*di Mattia Greco
Alla ribalta della cronaca nazionale tornano gli immigrati della piana di Gioia Tauro. Qualche anno fa, in maniera molto confusa, i media nazionali si occuparono delle rivolte di quel proletariato africano che trascorreva le stagioni tra i campi per una manciata di euro al giorno. La scorsa settimana, un bracciante malese di nome Sekine Traorè è stato ucciso. Raggiunto da un colpo di pistola sparato da un militare, Antonio Catalano. Si parla – come sempre – di legittima difesa. Traorè “era un pazzo”, “era ubriaco”, “stava aggredendo altri immigrati” nella tendopoli dove vivono ai confini della dignità umana. Successivamente Traorè ha cercato di ferire gli uomini in divisa accorsi in aiuto di altri immigrati spaventati dal maliano. Queste sono le notizie che diffondono le agenzie d’informazione di tutta Italia derubricando il fatto nell’ennesimo caso di cronaca che coinvolge “l’immigrato”.
Muore un altro immigrato e si riaccendono le luci su una questione quanto mai spinosa e all’ordine del giorno, per chi quelle scene le vive quotidianamente. La vicenda, stavolta, si svolge poco distante dalla più nota Rosarno, a San Ferdinando, un comune con poco più di 4000 abitanti. Sono tra i 400 e i 500 gli immigrati accampati all’interno di una tendopoli, i quali lavorano nella piana per la raccolta degli agrumi. Il comune è stato sciolto tempo fa per infiltrazioni mafiose. Il paese è tristemente noto a causa delle varie ndrine che gestiscono i vari settori dell’economia locale e influenzano tutta la società. Un fenomeno che non si ferma solo a San Ferdinando ma è comune a gran parte del meridione, specie della Calabria. Le varie cosche controllano la zona e sono proprio loro quelli che nella maggior parte dei casi sfruttano la forza-lavoro degli immigrati nelle loro terre. Loro sono i padroni, 12 ore di lavoro circa per poco meno di 25 euro, oppure 1 euro per ogni cassetta di mandarini e 50 centesimi per una di arance. Inoltre, c’è anche una tassa di soggiorno (5 euro) e se ti rifiuti di pagarla succede come nel 2010, vieni sparato. La ndrangheta controlla l’economia locale, ed in effetti è un settore egemone della borghesia. E’ riconosciuta dalla popolazione locale, utilizza a volte metodi illegali, e si fa spazio con intimidazioni, malaffare, e quando questo non basta uccide. Non c’è da stupirsi sul fatto che queste cosche hanno interazioni con la politica, e spesso a candidarsi tra le file dei diversi schieramenti, e ad amministrare direttamente la cosa pubblica, vi sono i soliti volti noti delle varie ndrine. Vivere in questa terra non è facile, anzi è difficilissimo, qui regna il silenzio, l’omertà, la rassegnazione e la passività. La popolazione si è come dire abituata all’assenza dello stato, sempre più complice della degradazione sociale e della miseria in cui tutto il Mezzogiorno è immerso. Un popolo abbandonato a se stesso, e una gioventù facile preda delle organizzazioni criminali locali. Quello che ha di fronte ai suoi occhi questa gente è la prova inconfutabile del collasso di una società intera basata su delle logiche improponibili in cui regnano corruzione e malaffare.
Soffermiamoci adesso sulle condizioni di questi braccianti immigrati che vendono la loro forza-lavoro nella piana di Gioia Tauro, come Traorè. Con molto coraggio, hanno intrapreso un lungo viaggio in cerca di una vita migliore per se stessi e per la propria famiglia. Spinti dalla guerra, dalla miseria e dalla privazione di risorse. Proprio quelle risorse che poi vanno a finire nelle tasche di un occidente sempre più avido, che per mettersi a posto la coscienza parla di solidarietà, istituisce giornate della memoria e convegni in ogni dove sul tema dell’accoglienza.
La maggior parte di questi immigrati rientra nella categoria dei lavoratori stagionali: nei campi prima in Calabria, poi nell’estate si sposta verso la Puglia e la Campania per la raccolta dei pomodori. Secondo un sondaggio l’85% di questi lavoratori non ha un contratto (ma la percentuale cresce notevolmente se si tiene conto del fatto che un buon numero di immigrati ha paura del proprio padrone e quindi tace sul fatto che lavora in condizioni pessime, evidenziando una completa assenza dei diritti fondamentali e delle tutele); il 38% degli intervistati, non solo guadagna meno di 25euro, ma deve anche pagare il trasporto di tasca propria; il 44%, invece, denuncia che lavora attraverso l’interazione di un caporale. Per non parlare poi delle pessime condizioni igienico sanitarie in cui vivono questi lavoratori sottopagati e ipersfruttati. Solo il 6%, infatti, può disporre di servizi igienici, acqua ed elettricità. Vivono in grandi tendopoli che riescono ad ospitare migliaia di immigrati provenienti da tutta l’Africa, oppure in ruderi ormai dismessi. Un bracciante su tre deve accontentarsi di dormire a terra a causa della mancanza dei letti. Queste condizioni di vita precarie fanno sì che molti di loro si ammalino anche gravemente, le più comuni sono: malattie delle vie respiratorie (27%); patologie muscolo-scheletriche (12%); traumatismi (9%) ecc.
