Le primarie statunitensi sono ormai entrate nella loro fase finale verso le rispettive Convention dei Democratici a Philadelphia e Repubblicani a Cleveland nelle quali saranno nominati i due candidati alla Presidenza degli USA nelle elezioni del prossimo 8 novembre. Nonostante l’ostracismo di parte del Partito Repubblicano verso Trump e i “successi” ottenuti dal sedicente “socialista democratico” Bernie Sanders nel Partito Democratico, i superfavoriti rimangono il miliardario Trump rimasto ormai unico candidato per i Repubblicani e Hillary Clinton per i Democratici. Anche se per quest’ultima la corsa alla candidatura si sta dimostrando molto più complicata delle attese iniziali come dimostra anche l’ultimo voto in Kentucky e Oregon che ha visto di nuovo un testa a testa che ha praticamente diviso in due l’elettorato democratico con 55 delegati andati a Sanders e 51 alla Clinton che comunque conserva un ampio vantaggio1 anche grazie a diversi casi di brogli.
Il teatrino delle elezioni americane
Le elezioni americane suscitano nell’opinione pubblica europea grande interesse fino alla suggestione e alla mitologia di alcuni bislacchi personaggi che animano lo “spettacolo elettorale”. A predominare spesso è una visione totalmente idealistica con la forte propensione da un lato delle nuove leve del PD e delle sue succursali della sinistra variegata che con trepidazione e passione seguono ogni notizia riguardante le elezioni statunitensi ammirando estasiati i “grandi comizi” aspettando le massime liberal sulla “libertà” e la “democrazia” o dall’altro lato di qualche nuovo carismatico “uomo forte”. Ciò che invece a noi interessa si relaziona propriamente all’attuale posizione di vertice nella piramide imperialista degli USA per cui è interessante osservare quali tendenze e spostamenti (se) ci sono al vertice dell’apparato politico e statale della borghesia statunitense, nei suoi segmenti interni di riflesso agli anni di profonda crisi economica globale del capitalismo e nei mutamenti dei rapporti di forza nella competizione internazionale. E per questo che bisogna osservare i fatti in modo analitico e critico sia in relazione al ruolo che gli Stati Uniti rappresentano nell’intero scacchiere internazionale ma anche dei movimenti nella lotta di classe interna al “ventre della bestia”, seguendo il monito di Che Guevara:
« […]il popolo nordamericano non è responsabile delle barbarie e dell’ingiustizia dei suoi uomini di governo, ma è anche la vittima dell’ira di tutti i popoli del mondo che a volte confondono un sistema sociale con un popolo.» 2
La comparsa in queste primarie di due candidati “apparentemente anomali” come quella del “compagno” Sanders da un lato (così visto da una certa sinistra radicale europea) e un istrione populista miliardario come Donald Trump definito dal marxista statunitense Zoltan Zigedy come “clownesco reprobo di stile mussoliniano-berlusconiano”3 che suscita una certa approvazione nella destra (vedi Salvini), ha accentuato l’usuale divisione negli ambienti della sinistra europea tra democratici “buoni” e repubblicani “cattivi”. In realtà le elezioni statunitensi sono degli enormi show d’intrattenimento come interfaccia di un sistema politico bipartitico strettamente ed esclusivamente al servizio dei grandi monopoli industriali-finanziari, dove non c’è spazio alcuno per la gran parte della popolazione che è solamente spettatrice, in particolare i ceti inferiori, la classe lavoratrice, poveri, emarginati, minoranze etniche ecc. in una nazione in cui anche l’aspettativa di vita è fortemente condizionata dalla distinzione di classe con una differenza di 15 anni tra i più ricchi e i più poveri: quest’ultimi con un’aspettativa di vita simile a quella nei paesi in via di sviluppo, uno dei segni più evidenti dell’estrema diseguaglianza sociale imperante nella polarizzata società americana avvolta dal mito del “sogno americano”.
