In seguito a un comunicato del Ministero dell’Istruzione, il governatore del Veneto Luca Zaia (Lega Nord), seguito a ruota da varie forze politiche, ha sollevato una polemica contro gli studenti del Sud Italia, accusati di essere “privilegiati” rispetto a quelli del Nord. Dai dati del MIUR emerge infatti un miglioramento complessivo dei voti di maturità, in particolare nelle regioni meridionali e nelle isole: in Puglia i diplomati con 100 e lode nel 2016 sono 934 e in Campania 713, mentre sono solo 300 in Lombardia e 225 in Piemonte. Nelle stesse regioni meridionali, però, si registrano i peggiori risultati nelle valutazioni INVALSI e nelle indagini OCSE. Di qui la polemica contro gli studenti del sud: «Gli studenti del Veneto, che risultano i migliori, si sono classificati ai primi posti in Italia nelle prove Invalsi 2016, alla maturità ottengono appena un terzo dei 100 e lode della Campania, un quarto della Puglia, la metà della Sicilia e del Lazio» – ha detto Zaia.
Dai dati del MIUR, al netto di ogni considerazione sull’affidabilità del metodo INVALSI, emergono certo delle problematiche reali, prima fra tutte una questione meridionale che ancora oggi è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia l’utilizzo strumentale di questi dati, da parte di forze politiche che sono corresponsabili dell’attuale situazione, porta tutto su un falso terreno di scontro. Quella che dovrebbe essere una polemica contro gli squilibri nella qualità della scuola italiana, che offre livelli qualitativamente differenti di formazione a seconda che si frequenti una scuola del Sud o del Nord (ma vale anche per le scuole di periferia rispetto a quelle del centro), viene trasformata in una polemica contro le ingiustizie di cui sarebbero vittima gli studenti del Nord, “sorpassati” da quelli del Sud. In altre parole, si cerca di trasformare la lotta degli studenti per una scuola che fornisca ovunque, tanto al Nord quanto al Sud, un’istruzione di qualità, in uno scontro fratricida fra studenti, secondo le tipiche logiche di competizione per la “scalata sociale” che oggi governano questo sistema e che ci vengono inculcate sin dai primi anni di scuola.
Zaia, ripescando la vecchia polemica contro i “terroni” che sembrava passata di moda anche fra gli stessi leghisti, riprende anche il vecchio slogan dei governi Berlusconi, per la verità fatto proprio anche da Renzi, che è quello della meritocrazia. Si parla di studenti del nord “meritevoli” vittima dell’ingiustizia di essere sorpassati dai meridionali nella frenetica lotta di tutti contro tutti per cercare di emergere. Lo stesso slogan del merito che ha usato Renzi per promuovere, con la Buona Scuola, una crescente competizione fra le scuole, e che ciclicamente viene usato per riproporre l’abolizione del valore legale del titolo di studio (cioè dell’uguaglianza dinanzi alla legge dei diplomi presi in un determinato indirizzo di studio, indipendentemente dalla scuola in cui lo si ha frequentato). Proprio sul valore del titolo di studio in passato si diceva spesso “non è giusto che un diploma in un liceo del nord sia equiparato a un diploma preso al sud: al nord gli studenti sono più preparati”, e invece di puntare a colmare le differenze si proponeva semplicemente di prenderne atto e lasciare che fosse la mano invisibile del mercato a distinguere le scuole “di serie A” da quelle “di serie B”. Ma lo Stato dovrebbe sostenere le scuole in difficoltà, non decretare che i loro diplomi sono carta straccia!
Oggi invece lo slogan del merito viene utilizzato per giustificare una serie di politiche che da una parte modificano nel profondo il sistema scolastico italiano, dall’altra promuovono il disimpegno dello Stato dalla gestione della scuola pubblica. La polemica sui 100 e lode al Sud è un esempio evidente di questo indirizzo: si parla di merito e dei “privilegi” dei meridionali non meritevoli per aggirare l’urgenza di interventi in sostegno alle scuole del Sud (e più in generale a tutto il sistema scolastico nazionale), interventi che questo Governo non ha intenzione di sostenere, perché i soldi che servirebbero sono utilizzati per altro (spese militari, pagamento dei soli interessi sul debito pubblico, salvataggi di istituti bancari, ecc). Ecco quindi che lo slogan del merito diventa funzionale a queste politiche, perché non propone l’eliminazione delle disuguaglianze e delle ingiustizie, ma al contrario chiede di istituzionalizzarle. La vera ingiustizia è che esistano scuole di serie A e scuole di serie B, ma si tira fuori la meritocrazia per mischiare le carte sul tavolo: ecco che l’ingiustizia diventa mettere gli studenti “di serie B” (certo non per colpa loro) sullo stesso piano degli studenti “di serie A”, ai quali si dice che dovrebbero ribellarsi.
In conclusione, tutti parlano di merito e di meritocrazia, ma nessuno dice mai la cosa più importante: tutti gli studenti meritano una scuola di qualità, che vadano a scuola in Veneto o in Campania, in periferia o in un prestigioso liceo del centro. Alla divisione fra gli studenti in uno scontro fratricida fra meritevoli e non, bisogna contrapporre l’unità degli studenti sul terreno della lotta per una scuola di qualità che al contempo sia accessibile a tutti. Solo in questi termini, cioè dando a tutti la possibilità di accedere a un’istruzione di qualità, partendo tutti dalle stesse possibilità, si può parlare di valorizzare l’eccellenza e il merito, che altrimenti diventa uno slogan potente nelle mani di chi sta smantellando la scuola pubblica in Italia.