Una condizione questa che molti preferiscono non vedere e ben lontana dalla visione distorta del “profugo accolto e privilegiato” che è funzionale agli affaristi di ogni risma. Si occulta così la cruda realtà dove facendo un parallelo con le condizioni di vita degli operai nell’800 non notiamo nessuna differenza, anzi, se possibile, un peggioramento. L’immigrazione è un fenomeno intrinseco ad un sistema di sfruttamento, quello capitalista, che costringe milioni di uomini e di donne a spostarsi, ogni anno, in massa dalla loro terra d’origine. Questo tema deve essere affrontato con cura, dall’ottica del punto di vista della classe operaia, perché se da una parte bisogna essere solidali con il proletariato immigrato che fugge dalla disperazione di determinate condizioni economiche e sociali, il nostro pensiero deve svincolarsi dalla retorica di una certa sinistra radical chic che non vede oltre il suo naso, e non tiene conto di un fattore importante: l’immenso esercito industriale di riserva mosso dal capitale, in particolare dal continente africano ma non solo. Un ingresso di questa nuova forza-lavoro nel mercato del lavoro che consente al padronato di abbattere ogni salario, ogni diritto conquistato dal movimento operaio. Friedrich Engels nella sua opera “La situazione della classe operaia inglese” descriveva l’immigrazione irlandese con molta cura e minuzia di dettagli. Gli irlandesi arrivavano in Inghilterra e accettavano qualsiasi tipo di impiego. Dalla loro parte avevano una certa fisicità che li rendeva perfetti per qualsiasi tipo di lavoro anche se a primo impatto poteva sembrare duro e sfiancante. Man mano sostituivano gli inglesi nelle fabbriche accettando ritmi di lavoro più intensi e salari al ribasso. Non solo, dunque, peggioravano le condizioni lavorative ma anche lo stile di vita ne risentiva. L’irlandese viveva in abitazioni fatiscenti, in locali malsani, spesso putridi, ed indossava abiti vecchi e scuciti. L’intera classe operaia inglese risentì di questo peggioramento generale. La condotta morale del proletariato stesso ne era profondamente condizionata con il lavoratore che risultava completamente alienato dalla vita di fabbrica e non gli restava che sfogare i soli due piaceri. Infatti, solo nel bere e nel praticare attività sessuale egli si sentiva realmente libero. Tutto questo mentre i padroni, i fabbricanti, accumulavano sempre maggiori profitti dallo sfruttamento del proletariato.
Un breve excursus storico che ci fa capire quanto le cose non siano per nulla cambiate. Basta fare un semplice collegamento con la vicenda di qualche giorno fa. Traorè probabilmente era ubriaco, sfinito dopo giorni e giorni di duro lavoro nei campi. Tutto questo si ipotizza che l’abbia portato a scagliarsi contro gli altri compagni di lavoro con cui condivideva la tenda e successivamente con le forze dell’ordine intervenute. Fatto che non si può scindere dall’analisi del fenomeno nel suo insieme, come esso si riproduce all’interno di un sistema di sfruttamento e le sue contraddizioni sociali, e prendere atto della necessità di un cambiamento rivoluzionario per tutto il proletariato in un contesto storico in cui la lotta di classe è all’ordine del giorno, e la conducono in maniera vittoriosa i nostri nemici di classe, ovvero la borghesia. Dobbiamo rigettare completamente il pensiero xenofobo e razzista fomentato dalle destre per creare una guerra tra poveri, tra sfruttati, tra vittime dello stesso sistema funzionale al grande capitale così come il pensiero finto progressista e cattolico che non si pone sul piano politico della lotta di classe. Il proletariato condivide gli stessi interessi, al di là di origini e confini, per questo è necessaria l’unità di tutti i lavoratori e la sua organizzazione come classe, che è l’unica arma che gli consente di migliorare le proprie condizioni, che le consentirà di rovesciare l’intero sistema di sfruttamento a cui è soggetta. Per questo dobbiamo rivendicare la parità di diritti e salario per tutti i lavoratori, autoctoni e immigrati, il miglioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro schierandoci contro qualsiasi forma di sfruttamento, contro il lavoro in nero senza tutele, contro il caporalato e il sistema dei grandi proprietari agricoli che lo generano. La nostra solidarietà è rivolta a chi ha deciso di non scendere nei campi, rinunciando ad una giornata di lavoro per chiedere giustizia per il bracciante immigrato ucciso e verità su come sono avvenuti realmente i fatti, le cui ricostruzioni ufficiali lasciano – come sempre – più di un dubbio. Dal canto nostro non abbiamo dubbi sul fatto che le forze dell’ordine siano sempre molto decise quando si tratta di intervenire contro un proletario e molto meno quando si tratta di toccare i fili del massimo profitto dei padroni sul quale si regge la legalità dell’ordine dello sfruttamento capitalistico.
La borghesia ci vuole divisi, spetta a noi comunisti tracciare il sentiero per l’unità del proletariato nei posti di lavoro e nei quartieri in un’unica forza liberatrice di tutti gli sfruttati contro tutti gli sfruttatori, per costruire un mondo nuovo senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo e guerre imperialiste dove nessuno sia più costretto ad emigrare e il proletariato possa vivere pienamente dei frutti della ricchezza che produce, in prosperità, progresso sociale e pace con i popoli di tutto il mondo.