L’ideologia anticomunista regna sovrana come religione ufficiale di Stato e impregna in modo viscerale l’establishment politico-statale-mediatico e giudiziario-repressivo dove la fanno da padrone il liberalismo, il tradizionalismo, l’individualismo, il nazionalismo e la supremazia degli USA sul mondo. In qualsiasi opera cinematografica, letteraria o fumettistica in cui vengano rappresentati momenti di discussione politica, viene sempre messa in luce la natura “falsa”, “retorica”, “ingannevole” di questi momenti democratico-elettorali. Le cosiddette “istituzione democratiche” sono storicamente fortemente irreggimentate, elitarie e protette da qualsiasi potenziale cambiamento, impedendo con diversi strumenti l’accesso egualitario alla partecipazione alle istituzioni e alla politica. Dal sistema bipartitico con le sue controllate primarie e finanziamenti, alla limitazione del diritto di voto, ai vari strumenti giudiziari (Corte Suprema, Electoral College ecc.), la classe dominante protegge il suo potere politico da qualsiasi interferenza, alterando e filtrando i risultati, in modo da selezionare al meglio possibile gli uomini e le donne che devono svolgere le funzioni di gestione del sistema. Interessante notare come anche la partecipazione al voto sia condizionata dal reddito: nelle elezioni del 2012 ha votato il 47% degli aventi diritto con un reddito inferiore ai 20.000 dollari e l’80% di chi dichiara sopra i 100.000 dollari.
Ma queste primarie, forse più di altre, riflettono il forte malcontento nella società americana dopo 8 anni di profonda crisi e tensioni internazionali che hanno rimescolato le tradizionali carte del gioco degli establishment politici, con l’inserimento di Sanders da un lato e Trump dall’altro.
Sanders e Trump, tra la rabbia e il malcontento delle masse
Negli ultimi anni si registra una ripresa nelle lotte dei lavoratori americani (che non hanno portato a nulla a causa delle burocrazie sindacali cooptate dal PD) e il 59% degli americani crede che l’economia stia “peggiorando”, con salari stagnanti da decenni, un reddito familiare in calo da 15 anni, un tasso di occupazione inferiore a prima della crisi, oltre 48 milioni di poveri e impennata nella crescita dell’uso di droghe. La visione estasiata del capitalismo che perdura dal dopoguerra nella società americana, rafforzata in particolare dalla propaganda e la repressione maccartista nella guerra fredda, sta oggi svanendo come testimonia anche un significativo studio dell’Università di Harvard4 tra giovani adulti tra i 18 e i 29 anni che ha rilevato come il 51% del campione è contrario al capitalismo e il 33% dello stesso sostiene quello socialista identificandone primariamente in esso la “garanzia delle prime necessità, quali il cibo, la casa, l’assistenza sanitaria” del tutto assente nel capitalismo americano. Uno studio che conferma una tendenza già rilevata nel 2011 in uno studio simile (ma meno dettagliato) realizzato dal Pew Resarch Center che aveva registrato la forte delusione e frustrazione dei giovani tra i 18 e 29 anni verso il libero mercato e il capitalismo di cui il 47% aveva un idea negativa mentre il 49% vedeva il socialismo in modo positivo. Dati che sono decisamente opposti a quelli che si registrano nella popolazione over 50 ancora profondamente influenzata dalla propaganda anticomunista e dall’inattaccabile verità che “non c’è alcuna alternativa”. Un altro dato significativo è che il 48% degli americani si considera “classe operaia”, quasi la metà della popolazione americana. Il dato sulla percezione è interessante non per identificare la percentuale effettiva di “classe operaia” in America (dove il lavoro dipendente raggiunge percentuali del 93%5, al di là dei miti sull’autoimprenditorialità) ma perché identificano meglio di altri la percezione (in particolare per la mentalità americana) di esser tagliati fuori dai benefici del capitalismo americano.
