficiali delle SS che dopo aver ordinato un rastrellamento prendono un caffè al bar. Possiamo per questo motivo dire che il nostro sia un paese libero e sovrano?

L’Italia dei giorni nostri non offre ai giovani nient’altro che un futuro nero, di disoccupazione e precarietà. E’ un’Italia in cui la partecipazione democratica delle masse è ridotta a una crocetta sulla scheda elettorale (delle primarie, magari…), per scegliere l’ennesimo manovratore di un treno la cui direzione è già fissata, e che punta dritto nella direzione degli interessi di banche e grandi imprese. Un’Italia in cui la libertà non coincide con la giustizia sociale; in cui vi sono diritti formali – sulla carta – che restano tali, senza corrispondere a diritti sostanziali. Una Costituzione sicuramente avanzata nel contesto delle democrazie borghesi occidentali (risultato di rapporti di forza relativamente favorevoli ai comunisti e ai socialisti nel dopoguerra) in realtà mai applicata, e che resta un programma sancente diritti non effettivi. La retorica della sola difesa della “Costituzione nata dalla Resistenza” ha avuto come conseguenza una progressiva rinuncia a una strategia offensiva che puntasse alla presa del potere da parte dei lavoratori. Ne “apprezziamo” gli effetti proprio oggi, in cui vediamo come tutte le conquiste sociali in un sistema capitalista siano revocabili e precarie: un’Italia in cui l’istruzione pubblica è progressivamente smantellata e l’università diventa sempre più un privilegio per i pochi che possono permetterselo, in cui le conquiste nel mondo del lavoro ottenute con anni di dure lotte sono annientate ogni giorno che avanza e a livello di diritti sociali stiamo tornando indietro di più di un secolo.

Non c’è più lo stivale nazista a tenere in scacco l’Italia, bensì la sovranità è schiacciata oggi dal capitale monopolistico, dall’Unione Europea. E’ una dominazione fatta di direttive, i “diktat” della cosiddetta Troika che impongono misure antipopolari, che consentono di delocalizzare la produzione dove meglio conviene agli imprenditori, che condizionano negativamente il futuro della gioventù. La nostra repubblica è così democratica da essere pienamente inserita nelle alleanze imperialistiche, trascinando il popolo italiano nella possibilità della guerra.

E’ forse questo il paese per cui migliaia di giovani come noi hanno dato tutto, spesso anche la loro stessa vita? Mostri la sua faccia chi ha il coraggio di rispondere “sì”.

Perché quello che stiamo affermando deve risuonare ben chiaro: resistere oggi significa contrattaccare, rifiutare le battaglie di retroguardia. Significa rovesciare il tavolo, lo stato di cose presente, e con esso tutti coloro che si schierano a difesa di questo sistema.

Onorare la Resistenza significa oggi più che mai combattere contro le ingiustizie vecchie e nuove, lottare organizzati per un avvenire socialista, che è tutto da conquistare. Organizzati sì, perché questo è uno dei più grandi insegnamenti che la lotta partigiana ci abbia lasciato. Per dirla con i versi di Majakovskij:

il futuro non arriva da sé
se
non ci diamo da fare. “

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