*di Manuele Panella, Commissione Università FGC
È di questi giorni la notizia di una protesta degli studenti dell’Università di Bari durante la quale qualcuno si è addirittura ritrovato in lacrime di fronte al rettore. Motivo della protesta l’impennata delle tasse chieste dall’università, che hanno raggiunto un livello insostenibile. Migliaia di euro di tasse alle quali si associano centinaia di euro di libri di testo, insieme al caro vita che affligge gli studenti fuori sede. L’esclusione degli studenti con più difficoltà economiche non è una novità neppure per questo ateneo, già pesantemente colpito dal calo delle immatricolazioni e dai tagli sulle borse di studio causati lo scorso dal nuovo modello Isee, a cui si è posto “rimedio” dopo mesi con un decreto ministeriale.
Non a caso di questa università si è molto sentito parlare durante l’estate per la vera e propria operazione di marketing che prevedeva una corsa contro il tempo per le immatricolazioni: i primi immatricolati avrebbero pagato 51 euro in meno sulle tasse. Una riduzione ridicola e irrisoria per tasse che ammontano a migliaia di euro, ma utile all’università per tentare forzosamente di aumentare il numero di immatricolati. Gli atenei sono ormai costretti a operare come vere e proprie aziende per riuscire a trovare finanziamenti, da un lato cercando di attirare i “consumatori” e le migliaia di euro che provengono dalle loro tasse, dall’altro cercando di racimolare pochi spiccioli dal governo o dai privati sfoggiando un finto prestigio, per il quale si ricerca soprattutto un alto numero di iscrizioni.
In seguito alla protesta, il consiglio d’amministrazione dell’ateneo ha stabilito alcune misure tampone per tentare di venire incontro agli studenti in difficoltà: sono state prorogate di un mese le scadenze delle tasse; è stato prorogato il termine per la presentazione del modello Isee per le borse di studio, per le quali sarebbero stati stanziati anche 200.000 euro; è stata annunciata la possibilità di richiedere l’esonero totale o parziale dalla tassazione per alcune categorie di studenti ed è stata ridotta la tassa di equipollenza. Queste misure potrebbero sembrare un grosso aiuto, ma è necessario analizzare la situazione in dettaglio. Tanti studenti infatti già denunciano l’inutilità di aver prorogato di un mese la scadenza delle rate, vista la cifra altissima da pagare che tocca anche i 1200 e i 1600 euro, di certo non racimolabili in un mese per i figli di operai, precari e disoccupati (specie se a questi soldi si aggiungono più di 500 euro di libri di testo). Dunque ovviamente questo è un problema che rimane.
Anche i 200.000 euro stanziati dall’ateneo si riducono a una misura esclusivamente consolatoria. Una copertura efficiente delle borse di studio per tutti gli studenti con difficoltà economiche deve essere necessariamente pesata in milioni di euro. La copertura necessaria per un singolo studente idoneo beneficiario, infatti, ammonta fra i 2000 e i 4000 euro, dunque con 200 mila euro stanziati si riuscirebbe a concedere benefici economici per meno di cento studenti, quando ad averne diritto e necessità sono in migliaia anche fra i soli iscritti, senza contare tutti coloro che rinunciano completamente a tentare l’immatricolazione perché troppo sfiduciati dai costi eccessivi.
L’episodio di Bari è cruciale e rappresenta perfettamente l’incapacità degli atenei di correre ai ripari dallo sfacelo causato dai miliardi di euro di tagli all’istruzione pubblica degli ultimi vent’anni. L’iniziativa di esonerare totalmente o parzialmente dalle tasse alcune categorie di studenti svantaggiati (studenti lavoratori, studentesse madri, studenti immigrati o con fratelli nella stessa facoltà) è sicuramente lodevole nel principio, ma nella materialità dei fatti è una pezza che non copre il terribile vuoto lasciato da tutti i giovani che per motivi economici devono interrompere gli studi non solo in pieno corso di laurea, ma anche dopo le scuole superiori o addirittura con la fine della scuola dell’obbligo. In Italia infatti il calo delle iscrizioni peggiora ogni anno nell’ordine di decine di migliaia di iscrizioni in meno (32.000 in meno dal 2013 al 2014, ben 70.000 in meno dal 2014 al 2015 per un totale di 100.000 iscritti persi in tre anni).
L’inefficienza di certe misure non va trovata tutta nella cattiva fede dell’istituzione, quanto nell’impossibilità tecnica di risolvere certe problematiche solo con l’iniziativa delle dirigenze degli atenei, oggi martoriati dal calo dei finanziamenti e assediati dai privati, che ogni anno di più influenzano la governance delle università del Paese sedendo direttamente in consiglio d’amministrazione, mirando ai loro profitti. La concessione di briciole infatti non può supplire i 66 milioni di euro di tagli solo per il biennio 2015/2016, così come non può invertire la tendenza all’aumento annuale delle tassazioni, che dal 2013 ha visto picchi di aumento delle tasse del 30%.
La demolizione dell’università pubblica e l’espulsione da essa dei giovani delle masse popolari è una scelta politica, la cui responsabilità è dei governi di centrosinistra e centrodestra di questi anni e dei vincoli di bilancio imposti dall’Unione Europea, governata da banche e multinazionali. La risposta può essere solo politica e deve andare in tutt’altra direzione, per la rivendicazione dell’università come servizio gratuito, al servizio del popolo e dei futuri lavoratori, contro il sistema dei tagli e degli interessi che attanaglia oggi tutto il mondo dell’istruzione pubblica.