Una situazione del genere si riflette nella polarizzazione elettorale, dove compare anche l’elemento di classe catturato da Sanders in un movimento elettorale amorfo e interclassista che coinvolge solo alcuni segmenti di base del movimento operaio sindacale (le dirigenze sono cooptate dal PD di H. Clinton) e gran parte dello studentato ma senza alcun radicamento in movimenti di massa né organizzazione su scala nazionale. Se da un lato buona parte della popolazione giovanile intravede, molto astrattamente, anche un “alternativa” che si riflette in parte nella base di voti di Sanders che incarna ciò, il malcontento è diffuso trasversalmente alle fasce d’età nelle classi medie e lavoratrici con una visione profondamente decadente del sistema politico e economico che il miliardario speculatore immobiliarista e personaggio TV, Donald Trump, sta interpretando abilmente cavalcandolo con la maschera della demagogia “anti-sistema” che rompe con i cliché dell’establishment dei democratici e dei repubblicani con un insieme di iperboli, baggianate, paradossi, provocazioni, sceneggiate, slogan mirabolanti per restituire il grande prestigio, potenza e grandezza mondiale all’America la cui decadenza è naturalmente colpa dell’apparato dei due partiti, degli immigrati, dei musulmani. Per identificare e classificare la “sua linea” possiamo dire che essa ha diverse caratteristiche nazional-populiste facendo appello allo “sciovinismo della grande nazione”6 e costruendo intorno al suo personaggio una fiabesca suggestione del miliardario anti-conformista in lotta contro le élite (politiche, finanziarie, sindacali ecc.) mettendo in evidenza il suo personale “successo di capitalista” animato dall’artificiosa drammatizzazione della propaganda elettorale in cui combina improvvisate e contradditorie posizioni7 con quale attrarre dagli emarginati del sistema agli imprenditori locali, da settori della classe operaia bianca alla frustrata classe media impoverita. Non solo, ma anche tutti coloro che rifiutano le classiche rappresentazioni dei repubblicani e democratici o delle identità/minoranze etniche e di genere (latinos, ispanici, neri, donne, gay ecc.), i politicamente inattivi, riunendoli poi sotto l’adorazione del suo personaggio, una sorta di culto della personalità dietro al quale c’è il nulla a livello di organizzazione di massa e di quadri di Partito e che, in caso di vittoria, si potrebbe riflettere su una presidenza con tendenze “bonapartiste”.
Tutto questo lo porta sia in politica estera che in quella interna ad esagerazioni di ogni tipo che non ricevono le simpatie di settori dell’oligarchia statunitense – la sua classe – non certo per i “pericoli antidemocratici” ma per l’imprevedibilità del personaggio che non dà alcuna garanzia di capacità nel saper svolgere in modo adeguato il ruolo di massimo servitore degli interessi del grande capitale. Nella sua corsa alla presidenza sarà quindi decisivo il suo “riallineamento” al Partito Repubblicano, la capacità di riunirlo e moderare i suoi eccessi nella tradizione conservatrice. In questo senso va la sua recente patetica intervista a FOX, il principale e fortissimo monopolio della comunicazione dei conservatori repubblicani.
La falsa alternativa
Il “pifferaio magico” (anche qui usiamo una definizione di Z. Zigedy) B. Sanders raccoglie il sostegno in particolare nei giovani bianchi e nella classe lavoratrice, incentrando la sua campagna sui temi sociali, del lavoro, dei salari, dell’istruzione, dei servizi, dei diritti civili, la discriminazione razziale e contro le esagerazioni delle lobby, della finanza e di Wall Street che negli anni passati hanno mobilitato molti giovani nel tanto famoso quanto inoffensivo movimento “Occupy Wall Street” nato a settembre del 2011. Pur inoffensivo il movimento è stato duramente represso con oltre 7.000 arresti poiché la classe dirigente è allarmata dal fatto che qualsiasi espressione di protesta contro Wall Street si possa trasformare rapidamente in un movimento più radicale e indipendente che minacci il loro potere e aprire una nuova ondata come quella degli anni ’30 e anni ’60. Sanders ha dato in qualche modo espressione alla rabbia e delusione (sia verso il sistema che gli anni del governo Obama e la direzione del PD) e all’attivismo politico crescente nella gioventù americana incanalandoli in tranquilli percorsi elettorali che saranno comunque assorbiti dal Partito Democratico senza alcun sostanziale cambiamento. Lo stesso processo che avviene con l’ascesa della ribellione nella popolazione afro-americana che ha visto peggiorare le sue condizioni sotto il mandato “del primo presidente di colore” ma che solo in parte ha rotto il tradizionale intrappolamento nella mediazione conciliatrice del PD e la “The Black Misleadership Class”8 che finirà per convogliare i voti su Hillary Clinton anche grazie alla visione razzista di Trump.
