*di Ignazio Terrana
È ormai consuetudine che ogni anno, in corrispondenza dei test per l’accesso alle facoltà universitarie a numero chiuso, qualcuno proponga “soluzioni” differenti dall’attuale sistema di sbarramento che migliaia di studenti devono affrontare per accedere ai corsi di studi. Sicuramente la più discussa – almeno da quando il governo ha timidamente avanzato una potenziale “apertura” nell’aprile del 2014 – è l’introduzione di un sistema simile a quello applicato in Francia, che prevede una rigida selezione alla fine del primo anno accademico, con la possibilità di essere bocciati solo due volte. Le forze di opposizione (M5S e Lega Nord in testa) non risparmiano gli attacchi all’esecutivo: recentissime sono le ultime dichiarazioni di Mario Pittoni, responsabile federale Istruzione della Lega Nord, che afferma che l’abolizione del test d’ingresso è una «promessa tradita» e che bisognerebbe «fare come in Francia».
Basterebbe tuttavia guardare un po’ più da vicino la situazione per rendersi conto che il tanto discusso “modello francese” è ben lontano dall’essere una credibile alternativa al numero chiuso e, soprattutto, ben lontano dalla meritocrazia che sempre viene tirata in ballo. Non appaiono sicuramente rassicuranti i dati sulla PACES[1], ovvero l’anno propedeutico che precede l’effettiva iscrizione ai corsi: circa il 20% degli studenti riesce ad essere ammesso, e di questo il 70% al secondo tentativo. Nell’anno accademico 2014-2015, ad esempio, su 57.839 candidati, solo 12.805 hanno raggiunto il secondo anno[2]. Nel caso delle facoltà sanitarie non è raro, a tal proposito, che gli aspiranti medici ed operatori sanitari si rivolgano a costosissimi corsi privati per poter conseguire una preparazione adeguata, a quanto pare non fornita dagli atenei francesi durante l’anno; il costo medio di questi corsi è di 3000 euro annui, con tariffe che oscillano fra gli 800 e i 17.000 euro[3] (ed è semplice intuire quali siano i migliori…). Si può affermare, quindi, che chi raggiunge il secondo anno è chi ha le possibilità economiche di farlo, e certamente non si può dire che il merito c’entri qualcosa. Certo è, piuttosto, che la direzione che il nostro sistema economico sta prendendo impone l’acuirsi delle differenze di classe, differenze evidenti anche nel sistema d’istruzione francese.
La questione di fondo è che nel capitalismo i processi di selezione nell’accesso all’università finiscono per “fotografare” le differenze di classe già esistenti fra gli studenti. Uno studente che arriva all’università lo fa dopo aver frequentato una scuola superiore, scelta fra le scuole “di serie A” o “di serie B” tenendo conto delle possibilità economiche della sua famiglia, da cui scaturiva anche la possibilità o meno di frequentare corsi privati durante gli anni di scuola per recuperare le materie arretrate. Questo background, che potremmo definire “di classe” più che culturale, gioca un ruolo non secondario nel processo di selezione, indipendentemente dalle modalità con cui questa avviene, che si tratti di un test di accesso o che avvenga con il “modello francese”. Ad essere determinante in entrambi i casi è l’aver potuto frequentare una scuola “prestigiosa”, l’aver potuto pagare costosi libri di testo, corsi privati per la preparazione ecc.
In questo senso la differenza fra il sistema francese e quello italiano è puramente formale. Si tratta di due facce della stessa medaglia: la natura della selezione non cambia col modello francese, ma viene solo “traslata” un anno avanti. Il “merito” di cui tanto si parla può esistere solo se si parte tutti dalle stesse possibilità, se si garantisce a tutti il diritto allo studio senza alcun tipo di barriera economica o sociale. È di questo che si dovrebbe discutere, ma chissà perché si parla sempre della forma e mai della sostanza…
[1] Sta per “Première année commune aux études de santé”.
[2] Dati forniti dalla Gazzetta Ufficiale francese – http://www.journal-officiel.gouv.fr/ .
[3] Stime dell’ANEMF, l’Associazione nazionale degli studenti di medicina di Francia, “Association nationale des étudiants en médecine de France”.