*articolo pubblicato sul giornale cartaceo Avanguardia di ottobre-novembre 2016
Ogni 5 novembre i social network si riempiono di immagini di V per Vendetta. La celebre stilizzazione della maschera di Guy Fawkes, disegnata dagli autori del celebre fumetto che ha ispirato l’omonima pellicola, sembra essere diventata una sorta di simbolo indefinito per ogni protesta contro un generico “potere”. Ironia della sorte vuole che finzione e realtà (dove con “realtà” si intende chi si richiama a questo tipo di immaginario) siano accomunate da un elemento: la confusione su chi è il nemico da combattere e su come combatterlo.
V per Vendetta è in sostanza la storia di un uomo in maschera, dalle idee più o meno “radicali” a seconda che si parli del fumetto (in cui è apertamene di idee anarcoidi) o del film, che lotta contro una dittatura “totalitaria” dai toni orwelliani guidata da un partito nazionalista inglese. L’eroe, che si fa chiamare “V”, indossa sempre una maschera di Guy Fawkes, il cospiratore cattolico inglese membro di una congiura contro il Parlamento sventata il 5 novembre 1605, giorno che in Inghilterra viene celebrato con falò e fuochi d’artificio. La storia si svolge in un anno compreso fra un 5 novembre e il successivo, che viene annunciato da V come il giorno di una grande dimostrazione che rovescerà il governo.
La grande debolezza di V per Vendetta è da una parte lo scarso realismo (il potere nella società capitalista è detenuto da una serie di grandi conglomerati economici, non da un “grande dittatore” che parla da un teleschermo e che sorveglia tutti), ma soprattutto, dall’altra, l’assenza di un’idea chiara sulla natura di questa dittatura. Il governo in V per Vendetta è cattivo perché è corrotto, perché discrimina musulmani e omosessuali, perché viola una serie di diritti e di libertà dei cittadini. Nessun cenno, neanche velato, alla divisione in classi nella società, alla lotta dei lavoratori e alla loro condizione sotto questo regime. In fondo cos’è che vuole V? Meno corruzione, e un po’ più di diritti civili, niente di più. Se V vivesse nell’Italia di oggi, probabilmente gli andrebbe a genio, o al più si spenderebbe per emendare qualche legge!
Ancor più fuorviante forse è l’idea della “lotta” che quest’opera trasmette. L’eroe V, armato di massime come “i popoli non dovrebbero temere i governi, sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli”, inizia a lottare praticamente da solo contro il regime e, cosa ancor più strana, ci riesce. Il 5 novembre i cittadini (non i lavoratori) scendono semplicemente in piazza, mentre V fa piazza pulita dei funzionari del Partito, e la rivoluzione è bell’e confezionata. L’individualismo estremo elevato a modello di lotta e a esempio, accompagnato dall’illusione dello spontaneismo che “di per sé”, senza l’azione di un’avanguardia organizzata (che certo non è una singola persona), riesce a vincere contro uno Stato.
Sarà un caso che chi manifesta indossando la maschera di V per Vendetta porti avanti rivendicazioni estremamente arretrate (una fra tutte: il reddito di cittadinanza invece del lavoro per tutti), che celano le solite illusioni riformiste dietro un immaginario percepito come radicale? Sarà un caso che in certi ambienti in cui è popolare la maschera di V per Vendetta si teorizzi l’inutilità dell’organizzazione, incensando all’estremo lo “spontaneismo” delle masse, in assenza del quale il “conflitto” viene forzatamente simulato pur di continuare a giustificare questa teoria strampalata? Insomma, V per Vendetta è un buon fumetto e un film ben realizzato, anche piacevole da guardare, a patto di tenere presente che si tratta di un’opera di finzione senza alcun rapporto reale con le lotte del mondo reale, che non può dare nessuna risposta alla condizione che migliaia di giovani oggi vivono, alla prospettiva di un futuro precario, all’assenza di diritti cui la nostra generazione è stata condannata. Se la risposta è V per Vendetta… significa che la domanda è sbagliata.