Cresciuto come indipendente, formalmente esterno per quasi tutta la sua carriera politica al Partito Democratico, Bernie Sanders si è presentato, al solito, come l’indipendente “socialista”. Parlando di “socialismo democratico” ha sdoganato nella discussione politica dopo decenni la parola “socialismo” ma in realtà ne stravolge il significato in senso profondamente anticomunista e in una forma di moderata critica degli eccessi del capitalismo e in alcune proposte compensatorie di welfare, ispirato al modello social-democratico scandinavo senza spazio alcuno alla lotta di classe e all’anti-imperialismo. Se conosciamo alcune critiche e proposte in politica interna volte ad una maggiore equità sociale del sistema, sulla politica estera non si conosce praticamente nulla, cosa che di per sé ci permette dire che non è certo un candidato contro la guerra. Sanders, da senatore, ha votato a favore della guerra in Jugoslavia e Afghanistan, non si è opposto alla guerra in Siria e Libia, è a favore del programma dei Droni e considera Israele un alleato chiave, sostenendo pubblicamente gli attacchi israeliani contro i palestinesi.
Senza alcuna possibilità di vincere le primarie né di “rinnovare” da dentro il Partito Democratico, Sanders continua nell’illusione di poter incidere con i suoi contenuti sociali nel programma politico del presidente eletto alle presidenziali. In questo senso si è già affrettato ad assicurare che non correrà come indipendente garantendo così l’unità del PD in chiave anti-Trump che funge da vero e proprio spauracchio. Come ampiamente dimostrato da Obama (così come prima da B.Clinton), il documento programmatico non ha alcun reale valore e viene tranquillamente ignorato e questo avverrà anche nel caso della vittoria di Hillary Clinton, la donna di fiducia del grande capitale, dell’oligarchia di Wall Street e del Pentagono, dell’establishment del Partito Democratico dei capitalisti.
Il Partito Democratico è proprietà dei suoi ricchi finanziatori che determinano la nomination. Di volta in volta compare sempre un personaggio “più a sinistra” con la funzione di catturare gli attivisti e elettori di sinistra, illudendo che ci sia uno spazio d’influenza all’interno del Partito se il candidato democratico vincerà le elezioni presidenziali. Nell’84 e ’88 fu J.Jackson, nel ’92 J.Brown, nel 2000 e 2004 Al Sharpton, nel 2008 D. Kucinich. Questa volta è il senatore del Vermont, Bernie Sanders, che sicuramente sta ricoprendo un ruolo più radicale rispetto a questi precedenti e più simile a George McGovern che riuscì anche ad ottenere la nomina nel ‘72 nel quadro della forte opposizione popolare alla guerra in Vietnam. Cosa successe? I finanziatori del partito e perfino funzionari, finanziarono e sostennero Nixon e boicottarono con mezzi occulti e palesi la campagna di McGovern. Dopo la sua sconfitta, furono cambiate le regole del partito in modo che nessuno potesse più sconvolgere la retta via dettata dal grande capitale al PD.
Oltre Sanders e Trump
Ciò che la campagna di Sanders ha però dimostrato è che esiste uno spazio abbastanza ampio per le idee di sinistra e socialiste negli USA che necessitano però di una rottura del cordone ombelicale col PD e una organizzazione politica indipendente di classe e di massa per tramutarsi in qualcosa di rivoluzionario. Negli Stati Uniti, gli uffici elettivi sono divisi tra i rappresentanti dei due partiti capitalisti, repubblicano e democratico. Ci sono differenze di identità dei principali gruppi che di solito sostengono i repubblicani e quelli che supportano soprattutto i democratici, ma queste differenze non sono essenziali sulle questioni principali e i più potenti magnati suddividono i loro finanziamenti in entrambi i partiti, a seconda delle necessità immediate e strategiche. Il modello bipartitico statunitense è uno dei modelli della struttura politica delle società capitaliste, con la missione fondamentale di proteggere i rapporti sociali borghesi e gli “interessi nazionali” (gli interessi dell’imperialismo americano su scala mondiale) contrastando e neutralizzando l’azione politica indipendente in modo da impedire ogni tentativo di liberarsi del controllo politico della classe dominante e in questo svolge un ruolo centrale il principio del consenso – alternativa: senza il consenso, il sistema bipartitico non sarebbe in grado di difendere efficacemente gli interessi comuni della classe dominante, senza offrire un’alternativa si lascerebbe spazio organizzativo al dissenso. In questo modo c’è sempre uno spazio di manovra per i componenti del sistema bipartitico, al fine di contenere le contraddizioni di classe sotto il loro controllo e di mantenere la loro posizione dominante nel processo politico.
