In tutta Italia oggi gli studenti sono scesi in piazza nella prima data nazionale dell’autunno. I cortei studenteschi hanno interessato decine di città italiane, con qualche disordine a Roma, Milano e Firenze. Qualche telegiornale parla in modo generico di “studenti che chiedono di essere ascoltati”, altri invece scelgono di non dedicarci neanche un servizio, ma nessuno parla della reale natura della protesta, né delle rivendicazioni avanzate dalle forze che compongono il movimento studentesco. Una grande confusione alimentata dai media, funzionale a trattare gli studenti col paternalismo esibito dal Ministro Giannini, che ha liquidato la protesta dicendo “tanto c’è tutti gli anni, gli studenti non vogliono chissà cosa, vogliono solo essere ascoltati e noi li ascoltiamo”.
Il movimento studentesco in Italia, con tutti i suoi limiti, sta lentamente aprendo gli occhi. Una nuova consapevolezza si fa strada fra gli studenti delle classi popolari, delle periferie, degli istituti tecnici e professionali. Una consapevolezza che nasce dalla propria condizione economica, dalla coscienza di appartenere tutti a una stessa classe sfruttata, e che produce un’idea di scuola diversa da quella attuale. Sempre più studenti non si accontentano di chiedere le briciole, e rivendicano apertamente una scuola gratuita e fatta su misura per i giovani, cioè per i futuri lavoratori, in aperto contrasto con la scuola di classe che le politiche dell’Unione Europea e dei governi di centro-destra e centro-sinistra hanno costruito in Italia.
La scuola italiana è una scuola di classe perché sempre più costosa e inaccessibile a chi non può permettersela, fra caro-libri, contributi imposti dalle scuole per sopperire ai miliardi di tagli sopportati dalla scuola, costo dei trasporti ecc. Ma è una scuola di classe anche e soprattutto perché fatta su misura per i padroni, per le imprese private, per i grandi monopoli che oggi chiedono un’istruzione dequalificata, come tassello di un piano più ampio di ristrutturazione del sistema produttivo in Italia che punta sulla dequalificazione del lavoro per rilanciare la “competitività” dell’economia italiana, cioè la possibilità per un pugno di persone di fare profitti sulla nostra pelle.
Da qualche anno a questa parte, da questa nuova consapevolezza si è sviluppato un vero e proprio movimento contro la scuola di classe, che conquista consensi e spazi sempre maggiori nel movimento studentesco, affermando che una scuola diversa è possibile soltanto se si rompe con un sistema ingiusto, fondato sul profitto e sullo sfruttamento. Totale gratuità dell’istruzione pubblica, abolizione dei contributi scolastici, una giusta retribuzione oraria e tutele per gli studenti in alternanza scuola-lavoro per combattere lo sfruttamento in stage, un piano nazionale per l’edilizia scolastica, l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private e degli school bonus per le imprese a fronte di un piano di nuovi finanziamenti statali per la scuola pubblica… Sono solo alcune delle rivendicazioni di un movimento che oggi è sceso in piazza con lo slogan “sferriamo il contrattacco”, attaccando la buona scuola di Renzi, definita “buona solo per UE e Confindustria”, rivendicando una svolta radicale.
Nel silenzio dei media, in diverse importanti città i cortei studenteschi erano animati dagli spezzoni contro la scuola di classe. A Roma un vero e proprio fiume in piena con centinaia di studenti, un risultato che si accompagna alle piazze di Milano, Torino, Padova, Bologna, Firenze, Reggio Calabria, Palermo, e a numerosi cortei organizzati in centri minori come Pisa, Cosenza, Frosinone. Un avanzamento notevole rispetto agli anni precedenti, che testimonia la crescita di consenso del Fronte della Gioventù Comunista (principale promotore degli spezzoni contro la scuola di classe) fra gli studenti.
Non sappiamo per quanto ancora chi tiene le redini dell’informazione nel nostro paese potrà continuare a nascondere questa realtà, ma siamo certi di una cosa. La lotta contro la scuola di classe diventa sempre più una lotta di massa, raccogliendo ormai i consensi di migliaia di studenti che non si accontentano di chiamarsi ribelli, ma scelgono di essere rivoluzionari. Piaccia o meno, prima o poi ci dovranno fare i conti.