Tutti ricordiamo la polemica che si sollevò dopo il voto sulla Brexit da parte di chi parlò di un voto dei giovani europeisti, aperti di mente e cosmopoliti, contrapposto al voto delle vecchie generazioni chiuse, bigotte e retrograde. Si disse allora che i giovani inglesi avrebbero pagato la scelta dei “vecchi” rimasti con la testa nel passato; si sprecavano gli elogi alla fantomatica “generazione Erasmus”, o i veri e propri deliri sulla necessità di introdurre limitazioni di età al diritto di voto; un copione replicato in buona parte dopo l’elezione di Trump negli USA.
Succede oggi che a votare No al referendum costituzionale in Italia, secondo SkyTG24, sono più di 8 giovani su 10, precisamente l’81% dei giovani votanti, mentre il 53% degli over 55 anni ha votato per il Sì. Per fortuna, e almeno per ora, i partiti di governo hanno optato per un dignitoso silenzio, evitando di parlare di giovani esuberanti e irrazionali che scegliendo d’impulso hanno rovinato gli ultimi decenni di vita ai cittadini anziani, saggi e moderati.
La verità è che il voto non può essere inquadrato in un conflitto fra “giovani” e “vecchi”, comunque la si voglia vedere. Un’inchiesta del Sole 24 Ore, incrociando i dati del voto con quelli relativi a età, reddito, disoccupazione ha evidenziato come il No abbia spopolato fra i giovani, i disoccupati e i meno abbienti. Il dato è che il No arriva in particolar modo dalle fasce sociali colpite dalle politiche del Governo Renzi. Con la parziale eccezione delle regioni (Emilia Romagna e Toscana) in cui il vecchio tessuto di radicamento del PCI si è convertito nell’apparato di potere clientelare del Partito Democratico, a votare Sì sono le classi agiate, i quartieri benestanti lontani dalle periferie delle città, dei quali erano espressione i giovani del PD che in questi mesi hanno provato a raccogliere voti con lo slogan “basta un Sì”.
Un voto di protesta, quello per il No, che ha coinvolto in primo luogo i giovani, fra le prime vittime di riforme come la Buona Scuola o il Jobs Act, che ha condannato una generazione alla precarietà e all’assenza di diritti sul lavoro. A nulla sono serviti gli slogan del Governo che ha puntato a far apparire il voto per il Sì come un voto per il cambiamento: la schiacciante maggioranza dei giovani italiani ha votato contro una riforma voluta dall’Unione Europea, dalla Confindustria e dai poteri forti, che avrebbe incrementato i poteri del Governo nel portare avanti le riforme volute dai grandi monopoli bancari e industriali.
Uno schiaffo al Governo Renzi, come l’ha definito il Fronte della Gioventù Comunista in una nota, ma anche alla retorica sulla “generazione Erasmus”, che secondo i suoi fautori sembrerebbe destinata ad allinearsi per sempre ai dettami europei per il solo fatto di essere anagraficamente giovane, ma che oggi dimostra sempre più di esistere solo nella testa di una ristretta fascia di ceto medio benestante privo di legami con la realtà materiale che la maggior parte dei giovani e i lavoratori vivono tutti i giorni.