Sia Sanders che Trump sono espressione di due forme di “populismo”9 rispettivamente in salsa più progressista e l’altro più reazionario, come in forme simili si vede anche in Europa, in una campagna che è sintomatica anche della crisi di consenso che si registra attualmente in ogni Stato borghese e delle contraddizioni tra gruppi d’interesse capitalisti. Ma nessuno rottura è aspettabile da questo. Sanders non costituisce alcun pericolo per la logica del “consenso-alternativa” (come Trump) e rappresenta de facto un’ulteriore asservimento e cooptazione alla leadership del PD. Allo stesso tempo però le speranze di parti dell’elettorato progressista degli Stati Uniti e la base di attivisti che sta cercando di spingere Sanders su posizioni migliori potrebbero cominciare a cercare, dopo la sua sconfitta-allineamento al PD, una risposta in forme più avanzate e radicali. Un nuovo spazio nella politica americana è necessario per rompere il sistema bipartitico e costruire l’indipendenza politica di classe del movimento operaio che darebbe linfa vitale e spazio politico ai nuclei e organizzazioni comuniste (fuori dal revisionista e corrotto PCUSA) nel percorso di costruzione di un Partito Comunista rivoluzionario negli USA in grado di unire, strutturare e organizzare il forte malcontento nella società americana, nella classe operaia, nella gioventù, nella comunità nera, in sezioni della classe media impoverita, aprendo un fronte interno di lotta di classe in grado di indebolire realmente la principale belva imperialista del pianeta, trasformando la tendenza alla polarizzazione elettorale in polarizzazione cosciente di classe, nelle strade, nei luoghi di lavoro, negli uffici. Questo sarà fondamentale per frenare la mobilitazione reazionaria di Trump in cui potrà esser intrappolata la classe operaia per tenerla legata mani e piedi alla mercé del grande capitale.10
L’ascesa di Trump riflette gli interessi di una parte del capitale statunitense, che, soprattutto in tempi di contraddizioni inter-imperialiste, sceglie di promuovere particolari personalità per la leadership politica. Al di là di alcune fantasticate rappresentazioni mediatiche, il “fenomeno Trump” non è nulla di inedito o incomprensibile per la maggiore potenza imperialista del mondo; non è la prima volta infatti che personaggi di spicco, particolari, lobbisti prendono la scena politica nazionale e diventano inquilini della Casa Bianca: un esempio è l’attore di Hollywood Ronald Reagan, l’uomo adeguato in quel momento per applicare la cosiddetta politica di “Star Wars”11. Quando invece l’interesse si mosse verso il Medio Oriente, alla fine degli anni ’80, venne scelto G.Bush Sr. in quanto i capitalisti americani necessitavano di un politico esperto e affidabile. Nel 2008, dopo gli anni di Bush Jr., necessitavano di un volto nuovo, carismatico, un volto sorridente dell’imperialismo statunitense. Un moderato riformista di colore, Obama, che doveva rompere con “l’amministrazione Bush” ed esprimere le minoranze svantaggiate (afro-americani, ispanici e latino-americani, i più poveri, ecc.). Nulla di tutto questo è diventato realtà naturalmente e con una diversa tattica in circostanze diverse ha servito gli interessi dell’establishment capitalista degli USA.
