*commissione donne Fgc
Lo scorso 3 ottobre in Polonia migliaia di donne sono scese in piazza per difendere il diritto all’aborto. Il parlamento polacco, oltre ad aver respinto la proposta di legge sulla legalizzazione dell’aborto, ha infatti cercato di approvare il divieto totale, di vietarlo cioè anche nei casi in cui la madre fosse in pericolo di vita o nei casi di stupro. Una protesta, quella delle donne scese in piazza, trasversale e compatta che ha costretto il Parlamento a ritirare la proposta di legge.
La promotrice della legge è l’associazione “Fundacja Pro” (vicini a formazioni politiche nazionaliste e conservatrici), che ha dato vita alla campagna “Stop Abortion”, dichiarando di voler preservare il diritto alla vita. L’appoggio dato dalla Conferenza Episcopale all’organizzazione ha indotto inevitabilmente uno scontro tra abortisti e antiabortisti. Le modifiche proposte avevano come principio cardine la “salvaguardia” della vita della donna e del nascituro, vietando totalmente di fatto l’aborto, stabilendo cinque anni di carcere per i colpevoli e per i medici che si fossero prestati alla pratica abortiva. Divieto e criminalizzazione, ma le donne polacche (in uno dei paesi più conservatori e cattolici d’Europa) hanno deciso di opporsi a questo ennesimo atto di oppressione.
In moltissime città, Varsavia, Danzica, Cracovia, Lodz, Breslavia, le donne in nero si sono mobilitate per affermare il proprio dissenso contro la negazione di un diritto che in Polonia continua comunque ad essere molto restrittivo.
La legge in vigore dal 1993 infatti prevede che la donna possa ricorrere all’interruzione della gravidanza solo se la vita della donna si dovesse trovare in pericolo, nei casi di stupro o di malformazione del feto. Una legge che non può essere considerata certo delle migliori, con un probabile ricorso all’aborto clandestino per tutti gli altri casi non previsti stimato tra 10 mila e 150 mila casi , a fronte di circa duemila interventi legali l’anno: interventi fatti senza alcuna sicurezza, igiene, soggetti a facili complicazioni, che nel peggior e non raro dei casi conducono alla morte. Come d’altronde si è sempre fatto anche nel nostro paese prima dell’emanazione della legge 194/1978, e purtroppo si continua a fare. Anche se in misura minore che in Polonia, si stima che siano fra i 12.000 e i 15.000 le donne italiane che nel nostro paese sono ricorse all’aborto clandestino, e di queste tra le 3.000 e le 5.000 quelle straniere.
Nonostante l’aborto sia legale nel nostro paese, dopo anni di dure lotte e di conquiste sociali, non va dato come un diritto acquisito e non più sotto attacco, come dimostra la continua erosione di tutele e garanzie per i lavoratori del nostro paese. Sotto l’ombrello di una legge che è in vigore da quasi quaranta anni, le donne continuano ad avere immense difficoltà per poter abortire. L’obiezione di coscienza è una piaga che tradisce la legge stessa. I medici obiettori intasano gli ospedali pubblici rendendo impossibile l’applicazione di un diritto riconosciuto sulla carta. Le nostre donne non trovano sostegno né professionalità nei consultori familiari che hanno ginecologi e personale sanitario che si avvalgono dell’obiezione di coscienza. Si peregrina di regione in regione per andare alla ricerca di un ospedale dove sia possibile effettuare un aborto, sperando che non scadano i termini previsti per legge. Non è raro, di questi tempi, leggere di ospedali che non erogano un servizio pubblico dopo che l’unico medico non obiettore era andato in pensione oppure di lunghissimi tempi di attesa: è diventato quasi impossibile abortire in alcune regioni italiane. Un diritto, insomma, che viene quotidianamente negato.
In quest’ottica la protesta delle donne polacche, pur con tutti i suoi limiti, può esserci di lezione. Certamente il passo indietro del Governo polacco non può essere semplicisticamente letto come una vittoria ottenuta da una manifestazione, ma è dovuto alla necessità di non perdere consenso insistendo su un tema non centrale per il governo del paese: con ogni probabilità una mobilitazione altrettanto numerosa contro una legge finanziaria avrebbe ottenuto ben poco. È altrettanto però che in Italia la prospettiva di doversi mobilitare per difendere un diritto che di fatto sempre più inaccessibile non è poi così lontana. Per questo, oltre ad essere al fianco delle donne polacche che difendono un loro sacrosanto diritto, dovremo prendere esempio e iniziare a pretendere che la nostra legge venga davvero applicata, eliminando la piaga dell’obiezione di coscienza che di fatto nega ogni giorno questo diritto a migliaia di donne nel nostro paese.