*di Ivan Boine
Ieri Papa Francesco ha proclamato santa Madre Teresa di Calcutta, la suora albanese naturalizzata indiana già beatificata nel 2003 da Giovanni Paolo II. Per l’occasione Piazza San Pietro era colma di fedeli in festa e i maggiori mezzi di comunicazione nazionali, dai TG ai quotidiani cartacei e online, hanno dato una grande visibilità mediatica all’avvenimento. Il processo di beatificazione e quello di canonizzazione (ovvero la dichiarazione di santità di una persona) sono stati svincolati dalle stesse leggi della Chiesa Cattolica. Attorno alla sua figura è stato creato un “mito della povertà” da parte dell’autorità ecclesiastica, quasi a consolazione di chi oggi a causa della crisi vive in condizioni disagiate, ma dietro l’immagine immagine di questa suora albanese che ci viene propinata ci sono diverse ombre.
Guardando alla concezione che la suora aveva riguardo la sofferenza, la malattia e l’assistenza sanitaria, si capisce che l’unico vero fine del suo operato era convertire al cristianesimo i bisognosi, i poveri e gli ammalati dell’India e del cosiddetto Terzo Mondo. Non è difficile riconoscere uno certo legame fra questa mentalità e la concezione colonialista che vedeva l’uomo bianco, europeo e cristiano, come “civilizzatore” dei popoli infedeli. Madre Teresa affermava: «Se accetti la sofferenza e la offri a Dio, ti darà gioia. La sofferenza è un grande dono di Dio», e spinse questa concezione al punto da non prevedere l’uso di antidolorifici nelle strutture della sua congregazione! Era inoltre un esponente di spicco del movimento contro l’aborto: a Stoccolma, nel discorso successivo al ritiro del Premio Nobel per la Pace, dichiarò che «L’aborto e la contraccezione sono le più grande minaccia alla pace nel mondo. L’unica situazione in cui è possibile avere figli è quella della famiglia tradizionale: marito e moglie. La famiglia tradizionale è l’unica legittimata». In un’altra occasione definiva l’AIDS come «una giusta retribuzione per una condotta sessuale impropria», dichiarazione che non ha bisogno di ulteriori commenti…
Tuttavia assieme al dibattito che si è riaperto, fra chi si chiede quanto fosse “santa” e chi evidenzia quanto non lo fosse, andrebbe sviluppata una riflessione più generale. Nella semplice accettazione a livello culturale di una “santificazione”, che presupporrebbe il riconoscimento “ufficiale” di alcuni miracoli, emerge con forza il peso che la religione ha ancora oggi fra le masse popolari. Peso che in periodo di crisi rischia di aumentare fino a promuovere posizioni oscurantiste e reazionarie che in qualche modo giustificano una condizione dinanzi alla quale ci si dovrebbe ribellare. Ad esempio l’avversione alla medicina moderna in favore di una “medicina spirituale” si sposa benissimo con la dismissione progressiva del nostro sistema sanitario; la contrarietà ai metodi contraccettivi e all’interruzione di gravidanza vanno di pari passo con la mancata emancipazione della donna e con l’idea per cui la donna si realizza in quanto tale solo se madre e moglie.
La vita di Madre Teresa di Calcutta e l’azione delle “Missionarie della Carità”, congregazione da lei fondata, hanno creato un mito della buona povertà, di una povertà che avvicina le persone alla salvezza per mano di Dio. Un’idea che Papa Francesco rilancia presentandosi come il “Papa dei poveri”, e santificando una figura controversa come Madre Teresa pur di sfruttare questi aspetti della sua predicazione. Alla Chiesa, da sempre schierata in difesa degli interessi dei padroni, fa molto comodo celebrare la povertà in cui milioni di persone vivono ogni giorno, e proiettare la salvezza in una dimensione ultraterrena, nel Paradiso destinato ai poveri. Qualcuno ha provato a etichettare Papa Francesco come il “papa comunista”, ma nulla potrebbe essere più distante dalla realtà. I comunisti lottano per un mondo migliore e senza più povertà, ma lo vogliono qui sulla Terra, e realizzarlo è non solo possibile ma necessario…