In conclusione, la campagna elettorale di queste primarie è condizionata dal malcontento interno e le difficoltà dell’imperialismo americano che hanno portato sul terreno della critica e dei problemi del sistema i principali oratori che si contendono la leadership del paese, favorendo lo spostamento della dialettica elettorale dal centro verso gli estremi sia sugli aspetti della politica interna che su quella esterna, come riflesso di un profondo cambiamento che sta avvenendo nella coscienza della società americana, in particolare nei giovani. Primarie che ci indicano una frammentazione dell’elettorato e tendenze politiche nuove, una ribellione elettorale che registra fratture intra-capitaliste, radicalizzazione del ceto medio, rancori etnici e di classe che attraversano il tessuto sociale americano che saranno il terreno su cui Trump e Hillary Clinton si muoveranno verso la Casa Bianca, con la Clinton che rappresenta la candidatura liberal per eccellenza. Con un linguaggio curato politically correct da establishment, gode del sostegno di Obama, delle burocrazie sindacali corrotte e dei leader dei gruppi di attivisti più importanti, dei grandi gruppi finanziari come Goldman Sachs, insomma ha le credenziali migliori per la fiducia del blocco oligarchico dominante in luce anche, e soprattutto, della sua provata esperienza al servizio dell’imperialismo statunitense, un “falco” in politica estera sia in campo istituzionale a capo del Dipartimento di Stato fino al 2013 che con la sua fondazione.
Chi preverrà nella scelta di questo blocco oligarchico dominante a novembre tra Hillary Clinton o Donald Trump dovrà gestire un clima anti-establishment diffuso nella popolazione (il 60% degli americani secondo un sondaggio non vorrebbe vedere nessuno dei due alla Casa Bianca), sommovimenti nella base della società e delle classi che scuotono la politica e gli schemi tradizionali. Ma al di là di come si presentano (Trump in passato è stato sostenitore e finanziatore di Hillary Clinton), egli sono dei burattini dell’imperialismo americano che avranno affidata dalla classe a cui appartengono e servono un’unica missione: continuare la politica di guerra generale sia all’interno contro la sua classe lavoratrice e i settori popolari che in tutto il mondo per la conservazione della sua attuale posizione di vertice nella competizione inter-imperialista.
Note
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2 Discorso al Primo Congresso Latinoamericano della Gioventù, 28 luglio 1960: http://www.archivochile.com/America_latina/Doc_paises_al/Cuba/Escritos_del_Che/escritosdelche0022.PDF
4 http://vocidallestero.it/2016/05/16/washington-post-la-maggioranza-dei-giovani-americani-rifiuta-il-capitalismo/
5 Dati OCSE del 2010
6 “La nostra idea è molto semplice. Fare tornare grande l’America. E faremo tornare grande l’America. Torneremo a vincere” D. Trump, durante un comizio in Indiana ad inizio Maggio.
7 Protezionismo, isolazionismo politico e commerciale, dazi, cancellazione o revisione dei Trattati economici internazionale (dal TPP al NAFTA) per sconfiggere la Cina, il Messico e il Giappone in campo commerciale, deportazione degli immigrati, innalzamento di muri, revisione dell’impegno militare in Giappone e Corea del Sud per ragioni economiche chiedendo in cambio da queste nazioni “alleate” un pagamento per le prestazioni di “aiuto”, imporre alle multinazionali di investire in patria, ecc… tutti slogan che rompono con la tradizione politica e culturale del “liberismo”, del “libero mercato”, “dell’esportazione della democrazia come sicurezza nazionale” dominante nei repubblicani e conservatori (idee che non comparivano da almeno un secolo riportando all’inizio del pensiero mercantilistico) e che mirano alla “pancia” della classe media impoverita dallo sfrenato liberismo e internazionalizzazione dei mercati. L’immagine distorcente la realtà è di un America vittima e troppo buona, dove tutte le politiche condotte finora sarebbero un beneficio al mondo – un paradosso – invece che all’America stessa. Slogan che saranno via via profondamente moderati fino a passare nel dimenticatoio.
9 Non a caso un recente sondaggio della CNN afferma che un terzo dell’elettorato di Sanders potrebbe votare Trump
10 “In cinque, 10 anni, saremo un partito diverso. Saremo un partito dei lavoratori, un partito di quelle persone che non ricevono un aumento reale dei salari da 18 anni e sono arrabbiate”. Donald Trump, http://thehill.com/blogs/ballot-box/presidential-races/281332-trump-my-gop-will-be-a-workers-party
11 La Strategic Defense Initiative (SDI), Iniziativa di Difesa Strategica proposta da Reagan nel 1983 e attuata a partire dal 1984